L’8 dicembre è la sacra ricorrenza del movimento No Tav: l’Immacolata Liberazione, in ricordo di quel giorno del 2005 in cui migliaia di persone misero in fuga le forze dell’ordine e riconquistarono il terreno della Libera Repubblica di Venaus.
Anche oggi la moltitudine No Tav celebra la data con una marcia che è anche appuntamento di lotta. La camminata sarà da Borgone a San Didero, dove resiste il presidio permanente contro la costruzione di un nuovo autoporto, una delle tante grandi opere inutili derivate dalla Grande Opera Inutile a cui la maggioranza della popolazione valsusina si oppone da trent’anni.
In Valsusa gli eventi si susseguono, si srotolano, la storia li sciorina ogni giorno. Negli ultimi tempi non siamo riusciti a renderne conto come avremmo voluto. Lo spettacolare arresto del No Tav Emilio Scalzo e la sua estradizione in Francia sono le notizia che hanno forato la membrana, fuoriuscendo dall’ambito locale, anche grazie alla concomitanza della visita in valle di Zerocalcare.
Un proliferare di frontiere
La vicenda di Emilio è un esempio di quanto la lotta No Tav sia legata a quella contro la militarizzazione dei confini. Nello specifico, quello tra Italia e Francia. Confine che il potere militarizza per tenerlo al tempo stesso aperto e chiuso: aperto al capitale e chiuso ai corpi. Attraversabile da un grande tunnel che devasterebbe il territorio, ma sbarrato alle persone migranti. Le vite di questi ultimi sono trascurabili: nel tentativo di attraversare quella linea immaginaria, quell’allucinazione consensuale, possono pure tirare le cuoia. E chi le aiuta va perseguito, perché poteva farsi i cazzi suoi.
È la stessa lotta che ha luogo sul confine opposto, quello tra Italia e Slovenia, dove sbuca la cosiddetta «Balkan Route». E se compagne e i compagni No Tav sono in prima fila nella solidarietà ai migranti in Valsusa, compagne e compagni che soccorrono i migranti a Trieste erano in prima fila nelle lotte contro la gestione pandemica del governo Draghi che hanno scosso Trieste negli ultimi mesi.
[Le similitudini tra alcuni momenti della mobilitazione triestina e certe dinamiche tipiche del movimento No Tav hanno colpito chiunque conosca quest’ultimo e abbia cercato di fare inchiesta sulla prima. Non è un caso che le abbiano notate anche le compagne e i compagni di Notav.info.]
Come ha scritto più volte Tuco nei suoi commenti qui su Giap, l’emergenza pandemica è usata per inasprire sempre di più le misure di polizia contro i migranti, non solo lungo il nostro confine orientale, ma nella Fortezza Europa e in tutto il nord del mondo. Chi viene catturato dagli sceriffi è sbattuto nell’ultima di una serie di scatole cinesi, in isolamento dentro la reclusione dentro l’esclusione:
«Si toglie la vita al CPR di Gradisca dov’era in isolamento per Covid […] L’uomo stava affrontando un periodo di quarantena, in isolamento totale rispetto alle altre persone trattenute e in ossequio ai protocolli Covid in vigore» (Il Piccolo, 07/12/2021)
Del resto, cos’è stata in concreto la strategia «Zero Covid», rivelatasi impossibile – oltreché sociopatogena e avveratrice di distopie – eppure ancora invocata da molta “sinistra” in giro per l’Europa? In cosa si è tradotta se non in questo, nel mettere su ogni linea di fuga una sbarra confinaria?
Trasformare ogni soglia in una frontiera presidiata con tanto di doganieri, lasciapassare da esibire e cani ringhianti contro chi è «illegale». Cani veri e propri oppure metaforici, umani scriventi sui social. E dunque frontiere molari e molecolari: tra corpi, tra spazi aperti e chiusi, tra il prima e il dopo l’introduzione di un provvedimento, tra zone a cui la gamification governativa ha assegnato diversi “colori”, tra stati-nazione, tra Sud e Nord…
La “sinistra” che dopo due anni è ancora ferma allo «Zero Covid» non si rende conto – o finge di non rendersi conto – di aver contraddetto tutto quel che predicava fino al febbraio 2020. Non potremmo essere più lontani da certe grida di cui non si ode più nemmeno l’eco: «No border!», «Nessun essere umano è illegale!», «Siamo tutti sans papiers», «No alla fortezza Europa!», «ACAB!», «Noi siamo il “degrado” contro il vostro “decoro”!»… ecc. ecc.
C’è più fedeltà a quelle parole d’ordine nelle apparentemente «egoistiche» fughe di Tuco oltreconfine che in tutto il preteso «altruismo» con cui molta “sinistra” sedicente “anticapitalista” ha giustificato il proprio allinearsi al potere, la propria rinuncia a criticare la gestione neoliberale della pandemia.
«Durante il lockdown a volte sconfinavo in Slovenia, attraverso i boschi. Niente può uguagliare la gioia selvaggia da dodicenne che provavo arrivando a Orlek di nascosto in bicicletta dopo aver aggirato i posti di blocco dell’esercito confederato e di quello unionista. Mi fermavo alla fontana del paese a bere, mi sentivo come il Chico che si infiltra nell’accampamento di Calvera nei “Magnifici sette”, e fuma insieme ai banditi, e chiacchiera con loro. O come Billy the Kid che evade dal carcere di Lincoln e torna a Fort Sumner. La fuga dal lockdown è il tempo che si dilata tra “keep change, Bob” e il rumore secco del fucile che si sfascia sulla balaustra.»
Con Emilio e con Turi
Oggi, impelagati nel lavoro e nelle quotidiane difficoltà di questa fase, non potremo essere in valle. Ma contiamo di tornarci quanto prima, per continuare a narrare gli sviluppi di una lotta che ogni volta sorprende.
Mentre salutiamo la marcia 2021 come un esempio di perseveranza e volontà di lottare anche in questa fase di recrudescenza della retorica «Law & Order» pandemica (anche in queste ore la pandemia è strumentalmente agitata contro il movimento), e mentre esprimiamo massima solidarietà a Emilio, un pensiero corre a un altro protagonista della lotta No Tav, come di quella No Muos in Sicilia. Uno dei corpi-simbolo della Libera Repubblica della Maddalena: Turi Vaccaro.
Anche Turi è stato di nuovo arrestato, pochi giorni fa, non in valle ma a Firenze, nell’ennesimo episodio di una lunga storia di accanimento.
L’epopea di Turi Vaccaro in valle è raccontata nel melologo Cinque volte Turi Vaccaro, realizzato da Wu Ming 1 (alla voce) e Luca Casarotti (al pianoforte), tratto dal libro di WM1 Un viaggio che non promettiamo breve. L’avevamo ripescato proprio pochi giorni fa, prima di ricevere la notizia del nuovo arresto. Risonanze, sincronicità. Ancora una volta, dunque, glielo dedichiamo.