Le Primeras Líneas che in questi due mesi hanno difeso il diritto a manifestare del popolo colombiano non devono difendersi solo dagli attacchi spietati e violenti delle forze armate – che come abbiamo visto hanno l’obiettivo di uccidere, provocare ferite e terrore – ma devono anche difendersi dagli attacchi, altrettanto spietati e subdoli di politici “sinistri” inclini a posizioni vicine al governo piuttosto che di appoggio al paro nacional. È il caso di Claudia López, sindaca progressista della capitale Bogotá, al centro negli ultimi giorni di forti polemiche per alcune dichiarazioni a dir poco discutibili.
Eppure i dati drammatici parlano chiaro: sessantaquattro giorni di “paro nacional” e 84 morti, 1790 feriti, 3274 arresti arbitrari secondo l’ultimo report di Defender la Libertad. Dati che fanno rabbrividire e indignare e dimostrano una violenza criminale da parte delle forze armate colombiane, in particolare della famigerata ESMAD, che nel loro “curriculum” possono vantarsi di commettere impunemente abusi, violenze, sparizioni forzate, massacri, vittime e stupri.
Dati dietro a cui ci sono ingiustizie e dolore ma che alla sindaca Claudia López sembrano non importare troppo, impegnata com’è a indignarsi per i blocchi stradali che creano disagio alla cittadinanza, per gli incendi ai bus o alle stazioni del TransMilenio (spesso questi eventi dolosi sono messi in atto da provocatori o dagli stessi agenti in borghese), per la tranquillità negata alla “gente de bien” bogotana: «rifiutiamo tutte le forme di violenza, vandalismo e criminalità e lanciamo un appello al rispetto della vita. Non permetteremo assembramenti né manifestazioni nel Portal delle Americhe, nel Portal Suba né nelle vicinanze. Non ci sono garanzie per manifestazioni pacifiche». Quello che avete appena letto è solo uno dei tanti messaggi contraddittori lanciato dalla sindaca. Su un punto tuttavia ha ragione, non ci sono garanzie per manifestazioni pacifiche perché la ESMAD è fuori controllo e le attacca tutte indistintamente. Di fronte a questa situazione la sindaca di Bogotá lancia il suo “j’accuse” non contro le forze armate – che come abbiamo visto dalle cronache e dai video pubblicati in rete dai manifestanti proviene nella quasi totalità dei casi proprio dagli uomini in divisa -, bensì contro i manifestanti, coloro che le violenze le subiscono da oltre due mesi, coloro che si organizzano per resistere.
In molti ricorderanno l’entusiasmo generato dall’elezione a sindaco della capitale di Claudia López nell’ottobre di due anni fa: lei, la prima sindaca donna di una capitale latinoamericana, attivista per i diritti LGBTI ed ecologista, aveva un programma elettorale di tutto rispetto, nel quale spiccavano le politiche di genere e a favore dei settori emarginati, la lotta contro il razzismo e per i diritti delle comunità indigene ed afro discendenti. Come è diventata ormai una triste prassi, i programmi progressisti una volta giunti al potere si sgonfiano, i candidati si dimenticano dei propri elettori e, in un macabro gioco politico, barattano la dignità della popolazione più povera per calcoli politici, con il fine di favorire la propria ascesa politica e la “governabilità per la governabilità”. Di quel programma innovatore resta quindi ben poco, di certo non l’empatia verso quei settori sopra indicati che hanno contribuito alla sua vittoria elettorale. Il paro nacional ha sgomberato ogni dubbio dimostrando come la sua principale preoccupazione sia quella di non dispiacere all’uribismo, allo status quo: se da un lato si schiera a favore di un generico diritto alla protesta, dall’altro non perde occasione per attaccare i manifestanti e ostacolarli nella loro lotta per una Colombia più giusta e senza violenza.
Le critiche verso il suo operato durano da diverso tempo e si sono acuite con lo scoppio del levantamiento popular il 28 aprile scorso. Ma è negli ultimi giorni che le tensioni con i manifestanti sono esplose radicalmente: con il pretesto della morte di un motociclista a Portal de la Resistencia – che lei si ostina a chiamare Portal de las Americas non riconoscendo il valore simbolico della conquista e del cambio di nome – ha vietato le manifestazioni e gli assembramenti proprio lì e a Portal Suba, luoghi simbolo della resistenza in questi mesi di sciopero generale. Il divieto ha di fatto dato carta bianca alla repressione della ESMAD che nei giorni seguenti non si è fatta problemi a sgomberare il luogo con l’abituale uso della violenza che la contraddistingue.
