di Sandro Moiso
I met her in a club down in old Soho
Where you drink champagne and it tastes just like
Cherry Cola
C-O-L-A Cola
She walked up to me and she asked me to dance
I asked her her name and in a dark brown voice she said, “Lola”
L-O-L-A Lola, lo lo lo lo Lola
(Ray Davies, the Kinks – Lola, 1970)
Ray Davies, cantante, chitarrista e leader dei Kinks, uno dei più longevi gruppi rock inglesi, ricorda come ad un concerto a New York della band, durante gli anni ’70, al momento dell’esecuzione del brano “Lola”, uno dei primi a parlare apertamente di un rapporto omosessuale, centinaia di drag queen newyorkesi si levassero in piedi, tutte insieme, per cantare, parola per parola, ancheggiando e ballando, l’intera canzone insieme a lui e al gruppo.
Per avere un’idea più precisa di cosa ciò significasse, almeno sul piano dell’immagine, occorrerebbe far riferimento alla copertina del primo disco dei New York Dolls (1973), antesignani del punk di quella stessa città1, al travestitismo provocatorio del glam rock oppure alle scorrerie proto-punk di Wayne County (che in seguito avrebbe cambiato il suo nome d’arte in Jayne County) e i suoi Electric Chairs con brani dal titolo più che esplicito come Cream in My Jeans e Toilet Love.
Senza poi dimenticare che il tutto era stato preceduto e accompagnato dalle straordinarie provocazioni artistiche, filmiche e musicali di Andy Warhol e della sua Factory; a testimonianza di una sfida che nel suo manifestarsi in pubblico con tutta la forza di un’autentica e incontenibile joie de vivre rappresentava, prima di qualsiasi altra cosa, un’aperta e trasgressiva rivendicazione di alterità e libertà.
Well, I’m not the world’s most physical guy
But when she squeezed me tight she nearly broke my spine
Oh my Lola, lo lo lo lo Lola
Well, I’m not dumb but I can’t understand
Why she walked like a woman but talked like a man
Oh my Lola, lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola
Un atteggiamento che esplodeva e si dichiarava proprio in virtù di un clima “rivoluzionario” che in quegli anni percorreva l’Occidente; in cui le lotte degli studenti, degli operai, degli afro-americani (solo per citarne alcune) aprivano conseguentemente le porte ad una radicale presa di coscienza di sé e dei propri inalienabili diritti da parte delle donne e di tutti coloro vivessero, nel loro intimo e sulla propria pelle, tutte le conseguenze dei pregiudizi morali, sociali e famigliari che derivavano da un diverso orientamento sessuale e da una collocazione di genere che usciva dai confini di quella “normalità” che era considerata ancora come l’unica possibile. Creando un clima in cui, per la prima volta, l’unità nella lotta per la liberazione dall’oppressione perbenista borghese e capitalista portava in luce anche quelle, che allora ma troppo spesso ancora oggi, costituivano alcune delle contraddizioni più profonde della società e dei singoli individui atomizzati.
Well, we drank champagne and danced all night
Under electric candlelight
She picked me up and sat me on her knee
She said, “Little boy, won’t you come home with me?”
Well, I’m not the world’s most passionate guy
But when I looked in her eyes
Well, I almost fell for my Lola
Lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola
Lola, lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola
Sull’onda di tutto ciò, nasceva a Torino nel 1971 il FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) di cui ricorre in questi giorni il cinquantenario della formazione.
L’associazione, inizialmente di ispirazione marxista, era stata fondata dal libraio Angelo Pezzana, cui si doveva anche l’apertura della prima libreria “internazionale”, Hellas, autenticamente alternativa della città, ricca di opuscoli marxisti e giornali, soprattutto in lingua inglese e francese, dediti all’informazione controculturale, ed altri attivisti. L’acronimo faceva riferimento al FHAR francese (Front homosexuel d’action révolutionnaire) e all’espressione inglese coming out.
In realtà era stata preceduta dal lavoro di gruppi di omosessuali di varie città italiane che dall’autunno del 1970 si incontrarono per discutere dei problemi che affliggevano gli omosessuali italiani: il gruppo aveva assunto il nome di ASPS, “Associazione di Studi Psico-Sociali”, quindi ancora nascondendo l’identità gay. Nel Fuori!, intorno alla primavera del 1971, confluì anche il Fronte di Liberazione Omosessuale (FLO) fondato sempre nel 1971, dando così vita alla prima grande associazione gay italiana che, nei primi tempi della sua esistenza, avrebbe posto la questione dei diritti degli omosessuali nell’ambito del conflitto di classe tra borghesi e proletari, operando pertanto una rottura netta e totale con tutto quel che l’aveva preceduta fino a quel momento.
Angelo Pezzana enunciava in un editoriale sul primo numero del Fuori! le rivendicazioni dell’associazione: «Noi oggi rifiutiamo quelli che parlano per noi. […] Per la prima volta degli omosessuali parlano ad altri omosessuali. Apertamente, con orgoglio, si dichiarano tali. Per la prima volta l’omosessuale entra sulla scena da protagonista, gestisce in prima persona la sua storia […]. Il grande risveglio degli omosessuali è cominciato. È toccato a tanti altri prima di noi, ebrei, neri (ricordate?), ora tocca a noi. E il risveglio sarà immediato, contagioso, bellissimo».
