di Nico Maccentelli
Una delle critiche più ricorrenti che gran parte della sinistra, dagli euroglobalisti a certi “antagonisti”, rivolge a chi va in piazza contro il green pass e l’obbligo vaccinale è quello di essere individualista, individui che pensano solo a se stessi, a cui non frega nulla della pandemia e che quindi non hanno alcuna responsabilità per la salute pubblica, senza una visione collettiva della società. Articolando questa critica su un piano più teorico, i “no vax” sarebbero degli autentici esegeti del liberalismo borghese. Ma è davvero così?
Il movimento no green pass nel suo complesso, dunque, per chi sbandiera modelli di collettivismo da realismo socialista sarebbe dunque espressione di tante ambizioni e rivendicazioni individualistiche. Di fatto i nostri “collettivisti responsabili” tirerebbero fuori niente po’ po’ di meno che John Stuart Mills (1806-1873) il filosofo ed economista britannico che con la sua visione utilitaristica sarebbe il padre del liberalismo moderno, ossia la libertà e l’autonomia dell’individuo in opposizione allo Stato e al suo potere di controllo sociale e sulle individualità.
In pratica rivendicare una libertà (non la libertà totale, questo è il primo enunciato truffaldino dei nostri) come quella di dissentire, di avere dubbi e quindi di non accettare il ricatto statale di questo tipo di vaccinazione, sarebbe una rivendicazione di tipo liberale borghese. Si potrebbe già replicare col fatto che la questione in realtà è sul terreno dell’efficacia immunizzante o meno di questi vaccini e che è evidente che se da un vaccino dipendesse la vita di tutti il discorso cambierebbe. Quindi, altra replica elementare sarebbe sul carattere teleologico di tale scienza, questa sì non certo neutrale e del tutto liberal borghese, tutt’altro che finalizzata al bene comune, ma ai lauti profitti di multinazionali come la Pfizer: la multinazionale farmaceutica con il record di risarcimenti miliardari per farmaci nocivi (affidereste mai vostro figlio undicenne a un pedofilo?).
Ma la questione vera è che è falso che questo movimento rivendichi la libertà totale dell’individuo sullo Stato e la collettività. Non è una questione ideologica, ma di reazione a come e cosa è stato imposto in specifico a tutta la comunità e all’individuo stesso. Tanto è vero che questa reazione è caratteristica di persone di ogni tipo di ideologia e cultura.
Andiamo comunque a verificare sul campo se questo movimento sia espressione di un individualismo collettivo eretto a fenomeno sociale. Già il binomio individualismo collettivo è un ossimoro. E qui emerge la seconda truffa retorica, che nasconde un approccio per nulla marxiano e del tutto sociologico, da parte di coloro che oltre all’individualismo aggiungono classificazioni come fascisti, terrapiattisti, no vax in genere, ossia tutto l’armamentario semantico del pensiero unico che oggi sta attaccando con i media e l’industria culturale schierata i resistenti ai vaccini e al green pass con lo scopo di distrarre dalla vera contraddizione che sta creando conflitto sociale e di dividere nella solita guerra tra poveri, tra cittadini la popolazione stessa.
Per verificare, partiamo da una comparazione molto semplice. Prendiamo un operaio. Supponiamo ciò che è nella normalità delle cose: ciò che guadagna non è sufficiente per sbarcare il lunario, è a rischio licenziamento e le condizioni di lavoro sono malsane. Cosa fa? Si ribella. Ma come? Si unisce ad altri operai e lotta. Fior fior di marxisti a questo punto sfodereranno il “movimento operaio” e, se c’è un progetto di cambio di società, il “movimento comunista”.
Secondo termine della comparazione. Prendiamo lo stesso operaio, ma potrebbe essere un impiegato, un artigiano o un commerciante. Non vuole sottoporsi (a torto o a ragione) a un trattamento sanitario impostogli: non si fida, non è convinto, ha paura. Cosa fa? Si unisce ad altri come lui e lotta. Qui però il movimento per i nostri collettivisti, per magia, non ha più un carattere collettivo. E invece la dimensione collettiva c’è, eccome. Ma per il primo si tratta di lotta di classe. Per il secondo ci si ferma furbescamente a una facile sociologia di superficie.
