“La vita ci viene data in dono; noi la meritiamo offrendola”
(Rabindra Nath Tagore)
Poco meno di mezzora fa ho saputo del suicidio del Dottor Giuseppe De Donno, e la mia tranquilla serata casalinga assieme a mia moglie si è improvvisamente trasformata in un concentrato di dolore e di rabbia furiosa, di ira, un sentimento che persino di questi tempi non provo spesso, sono un incazzuso, non un iracondo, probabilmente il Padre Dante mi assolverebbe, come assolverebbe Giuseppe De Donno per questo gesto con cui ha deciso di rinunciare all’amore ed alla profonda stima di quanti avevano apprezzato i suoi sforzi e la sua semplicità.
Quel suo essere così umilmente uomo, schivo e quasi timido, persino vergognoso dell’attenzione che si era concentrata su di lui per aver salvato tante vite in maniera così semplice e senza tanta fanfara, quel suo essere unicamente un medico che faceva il medico, che curava e salvava il suo prossimo.
Un medico come oggi solo pochi hanno il coraggio di essere, vuoi per pochezza, vuoi per interesse, vuoi perché, come diceva Don Abbondio, “il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare”…, ma allora perché hanno fatto i medici? Non lo sapevano che essere medici, curare i corpi sofferenti comporta rischio per il proprio corpo e, sì, anche per la propria anima…, perché è nelle loro mani che si trasferisce il potere, che non è soltanto divino, di aiutare la vita, di tenere lontana la morte.
Non ho conosciuto il Dr. De Donno se non attraverso le poche interviste che ho potuto trovare in rete, quelle non censurate, quelle che sfuggono a questa censura occhiuta che fa di tutto per impedire che si conosca la grande impostura con cui si sta cercando di trasformare l’essenza più profonda del genere umano in qualcosa che avrà dimenticato completamente l’Uomo nell’illusione di giocare a Dio.
So però che era una persona semplice e schiva, senza brame di gloria televisiva, non era quello il suo senso di compiutezza; ne sono sicuro, discendo da medici omeopati che curavano gratis i poveri, che curavano per amore della scienza, per la profonda gratificazione che derivava dalla lotta contro la malattia, dalla scoperta faticosa e sofferta di quanto si poteva fare per ridurre le sofferenze e le morti.
So che adesso Giuseppe De Donno è in loro compagnia, che lo stanno stringendo in un abbraccio che raccoglie tutti i medici veri, come quel meraviglioso medico, uomo e musicista che fu Albert Schweitzer. Nel dolore che ho provato stasera, per quest’uomo che non ho mai incontrato di persona ma che è mio fratello più giovane nell’anima, in questo dolore che ancora provo e che mi fa lacrimare anche mentre scrivo, trovo adesso la forza per dire a tutti quelli che gli hanno dato addosso, che lo hanno portato a questo passo:
Sì, io accuso:
i falsi medici che tradiscono il Giuramento di Ippocrate,
i politicanti da strapazzo della maggioranza e gli opportunisti dell’opposizione, che permettono che si defechi sulla nostra Costituzione (quella che fu definita “la Costituzione più bella del mondo”? E allora perché si permette che se ne faccia strame?),
le strapagate tele-prostitute che blaterano e sproloquiano soltanto perché usano testa per tenere separate le orecchie e la lingua per fare da carta igienica al potere, che per ancor meno di un piatto di lenticchie vendono anche il futuro dei propri figli:
questa morte ricade sulla coscienza di tutti loro (supposto che l’abbiano)! Che possano averne l’opportuna mercede.
Sì, io accuso tutti quegli omminicchi e quaquaraquà di questo paese di tele-beoti fifoni e rincoglioniti, i soli che mezze figure come queste, asservite e prostituite ad una piccola banda di miliardari in pieno delirio di onnipotenza è riuscita a rincoglionire e ad illudersi di governare (noi, esseri umani, vivi non ci asserviremo, piuttosto raggiungeremo il Dottor Giuseppe De Donno):
questa morte ricade su tutti quelli che hanno immediatamente visto ed arraffato il “business” che hanno intravisto nel lavoro di quest’uomo che, da solo, valeva più di tutti loro messi insieme, più di tutti quelli che si nascondono dietro lo spalle delle forze dell’ordine.
Forse Giuseppe De Donno era troppo buono, troppo cristiano persino per disprezzarli; ha preferito fare torto a se stesso, e purtroppo a tutti noi, privandoci della sua preziosa vita. Non ha pensato che non se lo meritavano, che a noi era più utile lui da vivo, che tutti loro.
Io accuso tutti i colpevoli di questa morte, e se Giuseppe De Donno ormai è in una dimensione in cui potrà perdonarli, io, da questa, mi auguro che siano tutti maledetti!
E accuso me stesso, per la vigliaccheria che mi ha fatto esitare a pubblicarlo.
Arrigo de Angeli