di Sandro Moiso
Richard Hofstadter, Lo stile paranoide nella politica americana, Adelphi, Milano 2021, pp. 91, euro 5,00
Richard Hofstadter (1916-1974) è stato docente di Storia americana presso la Columbia University di New York e ha vinto due volte il premio Pulitzer, nel 1956 e nel 1964. Dal 1934 al 1939 fu attivo in movimenti di sinistra, e tra il 1938 e il 1939 fu iscritto al Partito Comunista degli Stati Uniti d’America da cui in seguito si allontanò, entrando poi in contatto con sociologi di idee radicali come Charles Wright Mills. La sua attenzione è stata principalmente rivolta all’esplorazione del pensiero politico americano fin dai tempi in cui i primi tredici stati americani erano ancora soltanto una colonia dell’impero britannico.
Proprio per questa sua approfondita conoscenza di tale pensiero nelle sue diverse articolazioni, vale la pena oggi di leggere il testo proposto per la prima volta in Italia da Adelphi, nella collana Microgrammi. Il fatto che la prima edizione americana del testo risalga al 1952 (per poi essere aggiornato nel 1954, 1964 e 1965) non toglie nulla alla sua attualità ed utilità.
Involontario e indiretto plaidoyer per Trump e il suo elettorato, il testo riporta il dibattito sul complottismo, e le sue teorie espresse spesso dalla destra americana, togliendolo dalle mani di chi vorrebbe farne una caratteristica tipica degli ultimi anni o decenni e, in particolare, dell’epoca della presidenza di The Donald.
In realtà, si capisce subito, scorrendo l’agile saggio, il complottismo ha costituito una costante del dibattito politico pubblico americano, fin dagli anni successivi alla indipendenza degli Stati Uniti. Un cancro, se così vogliamo definirlo, dalle origini antiche e profonde, tipico di una nazione che del suo stile di vita ha voluto fare un modello unico sia in patria che fuori nel corso della sua crescita prima e della sua espansione imperialista poi.
Dai timori della fine del XVIII secolo per i complotti degli Illuminati di Baviera per rovesciare l’ordinamento politico e religioso del mondo fin dalla Rivoluzione francese a quelli per il complotto cattolico destinato, secondo coloro che lo denunciavano nella prima metà dell’Ottocento, a rovesciare l’impostazione progressista e repubblicana del governo statunitense e a sfruttare l’”ignoranza” dei nuovi immigrati per finalità simili alle precedenti (ma con un evidente afflato razzista e identitario), i movimenti di denuncia di complotti possibili o del tutto privi di fondamento hanno caratterizzato una concezione politica che ha fatto propria, fin dalle origini, l’idea dell’insuperabilità del modello americano di rapporti sociali.
In questi movimenti furono attivi personaggi dai nomi celebri ancora oggi, anche se per altri motivi, come ad esempio l’inventore del telegrafo S.F. B. Morse, impegnato nella lotta contro il “complotto cattolico” nella prima metà dell’Ottocento così come suo padre, Jedidiah Morse lo era stato contro quello degli Illuminati di Baviera. Oppure Lyman Beecher, padre di Harriet Beecher Stowe, autrice di La capanna dello zio Tom, che aveva furiosamente inveito contro la corruzione dei costumi portata negli Stati Uniti ancora dal complotto cattolico, affermando a proposito della battaglia da condurre nell’Ovest del paese, nel suo A Plea for the West (1835), che:
Lì il protestantesimo è impegnato in una lotta per la vita contro il cattolicesimo. Il tempo è già agli sgoccioli. «Qualunque cosa faremo, dobbiamo farla in fretta…». Una vasta marea di immigrazione, ostile alle istituzioni libere, stava attraversando il paese, sovvenzionato e incoraggiato dai «potentati d’Europa», moltiplicando tumulti e violenza, riempiendo le carceri, affollando di poveri gli ospizi, quadruplicando la tassazione, inviando un numero sempre maggiore di elettori a «posare le loro mani inesperte sul timone del nostro potere». Possiamo ben credere, sostiene Beecher, che Metternich1 sia al corrente del fatto che verrà un partito negli Stati Uniti che accelererà la naturalizzazione e la concessione del voto a queste moltitudini e ai loro demagoghi, un partito che «venderà il paese condannandolo a imperitura prigionia»2.
