Da quando il governo Draghi si è insediato, creando un ministero per la Transizione ecologica, le grandi corporation italiane si sono tutte trasformate da causa della crisi – ecologica e non solo – a salvatori del Pianeta, impegnate nella costruzione delle molteplici soluzioni, in particolare quelle che verranno pagate dai miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Articolata ed efficace analisi di Elena Gerebizza per l’associazione ReCommon, che mette in discussione la strada scelta dal governo con l’attuale PNRR in nome di una transizione che non convince: «Come da manuale, per il sistema capitalista ogni crisi diventa opportunità per perpetrare un nuovo ciclo di estrazione».
«Come da manuale, per il sistema capitalista ogni crisi diventa opportunità per perpetrare un nuovo ciclo di estrazione» si legge nell’articolo che mette in evidenza come anche questa volta sia stata colta «l’occasione ghiotta per cooptare concetti come transizione, resilienza, rivoluzione verde da parte di un sistema incentrato sui combustibili fossili che si sta rigenerando, mantenendo intatta la struttura di potere, ma anche e purtroppo assicurando lunga vita alle fossili e in particolare al gas».
Condividiamo qui con i nostri lettori anche lo sviluppo dell’analisi diffusa da ReCommon.
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In poche settimane le promesse del Green Deal europeo e della transizione ecologica del governo Draghi si sono rivelate essere fumo negli occhi per chi aveva bisogno di sapere che ci sarebbe stato un lieto fine dopo la crisi in corso.
Per capire come costruire questo lieto fine è necessario spostare lo sguardo dalle promesse di governo e corporation verso ciò che davvero serve perché questa transizione non sia solo ecologica ma anche costruita assieme, giusta, equa e sostenibile.
Democrazia energetica, e non solo
L’accentramento è forse la caratteristica principale del sistema energetico fondato sulle fossili: Poche grandi corporation estraggono, producono, trasportano energia, decidendo il bello e il cattivo tempo. Sono loro a produrre le stime di domanda futura di energia, che vengono utilizzate per giustificare nuove infrastrutture. Sono loro a sedere ai tavoli di concertazione dove i governi e le istituzioni europee decidono le politiche energetiche, ma anche come utilizzare le risorse pubbliche. Costruire un sistema energetico distribuito e radicato nei territori significa riprendersi uno spazio di autonomia e decisionale, erodendo il potere e delegittimando queste grandi aziende che mettono il proprio portafogli – e quello dei loro grandi azionisti e investitori – prima del nostro futuro.
Rosolino Sini, responsabile tecnico del comune di Benetutti (SS), si occupa della gestione dell’azienda elettrica comunale. Con circa 1800 abitanti, Benetutti è diventato “famoso” negli ultimi anni proprio per l’innovativo approccio all’energia. Il comune è infatti uno dei pochi in Italia ad avere la gestione autonoma della linea elettrica, ma soprattutto è riuscito a fare di questo un’occasione per incentivare nel corso degli anni l’installazione di fotovoltaico sulle strutture pubbliche e private del paese. Il comune ha in corso un progetto di installazione di una smart grid, che permetterebbe al territorio di raggiungere la piena autonomia energetica.
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Gli enti pubblici e le istituzioni presenti sui territori possono svolgere un ruolo importante quindi, e oggi più che mai ci sono le condizioni perché possano farlo collegandosi a percorsi dal basso, che quindi permettano di costruire assieme alle persone che vivono sul territorio la propria autonomia energetica, sostenibile e giusta.
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Costruire insieme un modello diverso
A Barcellona la crisi del 2008 e la dura crisi economica che ha portato alle proteste del 2011 sono state l’humus per la nascita di decine di iniziative orientate all’autogestione e alla ricostruzione di spazi di costruzione collettiva che vanno ben oltre la partecipazione. Si tratta di iniziative nate e costruite dal basso, nei quartieri, che poco alla volta si sono articolate esplorando le possibilità che emergevano proprio dal “fare assieme”. Dalle cooperative di autoproduzione e consumo di prodotti agricoli, fino alla nascita di una rete sulla sovranità energetica e di una piattaforma cittadina contro la povertà energetica. La crisi economica e finanziaria di quegli anni ha fatto emergere un problema fino a quel momento invisibile, ovvero il prezzo salato delle bollette energetiche in tutta la Spagna, tra le più care in Europa, e il numero importante di persone anziane o famiglie in difficoltà che non riuscivano a pagare le bollette. La rete è nata così, chiedendo che l’accesso all’energia fosse un diritto, ma anche rimettendo in discussione il modello energetico centralizzato e controllato da poche grandi corporation, e avviando un processo di costruzione dal basso di un modello diverso, fondato sull’auto produzione e consumo, staccato dalle fossili, cooperativistico e partecipato.