Nel caso delle soggettività no green pass, va sottolineato che Stuart Mills e l’individualismo c’entrano come i cavoli a merenda. Infatti, non solo la difesa del proprio corpo diviene la difesa di tanti corpi ed espressione un’idea collettiva di società dove un potere considerato illegittimo non può arrogarsi il diritto di disporre di trattamenti sanitari obbligatori o sotto ricatto. Un’idea parziale, una rivendicazione priva di un progetto generale di cambiamento, ma esattamente come l’economicismo delle lotte sindacali senza il sale della coscienza politica comunista. Ma in questa idea di resistenza sociale (non più individuale) ai diktat di un regime è prevalente la difesa e l’applicazione di quell’insieme di diritti costituzionali calpestati e che vanno dal lavoro alla libera circolazione, a una normale vita fatta di fruizione di servizi. È individualista solo perché non parla di socializzazione dei mezzi di produzione e dittatura del proletariato? Via non offendiamo l’intelligenza delle persone. Sappiamo per altro molto bene che le rivolte sociali nascono quasi sempre da scintille che poco o nulla hanno a che vedere con la totalità delle contraddizioni di classe. Ma le contraddizioni di classe e sociali ci sono sempre.
Per concludere la comparazione tra operaio e soggetto che rivendica la libertà di decidere del proprio corpo, entrambi i termini della comparazione stessa nascono da una contraddizione dell’individuo con l’ambiente esterno: che sia il padrone o lo Stato. Ma in entrambi i casi abbiamo una socializzazione delle condizioni e l’avvio di processi collettivi di soggettivazione che non prevedono soluzioni individuali. Nel caso del movimento no green pass l’aspirazione prevalente è quella di ritornare a una vita normale, libera da condizionamenti di regime. E su questo tema si intrecciano ideologie e religioni, credenze e sapienze di ogni tipo.
Semmai, allora, in entrambi casi la direzione verso un cambio sociale è data dalla qualità e direzione del progetto egemone in tali movimenti, la cultura, l’ideologia, l’identità collettiva, la consapevolezza delle contraddizioni sociali e del nemico che si ha innanzi.
Un altro esempio? Al netto del fatto che i sieri genici non immunizzano e la “responsabilità collettiva” dei nostri quindi va a farsi benedire, c’entra forse l’approccio individualistico una visione liberale in chi rivendica a sé il diritto di decidere del proprio corpo? Se è così c’entra allora anche quella della donna che rivendica il diritto alla sovranità individuale sul proprio. Per decenni il movimento femminista si è battuto attraverso potenti leve biopolitiche che rompevano con il ruolo che il sistema capitalistico su cui il patriarcato si è perfettamente innestato, leve che urlavano “l’utero è mio e lo gestisco io”. Il diritto a decidere del proprio corpo non mi pare dunque pertinente a un individualismo egoistico tipico del pensiero borghese, ma tutt’altro a una liberazione da costrizioni che hanno sempre un riferimento ai rapporti sociali di oppressione e dominio nelle più diverse modalità Ed entriamo a questo punto nel campo della biopolitica, ma con un approccio marxiano.
Come non vedere il valore, la cifra libertaria e biopolitica della lotta contro l’obbligo vaccinale di vaccini che non funzionano, contro le costrizioni discriminatorie finalizzati entrambi imporre l’autorità e il dominio del potere classista sui corpi individuali e su un intero corpo sociale? Questa è la questione che dobbiamo porci come marxisti. Perché ciò che sta avvenendo negli ultimi due anni ha molto a che vedere con un’immane ristrutturazione economica e sociale da parte di un capitalismo putrescente che “risolve” le sue crisi attraverso cure d’urto, come ha sviscerato Naomi Klein nel suo saggio Shock economy. E allora la questione vista con queste lenti, pone il movimento no green pass legittimamente dentro un’analisi di classe, delle contraddizioni che attraversano l’intero sistema mondo del capitale.
