Genova tra narrazioni e immaginari: il report del dibattito a Sherwood Festival

Lunedì 19 luglio si è tenuto a Sherwood Festival il primo dei tre dibattiti dedicati al ventennale di Genova 2001. Hanno partecipato al dibattito Angelo Miotto (direttore di QCode Magazine e curatore di Genova per chi non c’era), Daniele Maffione (autore di Da Seattle a Genova) e Martina Vultaggio (attivista dei Centri sociali nel Nord Est). Ha introdotto e moderato Antonio Pio Lancellotti (Global Project).

Nell’introduzione ci si è interrogati sul significato di parlare di Genova 2001 a Sherwood Festival, animato da realtà politiche che furono protagoniste di quelle mobilitazioni e che continuano oggi a costruire mobilitazioni volte a creare un mondo diverso. Il movimento non nasce a Genova: basti pensare all’importanza degli anni ’90, dalla rottura rappresentata dal Chiapas all’avvento dei centri sociali che in Europa riempivano le fabbriche abbandonate dal fordismo in declino, inserendosi negli interstizi di un capitalismo in lenta trasformazione. Ma soprattutto il movimento non muore a Genova, come invece hanno suggerito alcune letture problematiche, e per questo ci interessa parlare anche di ciò che è stato costruito sull’eredità di quel ciclo di lotte.

La prima domanda che è stata rivolta agli ospiti è stata: «Dopo vent’anni Genova 2001 è ancora un evento mainstream, perché?».

Angelo Miotto, giornalista, ha risposto: “C’è la mania dell’anniversario, la stampa si avventa sugli anniversari e ne costruisce una funzione enfatica, ma poi appena terminata la ricorrenza il tema viene inesorabilmente abbandonato. Nel mainstream, vediamo storie che parlano di repressione facendo leva sull’emotività del pubblico, ma noi la repressione già la conosciamo, dobbiamo anche guardare oltre”.

Martina Vultaggio: «Sono una delle tante persone che è stata a Genova, nel percorso del Carlini. Un elemento della narrazione mainstream attuale che trovo problematico è che parlano soprattutto le forze dell’ordine, che di quella repressione furono gli autori. Ad ogni modo, coloro che pensano meno a Genova nei termini di una ricorrenza annuale sono colore che c’erano e continuano a esserci».

Daniele Maffione: «C’è un atteggiamento morboso da parte della stampa rispetto al momento dello scontro, dando meno importanza ai percorsi politici. Si sta cercando un’operazione simile a quella della narrazione mainstream sulla Resistenza, ovvero generare una memoria ossificata, separata da una lotta viva che continua nel tempo».

La seconda domanda è stata rivolta ad Angelo Miotto, a cui è stato chiesto di spiegare il significato del titolo di uno dei saggi da lui scritti all’interno del libro: “L’eredità del G8: il seme sotto la neve”. Come possiamo intendere questo seme per non cadere nel reducismo?

«Questo è un libro dedicato soprattutto a chi non c’era, per motivi anagrafici o perché non era ‘interessato’. Il sottotitolo è la citazione di un passo profetico di Alessandro Leogrande, scritto poco dopo i fatti di Genova, in cui preconizzava un’appropriazione delle istanze di movimento da parte di ambienti più mainstream, ma anche una incapacità della politica istituzionale di agire per un mondo diverso tramite disegni di legge, riforme della tassazione internazionale, ecc. La critica all’assenza di democrazia di questi vertici è continuata in un movimento carsico fino ai nostri giorni. Le pratiche di vita e di protesta si sono rese capillari arrivando dunque al livello locale. Certo ci sono stati molti attriti e il movimento ne ha prese tante, ma non è morto. Da parte dei giovani oggi c’è una grande curiosità, un desiderio di essere informati e di ottenere gli strumenti per capire quella complessità».

Antonio Pio Lancellotti si è poi rivolto a Martina Vultaggio: «Tu hai fatto parte a lungo del movimento No Dal Molin, un movimento territoriale ma al contempo globale. A Genova l’ambientalismo e le lotte vertenti attorno alla riproduzione sociale erano parte di un orizzonte anticapitalista. Come vedi questa tematica?».

«Ricordo in primo luogo il movimento antirazzista, con la campagna contro i Cpt, che ha visto anche la mobilitazione di via Corelli. Anche a Vicenza, ci fu un’occupazione abitativa con i migranti che coinvolse anche la società civile mettendo in moto un processo di integrazione. Dopo Genova, a Vicenza è nato l’Osservatorio sulle servitù militari, che aveva l’obiettivo di controllare l’esercito statunitense in città nell’ambito della campagna No Dal Molin. È importante ricordare che Genova avveniva prima dell’11 settembre, che poi ha segnato anche i dibattiti con le altre realtà anche a livello locale. Io non ho vissuto il transfemminismo come un’eredità di Genova, l’ho vissuto più tardi come un processo volto a cambiare anche le dinamiche interne al movimento. Lo stesso vale per l’antispecismo, a Genova ci ponevamo una serie di problematiche ambientali ma oggi c’è qualcosa in più. Su questi temi c’è molto da imparare dai più giovani».