Nei giorni successivi Claudia López si è distinta per ulteriori attacchi al paro nacional. Secondo l’alcaldesa tutte le forme di protesta viste in questi mesi obbediscono a interessi politico-elettorali dei partiti di opposizione (in particolare di Colombia Humana, dell’ex candidato presidente Gustavo Petro), i quali finanzierebbero i «pochi giovani radicalizzati perché gli costruiscano una campagna del caos». Accuse che, guarda caso, sono piaciute anche all’ex presidente Álvaro Uribe che sui social ha elogiato la sua “importante denuncia”.
Un’accusa forte e non supportata da prove che, stigmatizzando e criminalizzando la protesta sociale, mette in pericolo proprio chi partecipa alle manifestazioni dando alle forze armate una legittimazione politica a compiere qualsiasi abuso e violenza. L’Asamblea Nacional Popular ha risposto così alla sindaca: «Nuovamente. A nome delle primeras lineas, ollas comunitarias, brigate di salute, squadre dei Diritti Umani, media alternativi, organizzazioni, movimenti e assemblee che confluiscono nell’Asamblea Nacional Popular, dichiariamo che stiamo nelle strade autonomamente. Non ci motiva ne ci sostiene nessun politico, partito elettorale, candidato o forza esterna oltre alla nostra indignazione, rabbia e necessità di cambiare questa ingiusta realtà, lottare contro l’impunità e la violenza strutturale, imposta dalla classe dominante al potere». Oltre a mettere in pericolo i manifestanti, l’accusa della López, ci da anche una visione chiara di come la classe politica vede la popolazione: peones incapaci di pensare e bisognosi di una élite che li guidi, carne da macello, da usare in campagna elettorale e da “vendere” alla prima occasione utile.
Sempre nei giorni scorsi l’Alcaldía di Bogotá ha promosso un “Tavolo di Dialogo e Garanzia” con le Primeras Líneas della città per dimostrare la buona volontà delle istituzioni di venire incontro alle istanze della piazza. Ma a quel tavolo, la stessa Claudia López ha rinunciato all’ultimo, accusando sui social i manifestanti di non voler dialogare e dimostrando al contrario, che è alle istituzioni che non interessa dialogare con nessuno, ma solo estirpare il seme della ribellione dalle strade, vera e pericolosa alternativa allo status quo fatto di privilegi, disuguaglianze e violenze.
Ma i video in rete parlano chiaro: al tavolo di dialogo lanciato dal governo cittadino erano presenti oltre 200 giovani che invano hanno aspettato l’arrivo della sindaca. I loro messaggi sono chiari e forti: per Simona, della Primera Línea Escudos Azules, «non ci può essere dialogo fino a quando ci sarà militarizzazione nelle strade». Sulla stessa lunghezza d’onda anche altri giovani che avvertono la López di aver risposto alla chiamata ma che non ci può essere nessun dialogo fino a quando la ESMAD rimarrà nelle strade con licenza di uccidere.
Jóvenes manifestantes deciden no hacer ningún tipo de negociación con la alcaldía, después de que la alcaldesa Claudia López les dejó plantados y plantadas en la mesa. Sin diálogo no hay nada.#ParoNacional#ParoNacional1j#ClaudiaMentirosa#ClaudiaMientepic.twitter.com/ZW9XVbTsGG
— Colectivo Vestigios (@cvestigios) July 1, 2021
E in fondo hanno ragione. Che dialogo è quello in cui una delle parti in causa ha un fucile puntato alla testa? Come si può pretendere di chiamare al dialogo di giorno e di notte sguinzagliare cani rabbiosi che aggrediscono, torturano, mutilano, stuprano e uccidono? Tra le tante cose, il paro nacional ha dunque messo in risalto anche la metamorfosi di Claudia López, il cui trionfo è legato a un’immagine di “altra politica”, ma che ha ereditato lo stile “uribista”: quello di chi utilizza la violenza fisica e verbale come strumento politico, di chi non si assume la responsabilità di parole e azioni che provocano conseguenze drammatiche alla popolazione, di chi con accuse false e pretestuose stigmatizza e criminalizza la lucha social.
Foto di copertina: Asamblea Nacional Popular