La prima uscita pubblica di un certo rilievo avvenne il 5 aprile 1972, con la contestazione del I Congresso Italiano di Sessuologia a Sanremo, mentre in seguito il movimento avrebbe finito col federarsi con il Partito Radicale nel 1974 e la rivista sarebbe stata edita fino al 1982.
I pushed her away
I walked to the door
I fell to the floor
I got down on my knees
Then I looked at her, and she at me
Well, that’s the way that I want it to stay
And I always want it to be that way for my Lola
Lo lo lo lo Lola
Girls will be boys, and boys will be girls
It’s a mixed up, muddled up, shook up world
Except for Lola
Lo lo lo lo Lola
Oggi, presso il “Polo del 900” a Torino (dal 23 settembre al 24 ottobre), una mostra ne racconta la storia, anno per anno, attraverso fotografie, filmati, ricordi e testimonianze (vignette, copertine, manifesti). Il presidente del museo Diffuso della Resistenza, Roberto Mastroianni, ha dichiarato che: «Questa mostra ribadisce come il movimento, alla nascita, fosse autoironico e gioioso. Più di quanto non lo siano adesso certe sfumature e certi accenti. Fu una rivoluzione anche simbolica che ruppe l’ipocrisia nel Paese, anche verso quegli intellettuali che omosessuali lo erano, ma tendevano a non farlo vedere”.
Esplodeva la società ed esplodevano le contraddizioni, individuali e collettive, trascinando le lotte in un flusso generale e diffuso in cui l’individualità e il diritto individuale diventavano per forza di cose diritto collettivo all’espressione della propria classe, della propria generazione, del proprio genere e sesso e della comune e vitalistica volontà di vivere una vita che fosse finalmente altra e degna di tal nome in ogni sua manifestazione.
Well, I’d left home just a week before
And I’d never ever kissed a woman before
But Lola smiled and took me by the hand
She said, “Little boy, gonna make you a man”
Well, I’m not the world’s most masculine man
But I know what I am and I’m glad I’m a man
And so is Lola
Lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola
Ora, però, Angelo Pezzana ricorda:
“ho fatto il libraio per 23 anni in una città molto provinciale. Ed essendo un omosessuale che non ha mai avuto intenzione di nasconderlo, ho subito dato un’impostazione di questo genere al mio negozio. La clientela, però, era assolutamente etero (portavo anche copie di Playboy che all’epoca non era distribuito in Italia). Presto è diventata un’alleanza naturale senza ideologie, lontana anche dalle forze di sinistra che all’epoca erano considerate rivoluzionarie. Ma eravamo considerati inutili. Anche nelle manifestazioni per il 25 aprile o il 1° maggio venivamo lasciati al fondo. Noi non abbiamo mai inventato una teoria o una ideologia, non abbiamo mai avuto una linea e si spaziava dai marxisti ai liberali. Quando sento parlare di teoria gender, mi tiro indietro. […] Sembra di parlare di secoli fa, ma basta pensare che anche solo 50 anni fa non si era mai scritta la parola ‘omosessuale’ su un giornale Italiano”2.
Certamente rimane un fondo di amarezza nel ricordo di come certa sinistra, prima degli ulteriori sconvolgimenti portati dal ’77, non avesse il coraggio di affrontare questioni che il movimento generale della società nel suo insieme già poneva all’ordine del giorno e che furono pienamente comprese soltanto da sparuti gruppi del comunismo critico radicale.
Ma ancora più amaro è il calice che occorre oggi ingerire sugli stessi fenomeni e bisogni che, nonostante una maggior visibilità sociale del movimento LGBTQ, sono stati troppo spesso trasformati in rivendicazioni, queste sì oggi digeribili dalla stessa ipocrita sinistra che in quegli anni non seppe e non volle farsene carico in maniera conseguente, tese a riproporre la famiglia borghese monogama e perbenista come base di ogni riconoscimento. Con buona pace del mio amico Arnaldo che ancora, nei primi anni ’80, rivendicava: «Noi omosessuali siamo gli unici veri rivoluzionari, poiché miniamo la società fin dalle sue fondamenta patriarcali e famigliari.»
Così, nonostante una certa trasgressività formale e una certa tolleranza esibita nei giorni dei “pride” ma circondate ancora dal buio del pregiudizio diffuso, all’epoca del ritorno ad una concezione del diritto che, ancora troppo spesso inteso soltanto come specifico e strettamente individuale, diventa la vera tomba di ogni ipotesi rivoluzionaria, di quella intensa e infervorata stagione sembrano rimanere soltanto le ceneri ipocrite.
L’insipido dibattito parlamentare sul disegno di legge Zan, l’ulteriore abuso ai danni del corpo femminile operato per mezzo della pratica, data per scontata, dell’utero “in affitto”3 e l’aspirazione alla formazione “ad ogni costo” di una famiglia mononucleare e borghesissima, della quale, in un tempo non lontano, si sarebbe invece rivendicata la soppressione definitiva. Peccato, davvero, per una grande occasione mancata.