di Renato Di Nicola (Forum Italiano Movimenti dell’Acqua / European Water Movement)
Tante possono essere le considerazioni da poter fare in merito alla vittoria popolare nei referendum del 2011, in particolare sul tema acqua.
Voglio però qui sottolineare tre delle caratteristiche peculiari che hanno permesso al movimento dell’acqua di essere ancora presente ed attivo socialmente oggi a dieci anni da quella vittoria: autonomia, territorialità e globalità.
AUTONOMIA
La capacità di essere struttura essenziale e non verticistica, quadro divulgatore e propulsore del Foro Italiano dei Movimenti dell’Acqua (FIMA) deriva dalla autonomia di pensiero e metodologica e dal suo concreto operare nel corpo vivo della società e della politica italiane.
Per anni, perlomeno dal 2005 al 2009, le forze sistemiche, alcune forze ambientaliste e sociali e Ong ci hanno considerato non pericolosi, illusi ma simpatici mentre altri ci reputavano politicamente insignificanti visto che la politica era considerata ben altro.
Così liberi da troppe attenzioni egemoniche, abbiamo potuto sedimentare nei modi e nei tempi adeguati una idea/progetto elaborata collettivamente sull’acqua come elemento ecosistemico essenziale e inattaccabile sia ideologicamente sia come posizionamento socio-politico. E allo stesso tempo ciò avveniva attraverso un’organizzazione reale e democratica che ha retto alla prova del tempo e delle molte pressioni che ci hanno rovesciato addosso appena siamo riusciti a porre al centro della agenda politica del Paese la gestione dell’acqua.
La prova più importante di chiarezza e solidità dell’impianto contenutistico e della organizzazione si è verificata nella nostra prima assemblea realizzata al Corviale di Roma nel 2006. Lì nel confronto tra molte idee e proposte sono emerse due posizioni su un aspetto centrale: una che suggeriva di affidare al probabile futuro governo Prodi la definizione di una legge quadro sull’acqua fondata sul sistema pubblico di gestione; l’altra, largamente maggioritaria, che sosteneva l’elaborazione autonoma di una legge da sottoporre poi ai partiti ed al parlamento per la discussione ed approvazione.
Così abbiamo elaborato una legge quadro di iniziativa popolare con i nostri tempi e metodi. Una proposta discussa e definita in una decina di incontri regionali, filtrata tecnicamente attraverso una verifica giuridica per la quale non ringrazieremo mai abbastanza un pool di giuristi capitanati dal compianto Rodotà ma decisa in modo assembleare in un incontro decisivo alle Piagge di Firenze.
Una proposta per la quale abbiamo raccolto non solo le 50mila firme necessarie ma anche quelle di 400mila cittadini di ogni parte d’Italia. Legittimati non da partiti e istituzioni, siamo diventati così di fatto un Movimento anche di peso “costituzionale” e non solo espressione della lotta quotidiana e dal basso.
Un’elaborazione e una raccolta di consensi attivi, geograficamente e socialmente ampiamente dislocati, hanno così rotto una prassi consolidata che vedeva nella sola classe lavoratrice o studentesca l’elemento sociale del cambiamento e solo nelle grandi città il fulcro delle trasformazioni.
Tutti elementi questi che ci hanno dato una importante autonomia, base fondamentale del nostro radicamento e della vittoria elettorale quando, inaspettatamente per i più, e senza nessun appoggio mediatico, 27 milioni di persone hanno votato contro la privatizzazione e i profitti in bolletta, osando applicare concretamente, anche in campo elettorale, la democrazia nata dalla Resistenza.
TERRITORIALITA’
Se le basi di partenza non fossero state le lotte concrete portate avanti in molti territori della Penisola da vecchi e nuovi militanti sociali e politici non si sarebbe mai avviato un processo di accumulazione sociale e politica così anti-liberista insieme a una discreta e autonoma forza organizzativa intorno all’acqua bene comune.
Certo preesistevano anche lotte e strutture ambientaliste o Ong di settore, non ultimo il Contratto Mondiale dell’Acqua che aveva dato un grande contributo sul piano generale e di elaborazione e formazione civica capillare, ma non tale da costituire un vero e proprio movimento e un processo sociale dirompente sull’acqua.
