Martedì 29 giugno è stato presentato a Sherwood Festival il Manifesto della Cura, opera scritta a più mani da The Care Collective, dove il lavoro di cura è visto come motore della società e del cambiamento sociale. Hanno partecipato alla discussione anche Marie Moïse e Jennifer Guerra, rispettivamente traduttrice e autrice della postfazione per l’edizione italiana pubblicata da Alegre. Qui il podcast completo dell’incontro, su Radio Sherwood.
Jennifer Guerra ha spiegato come il lavoro di cura sia ciò che permette alla società di prosperare, sia per quanto riguarda la riproduzione sociale, ma anche in una dimensione di carattere più produttivo. Il lavoro di cura è storicamente femminilizzato e funzionale alla divisione dei lavori di genere (donna demandata a prendersi cura dei “deboli” e dello spazio domestico). L’emancipazione femminile ha sovvertito in parte questi meccanismi e l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro salariato ha portato di fatto a una femminilizzazione del lavoro, che porta con sé una serie di problemi, tra cui la “crisi della cura” che si interseca con la crisi economica più generale.
Il Manifesto della cura prova a proporre una soluzione radicale a questa crisi, con la cura che deve uscire fuori dallo spazio domestico ed essere fattore propulsivo di un’emancipazione sociale e politica collettiva.
Marie Moïse esordisce con le motivazioni che hanno indotto Alegre a mettere questo libro nella collana “feminist” di Alegre questo libro, perché c’è una lettura che allo stesso tempo è analitica e strategica sia per la questione della “cura” sia per le lenti transfemministe.
In questo testo il sistema neoliberista diventa sinonimo di un sistema di incuria sovrana e di solitudine organizzata: la mancanza di cura esiste perché è progettata per esistere. Mancanza non è assenza, ma negazione programmatica di un tipo di relazione e questa lettura ci permette di comprendere come si snoda la frammentazione sociale, ma anche la ricomposizione sociale e di classe, che passa proprio dalla cura. Per Marie Moïse «l’individualismo è il sistema che ci impone il fatto che ce la possiamo fare da soli, rinunciando alle relazioni di supporto e di sostegno». Vergognarsi quindi di avere bisogno d’aiuto
La proposta politica contenuta nel libro va in tutt’altra direzione: accettare che nessuno è individuo slegato e indifferente rispetto a ciò che è attorno a sé, ma che siamo tutte/i interdipendenti. «L’interdipendenza è sfiorare petali della persona che ti sta accanto, idea di fiorire comune che si contrappone a quella di sviluppo e crescita infinita perpetrata dal neoliberismo», conclude Marie.
Sono poi intervenute Federica Pennelli, a nome della rete padovana di mutualismo Rete All You Can Care, e Laura Pederzolli, dell’Associazione Communia di Marghera
La prima ha spiegato come, in questo ultimo anno e mezzo, singole soggettività e organizzazioni hanno iniziato a occuparsi di mutualismo: la rete è nata per sopperire a quell’incuria che la pandemia ha aggravato, soprattutto per i soggetti che non hanno avuto più capacità di accedere alle risorse, materiali e immateriali. «I servizi che mettiamo in campo sono derrate alimentari, sportelli di servizio legati all’informatizzazione e alle pratiche burocratiche, molto complessi soprattutto per cittadine/i straniere/i, questioni legate a diritto del lavoro e accesso alla salute. Ma la cosa più importante è la risposta che abbiamo da parte delle persone che attraversano la nostra rete e rimangono a collaborare con continuità». Questo è un esempio molto tangibile di come le relazioni di prossimità sono la base della costruzione di comunità di cura.
Da Padova a Marghera, «l’associazione Communia è nata all’inizio del lockdown, come risposta da parte di giovani studenti e studentesse a quanto stava accadendo» spiega Laura Pederzolli. Altro spetto dell’incuria lo abbiamo infatti vissuto nel mondo della formazione. Per questo giovani che vengono da esperienze di collettivi studenteschi e giovanili hanno deciso di fare attività di scuola popolare come alternativa reale alle mancanze del sistema scolastico. Inoltre la «zona della terraferma veneziana è composta principalmente da seconde generazioni e con questi servizi da basso siamo entrati in relazione con nuovi bisogni e problematiche che ci servono per migliorare la nostra attività politica e sociale».
Dopo questi interventi, Marie Moïse ha fatto approdare l’incontro verso interessanti conclusioni. «Il significato etimologico della parola cura, care in inglese, deriva dalla radice latina caru che ha un’ambivalenza intrinseca, perché significa allo stesso modo un moto di tenerezza verso l’altra persona, ma anche espressione di vulnerabilità».
L’interdipendenza significa anche fare i conti con una dimensione negativa, in particolare con il potere. Ma in questo libro emerge la possibilità di non vedere le relazioni e i servizi solo in termini verticali, ma anche orizzontali e circolari. Viene scardinata ad esempio la dicotomia tra utenti ed erogatori, pensando che al centro ci sia una risorsa di cui tutte/i possano beneficiare. «Non basta aiutare i poveri, ma bisogna combattere i ricchi» conclude Marie «ed è qui che subentra la cura, trasformando le relazioni in elementi potenziali di conflitto».