I mass media in guerra contro il movimento dei movimenti

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di Lorenzo Guadagnucci*

Si sapeva, nei mesi precedenti, che durante il G8 programmato a Genova nel luglio 2001 sarebbe entrato in scena un movimento nuovo, di contestazione e di proposta, organizzato su scala globale. Già sul finire del 1999, durante una riunione a Seattle dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto nell’acronimo inglese), aveva preso per qualche ora la scena, con sit-in e manifestazioni. Si era parlato della “battaglia di Seattle”, ma più precisamente si era manifestato agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il primo movimento sociale – un movimento di movimenti – di critica alla globalizzazione neoliberista. La prima vera proposta politica alternativa al dominio delle corporations e delle organizzazioni sovranazionali riunite nel cosiddetto “Washington consensus” (Wto, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale). Si apriva una crepa nel “pensiero unico” neoliberista.

Eppure, nonostante tale novità, la chiave di lettura scelta dai maggiori mezzi di informazione italiani in vista del G8 genovese era decisamente un’altra: la sicurezza, la violenza, la paura. Qualche titolo di giornale: “Servizi segreti: SOS sul G8” (Il Secolo XIX del 17 febbraio 2001);  “Prove tecniche di guerriglia: una rete si sta mobilitando contro il vertice” (intervista di Panorama dell’8 marzo a Franco Frattini, in quel momento presidente del Comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti); “Allarme dei servizi: guerriglia antiG8 con sangue infetto – I servizi segreti lanciano l’allarme sul G8 di Genova: si temono azioni con armi non convenzionali” (Corriere della sera del 20 maggio); “Il terrorismo targato Seattle dilaga in Europa” (Libero del 13 giugno); “Agenti come scudi umani. Secondo l’intelligence italiana l’ala militare dei contestatori preparerebbe il sequestro di poliziotti” (Repubblica del 23 giugno). E così via.

Lo schema è chiaro: a Genova, più che una sfida politica, si profila un confronto muscolare. I contestatori sono una minaccia per l’ordine pubblico, l’ombra del terrorismo viene evocata in modo esplicito, fino a suggerire scenari estremi, assai poco verosimili, come il lancio di sacche di sangue o il sequestro di gruppi di agenti. Il suggeritore di simili scenari, dichiarato negli stessi articoli, è l’intelligence italiana, che agisce in evidente sintonia col potere politico del momento, un potere politico da intendere in senso lato, nella sostanziale comunanza di vedute fra centrodestra e centrosinistra, che fra l’altro si alternano al governo nel corso di quello stesso anno, il 2001, con le elezioni del 13 maggio che riportano a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi, al posto di Giuliano Amato.

Arnaldo La Barbera, vice capo della polizia e dirigente dell’Antiterrorismo durante il G8, davanti alla commissione parlamentare d’indagine istituita nell’agosto 2001 ammetterà che gli “elementi rilevanti” sotto il profilo investigativo raccolti dai servizi sul conto del movimento erano “assai rari, comunque non dettagliati e, soprattutto, indistinti fra una moltitudine di informazioni risultate nella maggior parte dei casi prive di qualunque riscontro”. E tuttavia quelle informazioni irrilevanti e senza riscontro si erano conquistate i titoli dei giornali contribuendo a creare il clima desiderato: un clima di minaccia, di attesa della violenza, un clima di paura. È cominciata così la criminalizzazione preventiva del movimento dei movimenti, finché nelle giornate di Genova è accaduto ciò che sappiamo: la sospensione dei diritti costituzionali, l’abuso della forza da parte delle forze di polizia, la pratica diffusa della tortura, l’uso di armi da fuoco fino all’omicidio di un ragazzo di 23 anni.

La violenza istituzionale, tuttavia, sul momento scioccò anche i cronisti più navigati e più sensibili ai messaggi provenienti dagli apparati. La caccia al manifestante nelle strade, i pestaggi a cielo aperto, la guerra chimica coi lacrimogeni lanciati perfino dagli elicotteri e poi la notte della Diaz, seguita da una campagna di comunicazione basata sulla menzogna, non passarono inosservati. Memorabile la conferenza stampa in questura la mattina del 22 luglio: la lettura di un comunicato poi rivelatosi completamente falso, nessuna domanda ammessa, sui tavoli l’esibizione delle “prove” raccolte dentro la scuola: due bottiglie molotov e una congerie di oggetti, inclusi dei picconi prelevati da un cantiere edile. La domanda – non consentita e rimasta senza risposta – la fece una giornalista inglese: anche quei thermos sono un corpo del reato?

Per qualche giorno i quotidiani italiani fecero il loro mestiere, mettendo in dubbio la goffa ricostruzione ufficiale della notte alla Diaz, raccogliendo le testimonianze dei torturati nella caserma di Bolzaneto, pubblicando immagini di evidenti abusi di polizia. Fu un momento di (parziale) riscatto, dopo la complicità con la campagna di criminalizzazione preventiva imbastita nei mesi precedenti.

Ma fu una breve primavera. Si sarebbe presto tornati all’ordinaria condiscendenza verso i poteri costituiti. L’abnorme caduta di legalità costituzionale, l’attitudine all’abuso e alla menzogna osservata nelle giornate di Genova non spinsero le maggiori testate, le grandi imprese giornalistiche a indagare a fondo sulle polizie, sul loro vissuto, sulle culture che le attraversavano; non ci fu uno sforzo adeguato per capire l’origine di così gravi e così diffuse violazioni delle leggi e dell’etica professionale. Gli stessi processi scaturiti dai fatti del G8 – clamoroso, per il rilievo gerarchico degli imputati, quello sui falsi, le calunnie e le violenze alla scuola Diaz – sono stati seguiti a intermittenza, minimizzandone la portata, relegando le cronache nelle pagine locali del quotidiani e nelle edizioni regionali di tele e radiogiornali. Emblematici dell’atteggiamento di fondo, gli articoli pubblicati nel luglio 2012 sui tre maggiori quotidiani del paese all’indomani della pronuncia della Corte di Cassazione, che confermava le condanne inflitte in appello nel processo Diaz ad altissimi dirigenti della polizia di stato, che si trovò di fatto decapitata per effetto della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Erano articoli concentrati sul disappunto dei dirigenti, di critica all’impianto dell’accusa (appena confermato in via definitiva), di valutazioni sulla poca opportunità di privare la polizia di stato dei suoi uomini migliori…

A vent’anni di distanza possiamo dire che il caso Genova G8, per i grandi media, più che un fallimento, è stato uno svelamento.

* Lorenzo Guadagnucci è stato fra i fondatori del Comitato Verità e Giustizia per Genova. Ha scritto fra l’altro “Noi della Diaz” (Altreconomia 2002, nuova edizione digitale 2021), “L’eclisse della democrazia. Dal G8 di Genova a oggi: un altro mondo è necessario” (con Vittorio Agnoletto, nuova edizione aggiornata e ampliata Feltrinelli 2021).

Photo credits: “No G8, Genoa 2001” by han Soete is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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