Domenica 1° agosto i cittadini messicani sono stati chiamati ad esprimersi alle urne per la Consulta Popular, indetta dal governo di Andres Manuel Lopez Obrador, sulla possibilità o meno di indagare le responsabilità politiche dei precedenti presidenti rispetto a diversi casi di violazioni dei diritti umani.
Questa Consulta è un evento particolare nella storia politica messicana per la natura stessa del quesito e degli attori coinvolti e si presta a numerose letture ed interpretazioni.
La formulazione del quesito ha generato sin dall’inizio un dibattito. La volontà di AMLO era quella di proporre esplicitamente la messa sotto inchiesta dei quattro precedenti presidenti Carlos Salinas de Gortari (1988-1994), Ernesto Zedillo (1994-2000), Vicente Fox (2000-2006), Felipe Calderón (2006-2012) e Enrique Peña Nieto (2012-2018) per indagarne le responsabilità rispetto al fenomeno della corruzione sistemica, alle frodi elettorali, ai processi di privatizzazione, alle infiltrazioni del narcotraffico.
A seguito dell’intervento della Suprema Corte de Justicia de la Nación il quesito è stato riformulato chiedendo ai cittadini di esprimere o meno la propria volontà di “iniziare un percorso di chiarimento delle decisioni politiche prese in passato”.
In molti, non solo all’interno dell’opposizione, hanno criticato il principio alla base di tale quesito, che sottometterebbe il processo della giustizia e la sua indipendenza alla decisione emersa dalla Consulta. Vi erano inoltre molti dubbi rispetto a quali potessero essere le effettive disposizioni pratiche che si sarebbero messe in atto qualora la proposta fosse passata.
A confermare le perplessità rispetto alla reale volontà di fare di questa consulta uno strumento per liberare lo stato messicano dalla corruzione, dal clientelismo e dalle infiltrazioni criminali che lo avviluppano sin dalla base, vi sono le polemiche nei confronti dell’INE (Instituto Nacional Electoral). Quest’ultimo a fronte delle dichiarazioni pubbliche rispetto all’organizzazione della Consulta ed alla priorità conferitale, ha evidenziato le consuete mancanze logistiche, strutturali e comunicative che negano la possibilità di accesso ad un’enorme fetta di cittadinanza al diritto di voto ed all’informazione corretta.
Il fatto stesso che il quesito circoscrivesse la necessità di indagare le scelte politiche a quel determinato periodo storico, appena conclusosi ma comunque ormai trascorso, implicitamente relegava le eventuali responsabilità ad un capitolo ormai chiuso della storia messicana. In questo senso, la “Cuarta Transformación” di AMLO sembrerebbe quasi non condividere le politiche di militarizzazione dei territori, di sviluppo dei mega-progetti e di violenza sistemica perpetrate dai precedenti governi. A completare il quadro di un’operazione che appare avere una forte natura mediatica vi sono le stesse esternazioni di AMLO che alla vigilia del voto aveva dichiarato di non potersi recare al seggio a causa di impegni istituzionali che lo portavano fuori la capitale, rivelando poi che nel caso gli fosse stato possibile si sarebbe espresso per il NO.
Le compagne ed i compagni zapatisti hanno assunto sin dall’inizio una posizione chiara a fronte della congerie di punti di vista emersi con questa Consulta, scegliendo di affrontare la contraddizione di un’iniziativa proposta desde arriba che avrebbe avuto come obiettivo indagare le responsabilità politiche di quello stesso mondo che se ne è fatto promotore e che perpetra oggi le medesime logiche. L’obiettivo è la riappropriazione di pratiche di democrazia ormai svuotate di contenuti e significati, in modo analogo a quanto compiuto con la candidatura di Marichuy alle elezioni presidenziali.
Come dichiarato dal Subcomandante Moises, infatti, la Consulta costituiva l’opportunità per perseguire il diritto alla verità di tutti coloro che sono stati e continuano ad essere vittime dello Stato messicano. La possibilità per la moltitudine di esclusi e marginali della società messicana di avviare desde abajo un processo che portasse alla creazione di una Comision por la Verdad y la Justicia para las Victimas.
Vi era quindi la possibilità di risignificare un’iniziativa nata dall’alto, senza reali velleità di giustizia, trasformandola in uno strumento per rivendicare verità e giustizia di fronte ad una classe dirigente che, trasversalmente ai partiti, si delinea come un’oligarchia autoreferenziale che perpetra con la violenza sistemica il proprio status.