E’ evidente come in affermazioni di questo genere si fondessero insieme, fin dagli albori dell’espansionismo statunitense, le motivazioni del predominio WASP (White Anglo-Saxon Protestant) con quelle della “necessaria” conquista del West e l’ostilità nei confronti di un’Europa da cui i coloni e i loro discendenti si erano distaccati attraverso la prima rivoluzione anti-coloniale del mondo moderno.
Come accadde ancora in seguito, ognuna di queste campagne brandì testimonianze dirette di pentiti della parte avversa, sia che si trattasse di Massoni che di rappresentanti del clero cattolico, tese a sottolineare la perversione e le malevolenze insite nei complotti che venivano denunciati e, in questo modo, smascherati.
L’anticattolicesimo è sempre stata la pornografia dei puritani. Se gli antimassoni si erano immaginati ubriacature selvagge e si erano dilettati con fantasie sull’adempimento forzato di disgustosi giuramenti massonici, gli anticattolici svilupparono un’immensa raccolta di storie di preti libertini, di confessionali come luoghi di seduzione, di conventi e monasteri licenziosi e via dicendo. Il libro probabilmente più letto negli Stati Uniti in quel periodo, prima dell’arrivo della Capanna dello zio Tom (1852), è un’opera scritta, a quanto risulta, da tale Maria Monk con il titolo di Awful Disclosures (Terribili rivelazioni), e pubblicata nel 1836. L’autrice, che afferma di essere scappata dal convento dell’Hôtel-Dieu di Montreal dopo aver risieduto lì per cinque anni come novizia prima e monaca dopo, riporta con abbondanza di dettagli la sua vita in convento. Ricorda di essersi sentita dire dalla madre superiora che doveva «obbedire ai preti in tutto e per tutto»; con suo «assoluto sbigottimento e orrore» scopre in breve tempo quale sia la natura di tale obbedienza. Bambini nati da relazioni interne al convento vengono battezzati e quindi uccisi, racconta, per poter salire subito in cielo. Uno dei momenti più forti di Awful Disclosures è la testimonianza di Maria Monk dello strangolamento di due neonati3.
A parte l’indubbio debito nei confronti della precedente letteratura gotica, cui fu debitore lo stesso Manzoni per la sua narrazione delle vicende di Gertrude la monaca di Monza, è evidente come proprio in tale esposizione dei fatti, che pur conteneva parziali elementi di verità come le cronache attuali e le ricostruzioni storiche ancora ci confermano, si disvela la tecnica tipica della narrazione paranoide.
La procedura tipica della migliore pubblicistica paranoide è cominciare da assunti difendibili e da un accorto accumulo di fatti, o per lo meno di ciò che può sembrare un fatto, e poi guidare questi fatti verso una «prova» schiacciante della specifica cospirazione da dimostrare. E’ assolutamente coerente: anzi la mentalità paranoide è molto più coerente del mondo reale, visto che non lascia spazio agli errori, ai fallimenti o alle ambiguità […] Nella tecnica, è squisitamente «accademica». Le novantasei pagine del pamphlet di McCarthy intitolato McCarthysm contengono addirittura trecentotredici note a piè di pagina4.
Un ultimo aspetto dello stile paranoide è collegato a quella pedanteria cui ho già accennato. Uno dei tratti impressionanti della letteratura paranoide, che compare immancabilmente, è proprio la complicata preoccupazione di trovare prove. Non ci si lasci distrarre dalle conclusioni fantasiose, tanto caratteristiche di questo stile politico, al punto da farsi l’idea che i suoi ragionamenti non siano, per così dire, di natura fattuale. Lo stesso carattere incredibilmente fantasioso delle sue conclusioni porta a grandiose ricerche della «prova» che dimostrerebbe che ciò che è incredibile è la sola cosa degna di essere creduta5.