Chi in questi ultimi anni ha criticato l’alterglobalismo dei movimenti femministi, il “dirittoumanitarismo”, non è un caso che poi alla fine approdi a un socialismo filocinese, a farsi esegeta di una società alter-capitalista del controllo pervasivo. Quando di fatto è su questo terreno che attraverso la pandemia, il capitale ha iniziato ad attaccare la classe e le popolazioni. Un mostro che si amputa di quelle parti che sino ad oggi hanno regolato la lotta di classe nelle metropoli imperialiste con la democrazia borghese e i vantati “diritti civili”, che si libera dell’orpello del 1789, della sua Rivoluzione borghese che aveva mene universalistiche, lasciandone solo l’involucro, secco, la pelle del rettile per dare vita a qualcosa di nuovo e di orrido.
Sappiamo poi che le contraddizioni sociali e di classe emergono in modo non certo lineare e ciò che il sociologismo di certi marxisti ortodossi non vede è il carattere di classe di questo conflitto sociale in atto. Non viene visto perché non viene compreso il piano generale che i settori dominati del potere capitalistico, delle oligarchie hanno messo in moto da decenni e che oggi con questa gestione pandemica lo coronano. Ho trattato la questione in altri miei scritti su Carmilla e non mi ripeterò. Mi limito a osservare che siamo in presenza di un “triello”: capitale oligopolistico finanziario e delle multinazionali il primo, piccolo e medio capitalismo territoriale il secondo, proletariato e ceti sociali precarizzati il terzo.
Ma di più, siamo di fronte a un piano globale che i centri di potere del capitale a livello internazionale hanno messo in atto operativamente e successivamente alla bolla finanziaria sul finire del 2019 in una condizione di generale crisi capitalistica e di progressiva ipertrofia monetaria. Condivido l’analisi di Fabio Vighi in Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata, che potete leggere su La Fionda. E a quei ragionamenti vi rimando.
Pertanto, un approccio marxiano a tutta la questione non può prescindere: uno, dalla relazione tra crisi del capitalismo e uso biopolitico del covid per manipolare i mercati come controtendenza alla crisi stessa, ormai piuttosto grave e irreversibile; due, dalla contraddizione oggettiva tra questa biopolitica del controllo e delle restrizioni finalizzata a ristrutturare le catene del valore e dall’altra la resistenza popolare a questa biopolitica autoritaria, che la pone oggettivamente sul terreno della lotta di classe tra capitale e lavoro, tra modello implosivo di un capitalismo putrescente e vaste masse popolari prive di mediazioni e patti sociali alla ricerca di percorsi vitali libertari attraverso un ribellismo generalizzato. Una liberazione dei propri corpi, delle libertà di movimento, di rifiuto delle selezioni, discriminazioni, tracciamenti algoritmici, valutazioni, schedature, inibizioni, divieti, che hanno superato il limite di una normalità riconosciuta e accettata. Stavolta per scaldare la pentola d’acqua con la rana è stato usato il lanciafiamme.
Intanto però va detto che il movimento contro il green pass e le restrizioni liberticide del governo Draghi non si esaurisce nelle piazze, ossia nelle mobilitazioni che si susseguono a ondate, come del resto in Europa e in altre metropoli e nazioni. La Resistenza popolare trova un suo terreno di iniziativa proprio a partire dai luoghi di lavoro e del territorio. E qui in concreto si definisce tutta la caratteristica specifica della lotta di classe di questo movimento. L’avanguardia politica, così come storicamente ha il compito di superare le barriere di un economicismo nelle lotte operaie e di politicizzarle, anche nella questione del green pass deve saper strappare alle organizzazioni borghesi l’egemonia sul comune terreno (tra lotte operaie e lotte popolari) della lotta al neoliberismo e al suo più pericoloso piano globale mai avuto e già poco sopra menzionato, di ristrutturazione dell’economia capitalistica e della società stessa.
Se vogliamo allora parlare di collettivismo, dobbiamo vedere cosa accade nella Resistenza popolare al green pass, come si vanno organizzando contro questo attacco neoliberista le casse di resistenza, gli sportelli del lavoro, le lotte per il reintegro dei sospesi, le marce collettive spontanee come in Veneto, le assemblee come a Ravenna, il lavoro straordinario anche sul piano della critica scientifica della rete studentesca contro il green pass: una faccia della medaglia che evidentemente qualcuno non aveva considerato nella propria vulgata superficiale su terrapiattisti, no vax e fascisti.