Il risultato, com’era prevedibile ha visto la vittoria del fronte del SI, il quale però non ha raggiunto il quorum, ed anzi si è attestato su una soglia molto bassa intorno all’8%. La Consulta infatti è un dispositivo democratico che prevede il raggiungimento del quorum del 40% affinché le disposizioni divengano attuative.
È un dato che appare scoraggiante nella misura in cui restituisce una società disinteressata, per la quale non sembra importante indagare le responsabilità dello Stato, dei suoi organismi, dei partiti e dei suoi principali attori.
D’altra parte, ancora una volta la dimensione comparativa dei territori zapatisti ci restituisce un quadro differente. In tutte le comunità ha prevalso la volontà del SI rispetto alla possibilità di avviare un processo che restituisca a vittime e familiari il diritto alla verità ed alla giustizia.
Come emerge dall’ultimo comunicato, i dodici caracoles e le rispettive Giunte di Buon Governo hanno ricevuto gli atti provenienti da 756 comunità di varia grandezza, non solo aderenti all’organizzazione civile zapatista ma anche appartenenti al CNI e addirittura partidiste (ostili all’organizzazione zapatista, finanziate dai partiti tradizionali). Le compagne ed i compagni zapatisti infatti segnalano come l’INE non si sia occupato di tradurre il quesito nelle differenti lingue maya parlate nelle comunità, non abbia fatto alcun tipo di informazione rispetto all’iniziativa della consulta ed alla natura del quesito limitandosi, nel migliore di casi, a predisporre un seggio senza alcuna spiegazione.
Gli zapatisti hanno sopperito a queste mancanze dispiegando il potenziale dell’organizzazione civile e occupandosi di tradurre il quesito e di veicolare l’importanza dell’iniziativa non solo nelle proprie comunità, raccogliendo i voti di coloro che non vengono considerati dallo Stato aventi diritto, in quanto esclusi dallo status di cittadino perché appartenenti a comunità indigene e senza documenti.
Così gli “estemporanei”, infelice definizione coniata dalla Secretaría de Relaciones Exteriores nel contesto del rifiuto della concessione dei passaporti alla delegazione zapatista in procinto di partire per l’Europa, ancora una volta hanno dimostrato con l’esempio concreto il valore e le potenzialità dell’autonomia zapatista. Valore e bontà che con stupore ci comunicano essere riconosciuto anche da coloro che vi sono sempre stati ostili e che in questo caso hanno sentitamente ringraziato l’organizzazione zapatista per la sua opera di informazione e supporto.
Questo dato restituisce la speranza nel contesto del fallimento della Consulta, dimostrando come attraverso le buone pratiche che caratterizzano il processo di autonomia sia possibile creare consenso e coesione, come dimostrato dalla continua crescita ed espansione dell’organizzazione zapatista anche in contesti tipicamente ostili.
In quest’ottica è lecito auspicarsi quindi un’ampia partecipazione alla costruzione di quel processo democratico fatto di incontri, assemblee, manifestazioni che secondo gli zapatisti dovrebbe prendere avvio in Messico per rivendicare verità e giustizia per tutte le vittime della violenza sistemica dello Stato e che costituirà l’asse della Gira por la Vida nel contesto nazionale messicano.
In tale ambito si inserisce anche la richiesta presentata dalla società civile al Tribunal Permanente de Los Pueblos di aprire un Capitolo Messico come già avvenuto nel 2010. L’apertura di un Capitolo Messico consentirebbe la costruzione di un fronte composto da associazioni, organizzazioni civili e sociali nazionali ed internazionali. Queste attraverso una mobilitazione collettiva potrebbero dare avvio ad un processo di ricerca, denuncia, mobilitazione sociale che evidenziasse di fronte a personalità giuridiche, giornalistiche ed intellettuali di spessore internazionale le responsabilità dello Stato messicano, supportato dal governo statunitense e da un sistema di interessi transnazionali, nel perpetrare la violenza sistemica nei confronti di ampi settori della cittadinanza.
Una violenza che trae origine dal Tratado de Libre Comercio (entrato in vigore il 1° gennaio 1994) che viene riconosciuto come il paradigma fondante di questo modello che non ha affatto cessato di perpetrare la sua violenza come il quesito della Consulta vorrebbe far pensare.