Riassumendo gli elementi basilari dello stile paranoide si può cogliere come l’elemento centrale sia costituito dall’idea che la Storia non sia nient’altro
che una cospirazione vasta e sinistra, un congegno di influenza gigantesco eppure sottile messo in moto per indebolire e distruggere un dato stile di vita. Si potrebbe obiettare che siano in effetti esistiti atti cospiratori nel corso della storia, e non c’è niente di paranoide nel prestarci attenzione. Questo è vero […] A distinguere lo stile paranoide non è il fatto che i suoi esponenti vedano cospirazioni o complotti qua e là nel corso della storia, ma che ritengano che una «vasta» o «gigantesca» cospirazione sia la forza motrice degli eventi storici.
[…] Il nemico non è mai colto alla mercé del vasto meccanismo della storia, vittima anche lui, come tutti, del suo passato, dei suoi desideri, dei suoi limiti. E’ un attore libero, intraprendente, demoniaco. Pone in essere da sé, addirittura costruisce, il meccanismo della storia, oppure devia in maniera malvagia il normale corso della storia […] L’interpretazione della storia che fa il paranoico è in questo senso distintamente personale: gli eventi decisivi non sono considerati parte del flusso della storia, ma conseguenze della volontà di qualcuno6.
Fermiamoci qui e cogliamo come lo stile paranoide si sia ormai affermato anche in quelle narrazioni mediatiche ufficiali che demoliscono le fake news per mezzo di altre, in cui gli individui e le volontà, sovversive, terroristiche, folli o altre, mettono in discussione e in pericolo il modo di produzione e lo stile di vita dominante che, di per sé, potrebbe funzionare perfettamente.
Richard Hofstadter non mancava infatti di sottolineare come tale stile non costituisse, di fatto una peculiarità della psicologia e della politica statunitense.
Ma il fenomeno non è limitato all’esperienza americana, così come non lo è all’epoca contemporanea […] Basti pensare alla reazione europea all’assassinio del presidente Kennedy per ricordarci che gli americani non detengono il monopolio del dono per l’improvvisazione paranoide. Anzi, si può affermare che in tutta la storia moderna il maggior trionfo dello stile paranoide non sia occorso negli Stati Uniti, ma in Germania. E’ un ingrediente tipico del fascismo, e dei nazionalismi frustrati, sebbene attiri tanti non fascisti e lo si ritrovi spesso anche nella stampa di sinistra. I famosi processi di Stalin, le purghe, hanno rappresentato, in una forma all’apparenza giuridica, un esercizio devastante di stile paranoide e uno scatenato lavoro di fantasia7.
Naturalmente la disamina di Hofstadter non si limita soltanto ai fenomeni paranoidi del XVIII e XIX secolo americano, ma si spinge fino al Maccartismo, alla John Birch Society (già presa in giro da Bob Dylan in una sua nota canzone) e ai loro timori per il diffondersi del comunismo e dei suoi agenti corrotti (anche ai massimi gradi del governo), tutti tesi a minare i valori e le libertà americane sul territorio stesso degli Stati Uniti. Così come il timore del diffondersi di una tassazione progressiva come limitazione delle libertà individuali e del diritto di arricchirsi, come Frank Chodoroy affermava nel 1954, nel suo The Income Tax: Root of All Evil (La tassazione sul reddito origine di ogni male), a proposito della ratifica nel 1913 dell’emendamento costituzionale sulla tassa sul reddito. Osservando ancora che, se si passa ad osservare la destra contemporanea, il fatto più significativo è che:
troviamo alcune differenze piuttosto importanti rispetto ai movimenti dell’Ottocento. I rappresentanti di quei primi movimenti sentivano di difendere cause e tipi umani ancora in pieno possesso del paese: stavano respingendo le minacce a uno stile di vita ancora predominante, nel quale ritenevano di giocare un ruolo di rilievo. La destra moderna, invece, come ha scritto Daniel Bell8, si sente espropriata: l’America le è stata largamente sottratta, ma è determinata a riprendersela e a impedire il conclusivo ed esiziale atto eversivo […] I loro predecessori scoprirono cospirazioni straniere; secondo la destra radicale moderna, nella cospirazione oggi sono coinvolti anche molti americani […] Il teatro d’azione oggi è il mondo intero, e si può fare ricorso non solo agli eventi della seconda guerra mondiale, ma anche a quelli della Guerra di Corea e della Guerra Fredda. Qualunque studioso di storia militare sa che la sua disciplina è in buona parte una comedy of errors e un museo dell’incompetenza; ma se a ogni errore e a ogni atto di incompetenza sostituiamo un atto di tradimento, riusciremo a vedere quanti punti di affascinante interpretazione si aprono all’immaginazione paranoide: il tradimento dei luoghi di potere lo si trova ad ogni svolta della storia – e alla fine il vero mistero, per chi legga le opere principali del sapere paranoide, non è come gli Stati Uniti siano finiti nella pericolosa posizione attuale, ma proprio come siano riusciti a sopravvivere9.