A Daniele Maffione è stato chiesto invece di parlare del punto di vista dal Sud che emerge nel suo libro.

«Parto dal caso dello stabilimento Whirlpool di Napoli. La multinazionale ha deciso dall’oggi al domani di chiudere la fabbrica per mero razzismo industriale, e alle operaie e operai va naturalmente la mia solidarietà. Nel libro si riflette sul fatto che Genova è stata una tappa importante di un movimento globale in grado di utilizzare le nuove tecnologie di comunicazione. A Napoli, nel contesto della mobilitazione precedente a Genova, l’hacklab creò un finto sito dell’Ocse che fu scoperto solo dopo il comunicato della Rete no global. Intanto in America Latina c’era Porto Alegre e una serie di esperienze determinanti per quel continente. L’eredità è una memoria viva, è quindi necessario ribaltare l’attuale immaginario di grigio e oppressione per dare forza al desiderio di cambiare il presente».

Un’altra domanda rivolta a tutti i relatori: «Il convitato di pietra di questa discussione è il neoliberismo. A vent’anni di distanza – anche tenendo presente la recente mobilitazione di Venezia contro il G20 della Finanza – quali sono le parole chiave della lotta contro il neoliberismo?».

Angelo Miotto: «Dopo Genova, il Fmi ed economisti a esso legati hanno fatto una certa autocritica sulle posizioni neoliberiste più ideologiche. Non c’è però un pensiero economico che abbia una possibilità di venire messo in pratica. L’economista Clara Capelli mi diceva che c’è un problema di legittimità per gli economisti eterodossi all’interno della disciplina stessa. Oggi il capitalismo si sta tingendo più che mai di verde, ma a ben vedere – come ci mostra Re:Common – gli incentivi stanno andando alle multinazionali estrattiviste per progetti non davvero sostenibili. Vediamo una cosmesi simile per quanto riguarda il marketing di grandi brand in sostegno alla causa LGBTQ+».

Daniele Maffione: «Gramsci ha detto ‘Istruitevi, organizzatevi, entusiasmatevi’, parole di grande lungimiranza e attualità. Bisogna riappropriarsi della parola, anche l’Articolo 3 della Costituzione sancisce il diritto alla partecipazione alla cosa pubblica, cosa che dialoga con le ragioni di quel movimento che si è nutrito di una partecipazione straordinaria, soprattutto giovanile. Bisogna recuperare la capacità di sognare e agire tutte e tutti assieme».

Martina Vultaggio: «Il greenwashing è un tema oggi cruciale, ma anche all’epoca di Genova c’era una riflessione profonda sulle contraddizioni di comprare i prodotti della globalizzazione. Un altro elemento era l’importanza della comunicazione. Purtroppo, i social non ci hanno arricchito, al contrario. Indymedia era basato sull’idea di diventare i media e ci costringeva a mettere nero su bianco dei pensieri. Oggi mettere dei like a delle cose scritte da altri non dà lo stesso livello di partecipazione. Comprare in modo diverso – magari però su Amazon – elimina il conflitto. Allo stesso modo andare a scuole alternative ma private significa rinunciare alla difesa dell’istruzione pubblica».

L’ultima domanda è stata: «A Genova c’era un movimento globale. Poi ce ne sono stati altri, pensiamo a Fridays for Future e Non una di meno. Quanto è importante la dimensione globale dei movimenti?».

Angelo Miotto: «Molte lotte di rivendicazione che abbiamo visto di recente in Europa hanno visto la partecipazione e la solidarietà internazionale ma manca spesso una piattaforma comune. C’è bisogno di creare i ponti, un po’ come il Chiapas ha fatto per noi, unendoci molto a livello internazionale. Bisognerebbe fare un po’ come la “Nazione indiana”, cavalcare assieme pur nelle differenze».

Martina Vultaggio: «La dimensione globale delle lotte va costruita subito, perché oggi la destra sta preparando la strada per una politica disastrosa su salute, ambiente e servizi, come ho modo di vedere nel mondo della scuola dove lavoro».

Daniele Maffione: «L’esigenza di scrivere è stata anche quella di trasmettere un filo rosso della memoria. In dote al movimento di Genova c’era una fortissima amicizia tra popoli, un grande internazionalismo. Noi ci siamo voluti legare alla causa palestinese, per questo tutti i proventi del libro andranno alla comunità palestinese di Napoli».

Il dibattito è stato concluso da Antonio Pio Lancellotti: «Oggi non abbiamo parlato per scelta dell’aspetto più conosciuto di Genova, quello della repressione. Questo non significa che non vogliamo ricordare Carlo Giuliani, tutti e tutte coloro che sono stati massacrati dalla polizia e dai processi, e denunciare coloro che su questa violenza han fatto carriera. Anche oggi ci sono tante lotte vive, l’appello è quello di guardare a Genova non con nostalgia, ma con la voglia di imparare per agire, perché bisogna saper osare oggi come vent’anni fa».

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