Da questo fermento è nata Som Energia, una cooperativa senza scopo di lucro di produzione e consumo di energia esclusivamente rinnovabile. Dalla sua fondazione nel 2010, Som Energia conta oggi oltre 72mila soci e 127mila contratti in Catalogna e in tutta la Spagna. Ma non solo: Som Energia è prima di tutto un esempio, che ha ispirato e continua a ispirare la nascita di nuove cooperative energetiche in tutto il paese. I soci di Som Energia, organizzati in gruppi territoriali, sono diventati in alcuni contesti gli animatori di processi di trasformazione che vanno ben oltre l’energia.
Cambiare il modello a partire dalle nostre comunità
Da cosa nasce cosa: come ci racconta l’esempio di Som Mobilitat, dove alcuni soci di Som Energia hanno avviato un ragionamento sulla mobilità e come riorganizzarla, che ha portato alla nascita di una cooperativa di mobilità. L’obiettivo è favorire l’utilizzo di mezzi pubblici e delle bici, riducendo gli spostamenti, e acquistare assieme alcuni veicoli elettrici da utilizzare nei casi in cui non si possa fare a meno di un’automobile. Il tutto in maniera super innovativa e in rete a livello europeo.
Som Mobilitat è una cooperativa di consumatori di circa 1500 persone nella città di Matarò, in uno spazio collettivo di coworking e laboratorio di esperienze.
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Riprendiamo le fila delle nostre vite
Dalla cooperativa di produzione e consumo di cibo, alla costruzione di uno spazio di vita e di cura comune, in cui l’energia, l’agroecologia e la sostenibilità sono alcuni dei temi centrali. E’ il caso di Calcasas, una comunità che sta dentro una cooperativa abitativa in cessione d’uso nel cuore della Catalogna, dove 15 adulti e 10 bambine e bambini stanno sperimentando un modo diverso di vivere assieme che mette al centro la vita, bel oltre quella delle persone della comunità. Sperimentare nuove pratiche perchè, ci dice Alex, la transizione passa dal collettivo, dal gruppo, dalla costruzione di cose in comune. Un fare che ci da la possibilità di fare ciò che desideriamo, assieme, perchè nell’individualità ci perdiamo. Sono i gruppi di persone organizzate che risolvono problemi e fanno cose, non individui singoli. E così diversi dei membri di Calcasas sono anche soci di Som Energia attivi nei gruppi locali che cercano di sostenersi a vicenda nella costruzione collettiva e a partire dai territori di progetti energetici realmente trasformativi. Non solo perchè si tratta di energie rinnovabili, ma anche per come vengono costruiti e decisi.
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Le esperienze non mancano
A Olzai, un comune di circa ottocento abitanti in provincia di Nuoro, nel cuore della Sardegna, la giunta ha firmato una dichiarazione di intenti che la impegna a un cambio di rotta rispetto alla logica estrattivista. In questo senso va la decisione della giunta di firmare una mozione contro la metanizzazione, ma anche quella di mantenere una gestione pubblica dell’acqua, o di impegno contro l’incenerimento dei rifiuti.
Ester Satta sindaca di Olzai ci dice che bisogna pensare a un modello di sviluppo diverso.
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Crediamo che l’unica transizione possibile debba passare per un cambio del modello energetico e produttivo, in cui le comunità e i territori possano avere voce in capitolo. Serve una trasformazione radicale della società, ripartendo dal basso e dai territori, dalla definizione dei bisogni reali e non basata sulle proiezioni plasmate dalle stesse corporation che oggi controllano il mercato energetico, e non solo quello.