Almeno 58 morti e 73 feriti è il tragico bilancio di un incidente, avvenuto nella giornata di giovedì sulla Panamericana all’altezza di Chiapa de Corzo in Chiapas, che ha visto coinvolto un camion dove viaggiavano ammassati circa 150 migranti in prevalenza di nazionalità guatemalteca e hondureña.
Secondo le prime ricostruzioni, il camion era partito giovedì mattina dal Guatemala con l’obiettivo di arrivare nello stato messicano di Veracruz. Nel primo pomeriggio e in prossimità della capitale del Chiapas, Tuxtla Gutierrez, l’autista che guidava a velocità sostenuta in una curva avrebbe perso il controllo del mezzo, provocandone il ribaltamento e le conseguenti morti e ferimento di molti dei migranti a bordo. Al suo interno, infatti, si suppone fossero ammassati circa 150 migranti tra cui molti bambini, in prevalenza di nazionalità guatemalteca e hondureña. A seguito dell’incidente l’autista si è dato alla fuga e al momento si sono perse le sue tracce.
Come riportano i media locali, l’incidente è avvenuto all’altezza del Ponte Belisario Domínguez e Ribera Cahuaré, nel tratto stradale tra Chiapa de Corzo e Tuxtla Gutierrez. Proprio in quel tratto stradale, si legge nell’articolo di Pie de Página «ci sono tre posti di blocco, uno a sei chilometri dall’uscita del municipio; a questo checkpoint ci sono agenti dell’Instituto Nacional de Migración (INM) e della Guardia Nacional, che ispezionano tutti i veicoli merci e passeggeri che attraversano il luogo. Un altro checkpoint si trova a soli 4 chilometri prima del luogo dell’incidente ed è controllato dalla polizia di stato».
Gli abitanti della zona sono stati i primi a prestare i soccorsi, in attesa dell’arrivo delle ambulanze, dei volontari della Croce Rossa e dei vigili del fuoco, chiamati per estrarre dalle lamiere i migranti rimasti intrappolati. Il primo bollettino emanato dalle autorità parla di 58 persone morte e di almeno 73 rimaste ferite nell’incidente tra cui 5 bambini, mentre una trentina sarebbero uscite illese dall’incidente. I feriti sono stati trasportati d’urgenza all’ospedale di Tuxtla.
Quella occorsa giovedì in Chiapas è una delle più grandi tragedie che coinvolge i migranti centro americani che cercano di fuggire dalla violenza e dalla miseria dei propri paesi di origine. Una tragedia che purtroppo era prevedibile ed è la diretta conseguenza delle politiche migratorie repressive e del tentativo di migliaia di migranti di aggirare l’accerchiamento militare dispiegato dal governo messicano al confine meridionale.
Lunga la lista delle personalità e delle istituzioni che si sono dette affrante per la tragedia, a cominciare dal presidente Andrés Manuel López Obrador, il quale in un tweet ha scritto: «deploro profondamente la tragedia causata dal ribaltamento di un rimorchio in Chiapas che trasportava migranti centroamericani. È molto doloroso. Abbraccio le famiglie delle vittime». Alle lacrime di coccodrillo del Presidente si sono aggiunte quelle del ministro degli Esteri Ebrard, dell’INM e del Governatore del Chiapas Rutilio Escandón, tutti responsabili delle politiche migratorie e della repressione che hanno portato a questa tragedia.
Una cinquantina di organizzazioni di difesa dei diritti umani e dei migranti e di comitati di familiari ha pubblicato un durissimo comunicato in cui denunciano le responsabilità del governo messicano sull’accaduto: «La tragedia chiarisce ancora una volta che, l’anonimato e le condizioni in cui i migranti sono costretti a transitare, sono mortali e come risultato di politiche di immigrazione fallite. La morte di queste persone si aggiunge alle violazioni che sono state documentate negli ultimi anni contro la popolazione migrante nel contesto della pandemia.
La militarizzazione dei confini e delle rotte; mancanza di accesso all’asilo e la regolarizzazione delle migrazioni costringono i migranti a rischiare la vita e l’integrità in un transito sempre più pericoloso. Le organizzazioni firmatarie hanno denunciato che l’irrigidimento delle politiche migratorie e l’esternalizzazione delle frontiere comportano l’aumento dei crimini e delle violazioni dei diritti umani contro la popolazione migrante, richiedenti asilo e rifugiati in Messico. Recentemente, il governo messicano ha implementato il programma “Quedate en México”, implicando che i richiedenti asilo negli Stati Uniti rimarranno nel nostro paese per tutta la durata del procedimento, violando il loro diritto di stare nel paese che considerano sicuro ed esponendo le persone a molteplici fattori e contesti di rischio e vulnerabilità di fronte alla criminalità organizzata».
Negli ultimi mesi, dopo lo stallo dovuto alla pandemia, è ripreso con forza il flusso migratorio verso gli Stai Uniti. A fine agosto sono anche riprese le carovane di migranti che però hanno trovato la rigida opposizione del governo che ha schierato la Guardia Nacional per fermarle. Ad ottobre sono ripartite altre carovane migranti dalla “città-carcere” di Tapachula con il supporto di alcune ONG e ancora una volta la reazione del governo è stata puramente repressiva, arrivando a criminalizzare anche i difensori dei diritti dei migranti accusati di essere dei trafficanti di uomini.
In questi mesi le autorità hanno offerto dei permessi temporanei che però non sono stati accettati dai migranti in quanto minano il loro diritto a muoversi per il paese costringendoli a rimanere a Tapachula dove non ci sono le condizioni necessarie per l’accoglienza di così tante persone. Così nelle ultime settimane il governo ha concesso dei visti umanitari e la possibilità di muoversi da Tapachula ma non ha messo a disposizione i mezzi per spostarsi, cosa che ha di nuovo scatenato la protesta dei migranti che hanno inscenato anche alcuni blocchi stradali per denunciare l’abbandono delle istituzioni.
Secondo l’INM nel 2021 sono stati detenuti oltre 228 mila migranti e quasi 120 mila hanno richiesto l’asilo politico, il triplo che nel 2019. Le politiche migratorie messicane, spinte dall’amministrazione statunitense con Trump prima e Biden ora, hanno fatto diventare il Messico un paese di arrivo e non più solo di transito.