Intervista a Dario Salvetti (Collettivo di Fabbrica GKN Firenze)
1. Quali sono gli obiettivi specifici delle vostre lotte?
Aver varcato quei cancelli il 9 luglio scorso dopo l’arrivo dell’email da parte del Fondo Melrose, e esserci da subito costituiti in Assemblea permanente sono stati una scelta naturale, conseguenza di tutte le lotte sviluppate negli ultimi anni in GKN che hanno posto le basi di ciò che siamo oggi.
La democrazia operaia, con il collettivo di fabbrica e i delegati di raccordo, la nostra accordistica interna, che ci ha permesso, insieme al Contratto Nazionale, di vincere un articolo 28 per condotta antisindacale lo scorso settembre, ma anche tutti i collegamenti che abbiamo creato col territorio che sono stati l’asse portante di tutto il sostegno e la solidarietà militante che abbiamo ricevuto, sono un patrimonio inestimabile che ci ha permesso di mantenere il presidio dello stabilimento e di alimentare una lotta per GKN che è diventata lotta di massa, almeno nella piana fiorentina.
Il primo obiettivo, quello immediatamente conseguente all’arrivo delle lettere di licenziamento, è stata la difesa di 500 posti di lavoro, ma con un’ottica più ampia rispetto alla consueta vertenza sindacale. Quei posti non ci appartengono, abbiamo sempre pensato che nella peggiore delle ipotesi avrebbero potuto ricollocarci in altre aziende, certamente in condizioni peggiori o precarie, ma un futuro lo avremmo avuto, c’è sempre un domani, anche se può essere peggiore dell’oggi. Ma per noi era certo che quei posti di lavoro appartenevano al territorio, che sarebbe stato ulteriormente impoverito dalla chiusura dello stabilimento.
Da lì è iniziato un percorso non solo di lotta, ma di progressiva consapevolezza che la nostra vertenza è inserita in un quadro più ampio che parla di rapporti di forza, di processi ormai decennali fatti di fondi speculativi, di scelte di Stellantis rispetto all’automotive, ma anche di una ripresa che si basa solo sul precariato, di un Governo che non risponde alle esigenze concrete della società. Questo è il motivo per cui abbiamo chiesto, fin dall’inizio, uno sciopero generale e generalizzato e per questo stiamo lavorando con un gruppo di ricercatori e universitari solidali della Scuola Sant’Anna di Pisa per un nuovo piano industriale che preveda un polo per la mobilità sostenibile e una fabbrica socialmente integrata con il territorio.
2. Quali sono gli obiettivi più generali delle vostre lotte?
Fin dall’inizio sapevamo che la questione centrale sono i rapporti di forza nella società, che negli ultimi decenni hanno determinato un arretramento sostanziale nel campo dei diritti del lavoro, della sicurezza sui posti di lavoro, e la libertà da parte del privato di investire e disinvestire senza che debba rendere conto delle sue azioni al Governo e alla società. Tutto questo in un periodo storico in cui stanno avvenendo grandi trasformazioni, a cominciare dalla transizione ecologica per combattere una delle peggiori minacce che abbiamo davanti, il cambiamento climatico, per arrivare alle incursioni pirata di fondi speculativi che rapinano interi territori per logiche di profitto. Se non affrontiamo il nodo dei rapporti di forza, se non riposizioniamo l’asse della lotta nella giusta direzione, sarà molto difficile riuscire a contrastare queste politiche insostenibili.
La transizione ecologica rischia di diventare un’operazione di greenwashing che giustifica un vero e proprio massacro sociale. La lotta al cambiamento climatico è una sfida importante, ma non può essere fatta sulla testa dei lavoratori e delle lavoratrici, ma assieme a loro.
3. Cosa vi ha insegnato la pandemia?
Che nessuno si salva da solo, che oggi più che mai abbiamo bisogno di allargare la nostra famiglia trovando motivi alti che ci tengano assieme. Mesi di lockdown hanno fatto emergere fragilità, paure, preoccupazioni. Noi, come singole persone ma anche come soggetti collettivi, abbiamo il dovere di ritrovarci, di dare spazio a quelle paure trasformando le nostre fragilità in forza. Tutto quello che è accaduto non è stata conseguenza di una casualità: la pandemia si è abbattuta su un tessuto sociale vulnerabile, con un sistema sanitario indebolito da anni di tagli e de-finanziamenti. La pandemia ha reso più evidente una realtà che fino a poco tempo fa rimaneva sottotraccia: una società sempre più precarizzata, con una polarizzazione sociale crescente, una tendenza contro cui tutti noi siamo chiamati a intervenire.
