di Paolo Lago
Wu Ming 1, La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema, Alegre, Roma, 2021, pp. 591, € 20,00.
Il bar Pilade di Milano compare nelle prime pagine del Pendolo di Foucault (1988) di Umberto Eco: è qui che l’io narrante Casaubon, giovane studente di storia, all’inizio degli anni Settanta, conosce Iacopo Belbo, impiegato alla casa editrice Garamond. A Belbo e a Diotallevi, un altro funzionario della Garamond, Casaubon successivamente racconta la storia dei Templari, su cui si sta laureando. I due si incontrano al «banco di zinco» del bar nel «periodo in cui tutti si davano del tu, gli studenti ai professori e i professori agli studenti. Non parliamo della popolazione di Pilade: “Pagami da bere”, diceva lo studente con l’eschimo al caporedattore del grande quotidiano. Sembrava di essere a Pietroburgo ai tempi del giovane Sklovskij. Tutti Majakovskij e nessun Zivago»1.
L’ambientazione di quello stesso bar Pilade del Pendolo compare nella seconda parte del saggio di Wu Ming 1, La Q di Qomplotto, uscito recentemente per Alegre, intitolata QAnon: filamenti di genoma transatlantico, collected from good authorities. Ho definito come “saggio” l’ultima opera di Wu Ming 1 ma probabilmente devo correggermi: si tratta, infatti, di un UNO, cioè – parafrasando l’acronimo UFO, “Unidentified Flying Object” – di un “Unidentified Narrative Object”, cioè un oggetto narrativo non identificato. L’espressione è stata coniata dallo stesso Wu Ming 1 in un intervento comparso su “Carmilla” nel settembre del 2008 (New Italian Epic 2.0): «gli UNO sono esperimenti dall’esito incerto, malriusciti perché troppo tendenti all’informe, all’indeterminato, al sospeso. Non sono più romanzi, non sono già qualcos’altro». Si tratta in sostanza di una forma ibrida, sorta sulla scia di quella linea multiforme e menippea messa in evidenza da Michail Bachtin soprattutto nel suo saggio su Dostoevskij. Del resto, nella letteratura è già possibile individuare una forma a metà tra romanzo e saggio, il cosiddetto “metaromanzo”, cioè un romanzo che riflette su stesso e sulle sue forme, individuabile già a partire da La vita e le opinioni di Tristram Shandy gentiluomo (The Life and Opinions of Tristram Shandy Gentleman, 1759-1767) di Laurence Sterne fino a Petrolio (1992) di Pier Paolo Pasolini.
Però, gli UNO si pongono anche al di là del metaromanzo: sono, come accennato, forme ibride, composte da reportage giornalistici, stralci narrativi, poesie, prose poetiche, il tutto combinato insieme per mezzo di svariati stili secondo la tecnica del pastiche. Insomma, il bar Pilade è l’ambientazione dell’ultima parte di La Q di Qomplotto il quale, per il solo fatto di riallacciarsi ad una precedente opera come Il pendolo di Foucault assume delle caratteristiche peculiari. L’autore (che si trasforma in personaggio e narratore) fa un sogno («Fu quella notte che feci il sogno»: così si conclude la prima parte del libro, quasi in una citazione dell’incipit del romanzo di Eco, «Fu allora che vidi il pendolo») e si trova proiettato in una dimensione a metà fra gli anni Settanta e il gennaio 2021 («Un 2021 parallelo, dove i bar erano aperti e nessuno portava la mascherina», QdQ, p. 395). È qui che, novello Casaubon, l’autore-personaggio racconta a Belbo e Diotallevi, gli editori del Pendolo, storie di complotti italiani, poi messi a nudo. L’andamento saggistico del libro, prevalente nella prima parte, assume perciò un aspetto narrativo: il saggio si trasforma in romanzo pur non perdendo il suo aspetto saggistico, il quale viene adesso intervallato da piccole scenette che avvengono all’interno del bar dove, ad ascoltare la storia, si trovano anche alcune giovani studentesse. Mentre l’autore racconta, preso dal suo narrativo impeto onirico, alcune esplosioni fanno tremare i tavolini e il bancone del bar, perché – come afferma Belbo – «sono anni di bombe, quelli che viviamo» (QdQ, p. 533).
