Cinque riflessioni sulla “rinascita” del movimento per la giustizia climatica

Dopo un anno e mezzo di pandemia che ha indebolito, ma non fermato, il movimento per la giustizia climatica, l’autunno annuncia la sua rinascita grazie ad un nuovo ciclo di mobilitazioni radicalizzate dalla mancanza di risposte politiche.

Che la crisi climatica sia qui ed ora anche in Occidente non ce lo dicono più soltanto i rapporti scientifici ma anche il senso comune: i 200 morti per l’alluvione del luglio scorso in Germania e Belgio sono un campanello d’allarme inquietante su quello che stiamo rischiando, Italia in primis. Eppure, secondo l’autorevole Climate Action Tracker[1] solamente il Gambia è in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi sul contenimento dell’aumento delle temperature globali entro 1.5° rispetto ai livelli pre-industriali.

Dopo un anno e mezzo di bassa visibilità mediatica, ma non di inattività, il movimento per la giustizia climatica[2] sta finalmente rinascendo a partire dal mese scorso. Milano, in particolare, è stata il centro della rinascita, con due controvertici (Climate Camp e Eco-Social Forum) in opposizione alle conferenze climatiche ufficiali (la Youth4Climate e la pre-COP) e innumerevoli azioni di protesta. Da questo nuovo ciclo di mobilitazioni possiamo trarre almeno cinque riflessioni.

La prima è che la diversità è una ricchezza. Il movimento per la giustizia climatica è in realtà un movimento di movimenti con una pluralità di prospettive ideologiche, strategiche e tattiche. Ed è grazie a questa diversità che abbiamo assistito ad un’enorme diversificazione delle tattiche a Milano: i cortei di massa e la combinazione di dialogo e contestazione alle istituzioni portato avanti da Fridays For Future, i blocchi stradali e l’occupazione di Piazza Affari da parte di Rise Up 4 Climate Justice, l’occupazioni dei media da parte di Extinction Rebellion, l’enorme lavoro di influenza culturale portato avanti da nei due controvertici. E infine la climate litigation di Giudizio Universale, avviata già da mesi sotto il coordinamento di A Sud, che vuole portare in tribunale lo Stato Italiano in quanto “l’insufficiente azione climatica […] ha già le carte in regola per essere la più grande violazione intergenerazionale dei diritti umani della storia”[3]. Questa pluralità è una risorsa in quanto permette di accerchiare e di mettere pressione al governo da più lati, evitando di fossilizzarsi sulle stesse azioni.

La seconda riflessione è che i giovani e i nuovi movimenti sono l’avanguardia e il motore delle mobilitazioni climatiche, cosa in realtà già chiara dal 2019 ma ancora più cristallina da Milano in poi. Lo abbiamo visto con i controvertici e le azioni di proteste, sempre guidate da movimenti recentissimi e composti principalmente da giovani come Extinction Rebellion, Rise Up for Climate Justice e Fridays for Future, mentre le vecchie organizzazioni come Legambiente e Greenpeace, pur appoggiando il tutto, hanno avuto un ruolo certamente minore.

Terza riflessione: si è ormai definitivamente consolidata una leadership femminile all’interno del movimento per la giustizia climatica, come simboleggiato da Greta Thunberg, Martina Comparelli e Vanesa Nakate, presenti a Milano, ma anche Luisa Neubauer in Germania. Si tratta di un modello di leadership soft che non ordina ma che ispira, motiva, suscita emozioni e rappresenta simbolicamente il movimento, rafforzandolo. E’ una leadership comunque attenta alla pluralità delle voci e che non pare indebolire il principio dell’orizzontalità a cui Fridays for Future, e anche i nuovi movimenti, si ispirano.

La quarta riflessione è relativa alla necessità di allargare ancora di più la partecipazione, in particolar modo con il coinvolgimento massiccio dei sindacati e dei lavoratori tramite lo sciopero generale e il loro pieno coinvolgimento nel dibattito sulla transizione ecologica e la giustizia climatica. Non bastano più gli scioperi settoriali, i tweet di appoggio o i discorsi retorici. I sindacati confederali devono mostrare maggiore coraggio, risolvere le ambiguità e abbandonare una volta per tutte l’appoggio a progetti ed imprese inquinanti e climalteranti. Senza la classe lavoratrice e il precariato, principali vittime della crisi climatica, sarà difficile esercitare la pressione necessaria su governi ed aziende. Inoltre, il movimento per la giustizia climatica italiano rimane ancora troppo sbilanciato verso le grandi città del Centro-Nord e ha bisogno di allargare la partecipazione ai centri più piccoli e nel Meridione.

L’ultima riflessione sul nostro paese è che manca ancora il lato dell’offerta partitica ecologista. In Germania, Francia, Austria, Svizzera, Irlanda e Belgio i Verdi conquistano spazi di potere. Pur restando all’interno di una proposta di capitalismo verde e inclini al compromesso, sono comunque potenzialmente influenzabili da parte delle idee ben più radicali dei movimenti ecologisti. Senza alleati dentro le istituzioni non è detto che si possa avviare una transizione ecologica ambiziosa e giusta. E’ vero che qualcosa in Italia si muove ma non abbastanza. Il 5% dei Verdi Europei a Milano e la loro entrata nella Giunta Sala è un risultato notevole rispetto all’irrilevanza degli ultimi anni. Nei prossimi mesi vedremo se riusciranno a far cambiare rotta ad un sindaco che ad oggi si è dimostrato ben più grigio che verde o se verranno neutralizzati dagli interessi del “partito del cemento”. A livello nazionale una nuova generazione di politici ecologisti (Europa Verde) sta emergendo ma il loro consenso elettorale e la loro influenza politica è ancora scarsa.

In conclusione, il movimento per la giustizia climatica sta finalmente rinascendo con una grande pluralità e una rinnovata carica di radicalità e rabbia, anche per le continue promesse politiche disattese. La grande sfida è quella di allargare la partecipazione al di là delle classi medie urbane del Centro-Nord e di canalizzare le richieste attraverso una nuova generazioni di politici verdi che possa fare da cerniera tra movimenti e istituzioni. Le mobilitazioni di fine ottobre a Roma in contestazione al G20 saranno un altro momento fondamentale di pressione politica, concomitante con l’avvio della COP26 sui cambiamenti climatici di Glasgow.

** Matteo Spini, dottorando in Analysis of Social and Economic Processes presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Si occupa di diritti dell’infanzia e di movimenti sociali.


[1] https://climateactiontracker.org/.

[2] Sebbene non ci sia una definizione universale con giustizia climatica si intende generalmente una transizione ad un sistema di produzione e consumo sostenibile basata sui principi di giustizia, equità e protezione dei paesi e dei segmenti di popolazione maggiormente vulnerabili. Generalmente l’enfasi è sulla ridistribuzione di ricchezza e potere dai paesi, imprese e individui più ricchi e maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra a favore di quei paesi e individui maggiormente vulnerabili e con minori responsabilità nelle emissioni di gas serra.

[3] https://giudiziouniversale.eu/la-causa-legale/.

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