Si può pensare qualsiasi cosa sui vaccini, ma se non si comprende questa configurazione sociale della lotta di classe, del “triello” prima menzionato, non si può poi avere una chiave di lettura marxianamente corretta della “situazione concreta”, delle contraddizioni sociali e quindi in specifico un’analisi corretta del movimento no green pass. E si finisce pigramente nel comodo sociologismo.
Ma peggio: si finisce con l’assumere posizioni decisamente reazionarie e aiutare nel suo piano il “re di Prussia”, ci si riduce a diventare veri e propri ascari del peggior capitalismo globalista anche sventolando le migliori bandiere rosse e cantando bella ciao.
E la cosa assume toni ancor più patetici se si finisce con l’accostare in modo fuorviante la scienza capitalistica a quella scienza sociale e socializzata come a Cuba, dove il collettivismo c’è sul serio. Se si finisce, “grazie” a questo accostamento impossibile, con l’accettare la gestione pandemica fatta qua, facendo di tutta un’erba un fascio con quella fatta da paesi la cui ricerca, i cui laboratori e le cui campagne vaccinali hanno finalità realmente collettivistiche, hanno come scopo supremo la salute pubblica e non il profitto. Dove la campagna vaccinale non ha per finalità la discriminazione e ricatto a fini di controllo sociale. Un tragico abbaglio fatto da chi accosta i sieri genici mrna ai vaccini tradizionali, da chi confonde l’uso che dei vaccini ne viene fatto qua con quello fatto a Cuba.
Non è un approccio ideologico: il diritto di critica è un diritto inalienabile e il dubbio è alla base della scienza stessa. Ma in tutta questa operazione da parte dei nostri “collettivisti responsabili” questi due fattori essenziali per una teoria e una prassi comuniste si sono persi per strada in una rutilante confusione.
Retaggio del peggior socialismo reale? Contraccolpi di un diamat mai morto? So solo che certe coazioni a ripetere non muoiono mai. E resta il fatto che gran parte dei comunisti nostrani in tutta questa vicenda del bio-fascismo che avanza hanno dato il peggio di loro stessi. Hanno tirato fuori antiche tirannie senza avere stavolta il potere per attuarle, ma solamente per vessare chi ha provato tra noi a portare un po’ di critica politica nel dibattito, precludendo dall’alto ogni possibilità di confronto.
Invece di vedere questa immane tendenza generalizzata, direi planetaria a un totalitarismo ipertecnologico dei mercati, irridono a chi rivede certe intuizioni di Michel Foucault e sdoganano (non è un caso) il revisionismo cinese da Deng Xiaoping ad oggi, questo Frankenstein tra burocrazie mandarine e tycoon, spacciandolo per socialismo. Dove la “patente a punti” del credito sociale cinese si configura come una modalità di controllo pervasivo dove i diritti più basici sono regolati dal merito e dal comportamento e che traccia la strada anche al nostro sistema che con il green pass sta muovendo i primi passi verso quella direzione. E questo, no grazie, non è il tipo di società “collettivista” che vorrei né qui né altrove.
E l’altrove cinese odierno, non è il tipo di socialismo che mi esalta, sapendo che socialismo non è in ogni caso, ma una modalità diversa di dominio del capitale sul lavoro che esce dalla fabbrica e dai campi con modalità ipertecnologiche per permeare nel controllo sociale e individuale ogni ambito della nostra esistenza. C’è modo e modo di fare capitalismo, di estrarre plusvalore, a seconda del tipo di borghesia con cui si ha a che fare (che abbia la proprietà giuridica dei mezzi della riproduzione sociale o meno).
Il cigno nero che è arrivato a sconvolgerci la vita, tutto sommato, tra le immani tragedie e gli orrori sociali che sta producendo con la sua gestione capitalistica, ha fatto emergere anche le tare teoriche, politiche e metodologiche ancora presenti in gran parte delle soggettività comuniste nel nostro paese.
Una cosa non da poco.