L’operazione realizzata da Wu Ming 1 a partire dal romanzo di Eco rientra all’interno delle pratiche ipertestuali analizzate da Gérard Genette in Palinsesti (uno studio sulla «letteratura al secondo grado»), e potrebbe essere definita come una «amplificazione» del Pendolo di Foucault, cioè una vera e propria espansione narrativa. Lo scrittore, infatti, aggiunge delle situazioni narrative non presenti nell’opera originaria creando anche un nuovo personaggio, Valentina Belbo, la giovane cugina di Iacopo. Del resto, La Q di Qomplotto è costruita come un’opera intertestuale e incline al pastiche (inteso come pratica ‘imitativa’), un mastodontico contenitore che include innumerevoli riferimenti alla cultura, alla società e alla politica. La parte finale della prima parte, a partire dal capitolo 22, significativamente intitolato La virulenza illustrata, è scritta con uno stile che rimanda esplicitamente a Nanni Balestrini (lo stesso titolo del capitolo è ricalcato su quello del romanzo di Balestrini, La violenza illustrata, del 1976): la narrazione si velocizza in uno stile rapido e dal taglio giornalistico mentre scompare praticamente del tutto la punteggiatura. Ma è indubbiamente Il pendolo di Foucault «il libro delle metastasi» (così è intitolato il capitolo 4), un’opera che Wu Ming 1 ha tenuto costantemente presente nella stesura del suo lavoro:
Il pendolo di Foucault era tante cose: un romanzo di formazione (e deformazione), un’enciclopedia esoterica impazzita, una testimonianza sull’industria culturale italiana nel passaggio tra anni Settanta e Ottanta, e soprattutto una riflessione sulle fantasie di complotto: come nascevano, come si sviluppavano, come parlarne. Riflessione molto più comprensibile trent’anni dopo, nel passaggio tra gli anni Dieci e Venti del nuovo secolo. Eco aveva raccontato – senza mai voler essere “futuribile” – il mondo in cui mi trovavo ora, mentre facevo inchiesta su QAnon e dintorni (QdQ, p. 70).
A partire dal romanzo di Eco l’autore arriva fino a «QAnon e dintorni» per dimostrare come «le fantasie di complotto difendono il sistema». Sotto il nome di QAnon si indica una teoria del complotto di estrema destra, sorta negli Stati Uniti, secondo la quale esisterebbe una sorta di deep state che trama contro l’ex presidente Donald Trump per scardinare l’ordine mondiale, colluso con reti di pedofilia e misteriose pratiche ebraiche. Secondo Wu Ming 1, le principali definizioni da applicare a QAnon sono cinque:
1. un gioco di realtà alternativa divenuto mostruoso;
2. un modello di business;
3. una setta che praticava forme di condizionamento mentale;
4. un movimento reazionario di massa che cercava di entrare nelle istituzioni;
5. una rete terroristica in potenza (QdQ, p. 21).
La teoria del complotto difende il sistema perché quest’ultimo viene additato come la vittima di un ipotetico e inesistente deep state: «Nella propaganda di QAnon il potere occulto era la megalobby satanista e pedofila che controllava il deep state, e il contropotere rivoluzionario era la Casa bianca di Trump. Nella propaganda nazista, che forniva il precedente più ovvio, il potere occulto era l’internazionale giudaica e il contropotere rivoluzionario era il regime di Hitler» (QdQ, p. 52). Infatti, «chi credeva a fantasie di complotto tendeva ad accusare piccoli gruppi di cattivi anziché cercare cause sistemiche» (QdQ, p. 163). E la violenza è una delle pratiche adottate per difendere il sistema: l’autore passa in rassegna gli omicidi targati QAnon nonché il tentativo di strage messo in atto da Maddison, un giovane della North Carolina che, nel dicembre del 2016, armato, si era recato a Washington D.C. per punire i perversi pedofili del Comet Ping Pong, un locale nei cui sotterranei, secondo la vulgata complottista, sarebbe stato schiavizzato e violentato un numero indefinibile di bambini.
L’autore, in modo abile, pone sotto la sua lente diverse narrazioni di complotto che si sono instillate nelle menti delle persone, a partire dalla caccia alle streghe di Salem fino alla teoria della sostituzione etnica e ai Protocolli dei Savi di Sion, passando attraverso le idee che consideravano l’allunaggio una messa in scena o quelle sulla ipotetica morte di Paul McCartney nonché sui retroscena esoterici delle canzoni dei Beatles. Il suo intento – ben riuscito e ben calibrato – è quello di un debunking, cioè di uno smascheramento delle fake news e delle narrazioni tossiche. Per arrivare, dagli Stati Uniti, fino in Italia. E allora, una serie di capitoli intitolati In viro veritas? analizza in modo sottile la narrazione virocentrica che si è sviluppata nel nostro paese a partire dall’emergenza Covid, nel marzo 2020. Una narrazione dominante che ha attraversato e continua ad attraversare le coscienze degli individui: come lo stesso collettivo Wu Ming (a cui appartiene l’autore di La Q di Qomplotto) ha evidenziato in una serie di lucidi articoli apparsi sul blog «Giap» nel periodo dell’emergenza (fra i pochi che, in quello stesso periodo, valeva la pena leggere), invece di dare la colpa dell’insorgenza del virus a un sistema capitalistico malato che commercia carne su larga scala, deforesta, crea ovunque industrie tossiche, si tendeva, appunto «ad accusare piccoli gruppi di cattivi anziché cercare cause sistemiche». Ecco allora la famigerata colpevolizzazione del cittadino, rilevata in modo lucido anche dal sociologo Andrea Miconi nel suo saggio Epidemie e controllo sociale (qui la recensione su “Carmilla”): la colpevolizzazione di chi esce senza motivo, dei runner, di chi non porta la mascherina all’aperto e via di seguito. Una narrazione dominante scaturita dall’emergenza pandemica perché, come nota Wu Ming 1 per mezzo di una efficace metafora, quella stessa emergenza «esasperava tutte le tendenze che andavo descrivendo, stagliandole contro una luce violentissima, una lampada da terzo grado puntata in faccia al mondo» (QdQ, p. 301).