Il Movimento per l’acqua pubblica e partecipata riuscì ad essere collegamento organizzativo e propositivo non egemonico di una pluralità di voci e territori che altrimenti non avrebbero fatto il salto di qualità necessario a divenire di dimensione nazionale.
Territori con lotte diverse: chi soprattutto contro le multinazionali francesi fino ad arrivare alla disobbedienza civile; chi, coinvolgendo popolazione e amministratori locali, è riuscito a bloccare la privatizzazione; chi ha sviluppato e vinto battaglie contro le Grandi Opere che inquinavano e/o distruggevano le fonti idriche.
Lotte territoriali con differenti livelli di aggregazione e capacità di autonomia politica, con diverse strutture organizzative, gelose delle proprie esperienze ma anche capaci di contenuti e azioni unitarie e di livello nazionale mano a mano che lo scontro si faceva duro e più vasto.
Realtà territoriali che, organizzando incontri nazionali decisivi non solo a Roma ma anche sui propri territori, rendevano più ampia sia la partecipazione popolare sia la condivisione degli obiettivi.
Realtà più forti o con più esperienza che sostenevano quelle meno organizzate e in difficoltà: un insieme di relazioni umane, sociali, culturali che sono state base concreta e oggettiva del movimento.
GLOBALITA’
Grazie alla guerra dell’acqua di Cochabamba nel 2000 e alle lotte vittoriose in alcune parti del mondo dove si è riusciti a sconfiggere le multinazionali di settore che avevano devastato città e territori, anche in Europa e in Italia si prese coscienza di quanto potesse essere reale il pericolo della privatizzazione e commercializzazione del bene comune acqua e che questo potesse avvenire attraverso le politiche europee o mondiali.
Ci si convinse, allo stesso tempo, che si potevano vincere lotte apparentemente senza via d’uscita con le mobilitazioni delle idee e delle proposte ma soprattutto con quelle delle forze civiche e sociali.
Una presa di coscienza che ci portò a fare proposte concrete di cooperazione verso Paesi e popolazioni con difficilissimi problemi di accesso all’acqua, che ci portò a conoscere come si attuavano concretamente i processi di commercializzazione e di accaparramento dei beni idrici.
Una consapevolezza che ci spinse già nel 2006 a partecipare ai FAMA (Foro Alternativo Mondiale dell’Acqua) a partire da quello di Città del Messico; che ci portò a sentire sempre più l’urgenza di organizzarci con altri popoli per la definizione a livello mondiale dell’acqua quale diritto umano inalienabile.
Urgenza che percepimmo chiaramente quando, a cinque mesi dalla vittoria referendaria, Draghi e Trichet scrissero al governo italiano per spingere verso le liberalizzazioni dei servizi locali ed idrici. Fu così che proprio a Napoli, dove si stava ripubblicizzando il servizio idrico integrato, si tenne a battesimo la nascita dello European Water Movement.
In conclusione: se oggi osserviamo le politiche nazionali, continentali e mondiali sul tema acqua, se prendiamo coscienza di cosa significhi la possibilità di giocare in borsa e stabilire un prezzo egemonico di riferimento per speculazioni dirette a livello planetario, ci possiamo rendere conto di quanto sia sempre più necessaria una alleanza globale di realtà organizzate, autonome dal sistema.
Realtà che, a partire dai propri territori, rimettano in discussione la narrazione e la pratica di predazione dei servizi e dei bacini idrici per una proprietà, gestione e preservazione pubblica, partecipata e comunitaria del bene comune acqua.
Che oggi in Italia esista il FIMA, in Europa lo European Water Movement e nel mondo tante forze che possono darsi una migliore e più idonea organizzazione planetaria, ci fa sperare in un mondo migliore, diverso e capace di preservare e vivere con tutti gli elementi ecosistemici, con l’acqua in particolare, in modo equilibrato e sano.
Photo credits: “Water movements in the opening march of the WSF. 26 March 2013” by European Water Movement
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021: “20 anni di lotta e di speranza“