Aggiungiamoci le guerre in Vietnam, Iraq e Afghanistan, insieme alle Torri Gemelle e al motto Make America Great Again oppure, d’altro lato, le accuse a Trump di aver permesso l’ingerenza di Putin nelle elezioni presidenziali americane, e vedremo come sia stato possibile delineare con sessant’anni di anticipo il quadro odierno, fino all’assalto a Capitol Hill. Ma, al termine del più che utile e attuale libello, Hofstadter spinge lo sguardo ancora più indietro, fino a quel Medioevo in cui i movimenti ereticali e la loro persecuzione suggeriscono l’idea che
i movimenti che adoperano lo stile paranoide non siano costanti, ma si presentino in ondate episodiche consecutive, suggeriscono che la disposizione paranoide venga mobilitata prevalentemente da conflitti sociali che chiamano in causa i sistemi di valori assoluti e che portano nell’azione politica paure e odi fondamentali […] la paura della catastrofe è l’elemento che verosimilmente può scatenare la sindrome della retorica paranoide (Ivi, pp. 72-73 )).
Nei suoi studi sulle sette millenaristiche europee tra l’XI e il XVI secolo per il suo bellissimo libro The Pursuit of the Millennium10, Norman Cohn individua la costante di un complesso psicologico che assomiglia molto a quello che ho esaminato in queste pagine, uno stile fatto di alcune preoccupazioni e fantasie molto definite: «la visione megalomaniaca di se stessi come Eletti, interamente buoni, vittime di persecuzioni abominevoli ma sicuri del trionfo finale; l’attribuzione di poteri giganteschi e demoniaci all’avversario; il rifiuto di accettare i limiti e le imperfezioni ineluttabili dell’esistenza umana, come la transitorietà, il disaccordo, il conflitto, la fallibilità intellettuale e morale; l’ossessione per profezie infallibili…gli errori sistematici di interpretazione, sempre marchiani e spesso grotteschi…la spietatezza indirizzata ad uno scopo che per sua stessa natura non si può realizzare, indirizzata a una soluzione definitiva e assoluta che non potrà mai avere luogo in nessun momento concreto e in nessuna situazione concreta, ma solo nel regno eterno e autistico della fantasia»11.
Ecco allora che l’attualità del saggio di Hofstadter, che supera i limiti di tempo delle ricerche più recenti sul fenomeno complottistico americano, ci obbliga anche a confrontarci con il problema delle origini dell’atteggiamento paranoide all’interno delle religioni rivelate12, oltre che con quello della diffusione dello stesso nell’ambito di un’ideologia che, nel volersi radicale ad ogni costo, finisce con l’abbandonare l’analisi concreta del mondo e dell’immaginario, per rifugiarsi invece in facili teorie cospirazioniste e altrettanto facili slogan, destinati soltanto ad avvicinarla a quel pericoloso confine lungo il quale la distinzione tra ‘destra’ e ‘sinistra’ diventa fin troppo esile.
Chi scrive si spinge così a sperare che qualche editore italiano, magari la stessa Adelphi, voglia riproporre in futuro le opere dello storico americano da tempo mancanti sul mercato librario, sicuramente datate dal punto di vista cronologico ma non da quello dei contenuti, oppure quel Social Darwinism in American Thought 1860-1915 che costituì la sua prima ricerca e che non è ancora mai stata tradotta in Italia.