4. Qual è la vostra idea di alternativa di società?
Difficile in questo momento parlare di alternativa di società senza cadere nella retorica spicciola. Posso dire che dentro GKN abbiamo provato ad applicare una nostra idea di rapporti sociali, fatti di democrazia interna e vera partecipazione, di tutela dei diritti per tutte e per tutti, di attenzione alle esigenze del territorio e di sostegno alle varie lotte che si sono sviluppate, a cominciare da quella della Texprint nel macrolotto tessile di Prato. Per dirla con uno slogan, “una società che metta prima dei profitti e dei dividendi i diritti delle persone e del futuro dei nostri figli”, ma rischiamo di cadere nella retorica e oggi al contrario abbiamo bisogno di processi reali e concreti di cambiamento.
5. Si parla molto di convergenza dei movimenti e delle lotte: che ne pensi (risorse e difficoltà) e in che senso la intendi?
Per noi la convergenza è sempre stata pratica reale, mai millantata. Il collettivo di fabbrica si è sempre mobilitato in sostegno anche di altre vertenze, ha cercato fin dall’inizio di mantenere forti i collegamenti con le realtà del territorio che hanno risposto in una maniera per noi davvero imprevedibile. Abbiamo ricevuto solidarietà concreta, militante, a cominciare dai circoli ARCI, con cui in queste settimane stiamo organizzando un “insorgiamo tour” in giro per la Toscana, per arrivare a tutte quelle realtà sociali, politiche, a tutti/e i/le singoli/e militanti che hanno costituito un gruppo di supporto che ci ha aiutato a tenere in piedi la nostra lotta in questi mesi. La chiave è la partecipazione, la condivisione e il reciproco riconoscimento a partire dalle nostre diversità, che possono diventare patrimonio comune se c’è la volontà di farlo. Ma per far questo bisogna superare le politiche di bandiera, le auto-referenzialità. cercando di capire che siamo tutte e tutti sulla stessa barca. Noi non semplifichiamo. Amiamo la complessità. Sappiamo come ognuno di noi e ognuna delle nostre piccole grandi realtà organizzate ha un proprio punto di vista complesso. Ma non possiamo trasformare questa complessità in settarismo divisivo. Abbiamo il compito di costruire una comunità, un terreno comune, un unico fronte. E lì dentro sapremo dividerci perché avremo chiaro cosa ci unisce. Senza questo le nostre divisioni non producono un dibattito più alto ma solitudine, fatica, isolamento, minoritarismo.
Ripeto, nessuno si salva da solo.
6. Con quali soggetti senti naturale la convergenza e perché?
La convergenza è naturale con tutti quei soggetti che in modo genuino e coerente credono sia necessario un cambio di rotta, radicale e profondo. Le mobilitazioni per la giustizia climatica, che si sono espresse ad esempio a Milano durante la preCOP sul clima lo scorso settembre, quelle per i diritti di genere, l’idea di un sindacalismo conflittuale, la nostra presenza al G20 di Roma il 30 ottobre, insomma tutte quelle realtà che hanno come obiettivo il cambiamento dei rapporti di forza nella società sono i nostri naturali alleati. Sono una parte fondamentale del nostro percorso di lotta che ci sta portando, proprio in questi giorni, ad affiancare alla mobilitazione e alla vertenza una proposta concreta di re-industrializzazione del sito produttivo, che parla di sostenibilità ambientale e di fabbrica socialmente integrata nel territorio.
Per noi la convergenza non è solo un concetto, è una pratica reale di vita e di lotta, un processo che alimentiamo quotidianamente assieme a chi ha scelto di camminare a fianco a noi.
La convergenza è tale quando si alimenta di cambiamento, pensiero forte, radicalità. Siamo partiti dicendo “Insorgiamo” e abbiamo visto come questo stimola e chiama convergenza. Per questo il nostro motto si è “corretto” in corso d’opera: Insorgere per convergere, convergere per insorgere.
Photo credits: Pagina facebook del Collettivo di fabbrica – Lavoratori GKN Firenze
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 48 di Gennaio-febbraio 2022: “Cosa bolle in pentola?“