Sono trascorsi cinquanta giorni dall’inizio del “paro nacional” in Colombia. Da quel 28 aprile milioni di colombiane e colombiani si sono riversati nelle strade di tutto il Paese dapprima contro l’iniqua riforma tributaria e poi contro l’operato complessivo del governo di Duque e soprattutto contro la violenta repressione messa in campo per bloccare il paro e riportare la popolazione sotto controllo.
Cinquanta giorni che presentano un saldo, in termini di vite umane, inaccettabile per un paese che si auto definisce “democratico” con il beneplacito delle grandi potenze e delle organizzazioni mondiali: 70 persone sono state assassinate in questo periodo di cui 46 dalle forze armate, 1133 persone hanno denunciato violenze fisiche, 1445 le detenzioni arbitrarie, 539 persone hanno subito una sparizione forzata, 73 le ferite oculari e 25 i casi di violenza sessuale, secondo il più recente report della Indepaz.
Nonostante una repressione che mette a rischio la vita di chi quotidianamente manifesta pacificamente, le manifestazioni non si sono mai fermate, anzi, si sono moltiplicate, sono stati costruiti eventi artistici, culturali, assembleari con l’obiettivo di far cadere questo governo autoritario e violento. Con il passare dei giorni il Comité del Paro ha perso il controllo organizzativo, in quanto in molti non si sono più sentiti rappresentati dal suo operato. Molti blocchi, presìdi, eventi e manifestazioni sono stati così organizzati spontaneamente dai residenti dei quartieri in lotta a seguito di piccole assemblee di quartiere.
Proprio l’esigenza di non essere rappresentati da nessuno e di continuare la mobilitazioni ha fatto nascere l’Asamblea Nacional Popular, un’assemblea di assemblee popolari territoriali e nazionali. Questa esperienza organizzativa nata dal basso per i los de abajo, la scorsa settimana si è ritrovata nel Colegio Claretiano di Bosa, barrio a sud ovest di Bogotá, dove si è tenuta la prima assemblea alla presenza – fisica e virtuale – di oltre due mila delegate e delegati di diverse regioni del paese, rappresentanti di comunità contadine, afro discendenti, popoli indigeni, movimenti femministi, assemblee e cabildos popolari, organizzazioni popolari urbane, organizzazione di lavoratrici e lavoratori di vari settori produttivi, movimenti sociali, politici, ambientali, di difesa dei diritti umani, primeras lineas, diversità e dissidenze sessuali.
A raccontare per Global Project come è nata l’assemblea e i prossimi passi, l’attivista Diego Vega, membro di Alternativa Popular e uno dei promotori del gruppo costituente.
Sono passati più di 50 giorni dall’inizio del paro nacional. In che momento e come è nata la Asamblea Nacional Popular?
«L’ANP è nata circa 20 giorni fa quando differenti settori di carattere nazionale e territoriale hanno pensato di costruire uno spazio nazionale di articolazione della lotta popolare vedendo la discussione all’interno del Comité Nacional del Paro che stava cercando solamente di disarticolare la mobilitazione nel paese».
Chi sono i membri di questa assemblea?
«Ne fanno parte tutte le colombiane e tutti i colombiani che vogliono lottare. L’ANP è uno spazio di articolazione delle organizzazioni e della cittadinanza che si sta mobilitando, dei giovani che oggi lottano nelle strade. Questo spazio non è fatto per le delegazioni o per le organizzazioni. Siamo assolutamente convinti che il paro nacional lo deve mantenere l’ANP e che questo soggetto politico è il più importante in questo momento».
Nel suo ultimo pronunciamento abbiamo letto che la ANP rifiuta “le pratiche egemoniche e burocratiche del Comité Nacional del Paro che hanno portato a una negoziazione con un governo genocida alle spalle della maggioranza mobilitata”. Ci puoi spiegare chi sono quelli del CNP e perché molta gente non confida più in loro?
«Le divergenze con il Comité Nacional del Paro sono iniziate l’anno scorso quando la Central Obrera del comitato, prima della pandemia, ha messo in atto alcune azioni burocratiche che hanno aumentato la loro egemonia dentro al movimento sociale e politico. Negli ultimi giorni invece il CNP ha strumentalizzato la lotta del popolo colombiano per dare visibilità ad alcuni attori con fini elettorali. La lotta elettorale non è negativa in assoluto ma questo non è il momento politico per scegliere candidati di qualche partito. Inoltre hanno logorato il paro perché la Central Obrera del paese non ha una posizione di scontro contro il governo paramilitare di Ivan Duque; quindi per questo abbiamo deciso di costruire un’assemblea popolare nella quale anche loro sono invitati, non come leader ma come uno dei tanti attori, perché per noi il paro è del popolo».
Il governo di Duque in questi cinquanta giorni di protesta si è macchiato di moltissimi casi di violenza, abusi e violazione dei diritti umani che nemmeno la presenza della CIDH ha fermato. Quali sono le esigenze della ANP alla comunità internazionale di fronte a queste molteplici violazioni del governo?
«La prima esigenza è innanzitutto che cessi la violenza contro il popolo colombiano e la militarizzazione delle città. Secondo, che finisca la criminalizzazione contro le mobilitazioni. Il governo nazionale ha risposto solo con la violenza alle richieste e alle mobilitazioni della popolazione. Il governo è in piena crisi ed è l’unico responsabile delle violenze, perché è da irresponsabili in piena crisi economica e sociale promuovere una riforma tributaria così dura. Terzo, che sia fatta giustizia per le vittime del terrorismo di Stato che ha provocato già oltre 70 morti. Esigiamo indagini, sanzioni e pene esemplari contro i responsabili, in particolare il ministro Diego Molano e i generali di polizia ed esercito».
Il paro continua nonostante una repressione da dittatura militare. La ANP ha annunciato che la “lucha callejera” continua. Quali sono gli obiettivi della ANP e le prossime tappe della lotta?
«Per prima cosa la ANP che si è ritrovata in assemblea la settimana scorsa si pone l’obiettivo di articolare il paro nacional che ormai è diventato un levantamiento popolare. Il popolo colombiano e le organizzazioni politiche sono molto disarticolate e anche per questo la repressione è stata così dura. Anche per questo motivo abbiamo deciso di non lanciare manifestazioni tutti i giorni ma convocandole soltanto per ogni mercoledì per garantire che la mobilitazione continui nel tempo. Abbiamo invitato anche la cittadinanza a partecipare e ad organizzarsi per difendersi da questo Stato paramilitare. Continueremo a lottare perché l’unica possibilità di vincere contro il fascismo è lottare. Infine in questo processo di articolazione, abbiamo lanciato dal 17 al 20 luglio a Cali una nuova assemblea generale».
“El paro no para”, dunque, va avanti grazie alla determinazione di milioni di colombiane e colombiani che resistono e non si arrendono né alla violenza statale né ai tentativi di manipolare la protesta. Dal basso, senza padroni un nuovo mondo è in costruzione…