Infine, nella già citata seconda parte del suo saggio che, sub specie narrationis, si ambienta al bar Pilade, lo scrittore analizza i «filamenti di genoma transatlantico di QAnon», dalla caccia alle streghe al «revival di Satana», attraversando e scandagliando gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Fino agli anni Novanta, per rivolgere la sua attenzione ancora all’Italia e al caso “Bambini di Satana”, quando nel 1996 viene arrestato a Bologna Marco Dimitri insieme ad altri esponenti dell’associazione «Bambini di Satana». Un’associazione culturale vicina alla sinistra antagonista che – è bene precisarlo – non ha niente a che fare col Maligno o l’Anticristo: «Per “satanismo”, Dimitri e soci non intendono una versione capovolta del cristianesimo ma una miscela di neopaganesimo, panteismo, libertinismo, anarchismo… I numi tutelari vanno da Aleister Crowley ad Arthur Rimbaud» (QdQ, pp. 515-516). Le accuse nei loro confronti sono svariate «e cambieranno di continuo, in un proliferare di fattispecie di reato: violenza sui minori, violazione di sepolcro, profanazione di cadavere…» (QdQ, p. 515). Stupri, rapimenti, bambini infilati nelle tombe, messe nere nei cimiteri della Bassa ma nessuno che si sia mai accorto di nulla. Nessuno si è mai accorto di nulla semplicemente perché non c’è stato niente di tutto questo, come non esisteva nessun sotterraneo al Comet Ping Pong. Lo stesso autore, insieme ad altri del collettivo Wu Ming, allora Luther Blisset Project, ha svolto all’epoca una controinchiesta per smascherare questa ridda di accuse, montate da diversi quotidiani e soprattutto da Il Resto del Carlino. La controinchiesta di Luther Blisset, come molte delle sue iniziative, ha una sottile origine letteraria, modellata sull’inchiesta realizzata dall’investigatore Dupin in Il mistero di Marie Rogêt di Edgar Allan Poe: nel racconto, Poe riflette su come la cronaca ha raccontato l’omicidio di Marie Cecilia Rogers, avvenuto a New York nel 1841, ricostruendo le incongruenze, giustapponendole e facendole giocare l’una contro l’altra. Così, «a partire dal settembre del 1996, semplicemente facendo le pulci al Carlino, esponiamo le aporie del teorema giudiziario, critichiamo la linea della procura e mostriamo le dinamiche della mostrificazione a mezzo stampa» (QdQ, p. 531). Alla fine, anche grazie a questa controinchiesta, le coscienze si smuovono, si creano delle brecce nella narrazione dominante e alla fine Dimitri (che si era fatto 400 giorni di carcere, molti dei quali in isolamento) e gli altri vengono assolti. Si è creata una breccia nel «satanic panic», in quel credere ciecamente nell’esistenza di una setta di satanisti pedofili che gode di protezione in alto e di cui fanno parte anche uomini di potere, già preesistente in Europa e in Italia prima di QAnon. Perché, come leggiamo in un articolo a firma Wu Ming uscito su «Giap», dal titolo Sulla morte di Marco Dimitri (13 febbraio 1963-13 febbraio 2021), «non sono “americanate”. Quella merda l’abbiamo inventata noi». E a Marco Dimitri (scomparso nel febbraio di quest’anno), che si era avvicinato al Luther Blisset Project e alla Wu Ming Foundation, è affettuosamente dedicato La Q di Qomplotto.
Ma non è finita qui: le ultime pagine del libro ci narrano, nell’ormai silenzioso e notturno bar Pilade, altre vicende di «satanic panic» nella bassa padana, accuse di pedofilia e presunto satanismo in quella che sembra ormai diventata – come suonava il titolo di una canzone dei CCCP – una vera e propria «Emilia paranoica». Ma la penna, la voce e la narrazione dell’autore continuano instancabili in una lucida opera di debunking, di smascheramento, nella volontà e convinzione di proferire una verità critica, quasi come un antico parresiastes. Infatti, come afferma Michel Foucault, la funzione della parresia (dire la verità a costo di un rischio) nella Grecia antica «non è di dimostrare la verità a qualcun altro, ma quella di esercitare una critica»2. Ed è una vera e propria critica in nome della lucidità di pensiero quella portata avanti dallo scrittore in tutte le cinquecentonovantuno pagine del suo libro, per smascherare paure e superstizioni, quelle narrazioni dominanti che si fanno largo fra bombe e complotti, per «creare un immaginario liberatorio e alternativo contro un immaginario tossico»3, fino agli ultimi lembi narrativi che si srotolano in quell’onirico e stupendo bar notturno.