L’inghilterra ha eliminato le mascherine al chiuso (salvo alcuni casi in cui restano raccomandate) e il green pass (che era comunque stato previsto solo per stadi, discoteche e grandi eventi e comunque anche con tampone).
La Danimarca ha eliminato l’obbligo di indossare le mascherine e di esibire il Green Pass, e tornano a essere autorizzati gli eventi e la frequentazione delle discoteche. La decisione va di pari passo con la scelta di far cadere la definizione del Covid-19 come una malattia “socialmente critica”, usata per giustificare l’adozione delle norme anti-pandemia.
Anche la Spagna e la Norvegia allentano le restrizioni e si apprestano a tornare a una vita normale per tutti, senza discriminazioni.
La Finlandia ha previsto di rimuovere gradualmente le principali restrizioni a partire dal 14 febbraio, per arrivare a una completa eliminazione entro il 1° di marzo.
Il passaporto Covid ha cessato di essere obbligatorio anche nei Paesi Baschi per accedere ai luoghi in cui era stato richiesto da metà dicembre: alberghi, eventi culturali in aree chiuse, centri sportivi, palestre, competizioni sportive in strutture chiuse con più di 100 partecipanti e per visite a ospedali, residenze o carceri. Resta previsto per accedere a locali notturni e ristoranti con capacità consentita per più di 50 commensali.
Il governo ceco elimina il decreto che rendeva le vaccinazioni contro il Covid obbligatorie per il personale sanitario e delle case di cura, gli uomini delle forze armate, gli agenti di Polizia e, in generale, tutti gli ultrassessantenni.
In Italia invece è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale un ulteriore decreto, oltre agli obblighi già in precedenza introdotti per gli over 50 di super green pass al lavoro e di obbligo vaccinale e la necessità del green pass base per negozi e uffici dei servizi pubblici.
Inoltre, a sottolineare la direzione opposta che l’Italia sta imboccando rispetto alla maggioranza degli altri paesi, il coordinatore del Cts ha chiesto che il green pass e l’obbligo vaccinale restino anche oltre giugno.
Nei giorni scorsi, in un tweet che è stato rilanciato ampiamente sui sociale e sul web, Steve Hanke, economista e docente universitario americano, aveva scritto, tra le altre cose, “Sì, i fascisti sono tornati” riferendosi alle misure e agli obblighi decisi dal Governo. E il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo dal titolo “In Italy, no dolce vita for the unvaccinated”.
In Italia ha fatto parlare di sé la protesta che si è levata a Capri, dove su alcune vetrine sono comparse locandine che esplicitamente lasciavano intendere il senso che “discriminare è una vergogna”.
Ma c’è anche un altro “problema” che sta emergendo ormai con sempre più forza: le ombre sul conteggio dei morti.
Dopo le dichiarazioni della Gismondo, secondo cui “È verosimile che molti pazienti che sono morti negli ultimi due anni siano stati erroneamente attribuiti al virus”, è intervenuto anche Massimo Clementi, direttore dei laboratori di Microbiologia e virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e titolare della cattedra delle stesse discipline all’Università Vita-Salute San Raffaele (ateneo di cui è prorettore): «Tra tutti i parametri rilevati quello dei decessi sarà l’ultimo a scendere. Ciononostante i morti per Covid in Italia mi sembrano troppi. Li stiamo calcolando male. Non di rado una persona che entra in un ospedale per un problema ortopedico e che poi perde la vita a causa di complicazioni, viene inserita nell’elenco dei decessi per Covid semplicemente perché, all’ingresso, era risultata positiva al tampone. Francamente questo non ha senso» ha detto.
Intanto il professor Ugo Bardi, docente di chimica all’università di Firenze, ha analizzato le situazioni di Svezia e Italia, paesi che hanno adottato strade opposte nella gestione degli ultimi due anni di covid.
Bardi cita la disamina dei dati condotta dal medico svedese Sebastian Rushworth. «Comparando i dati sulla pandemia con quelli storici, Rushworth deduce che la Svezia ha fatto le cose abbastanza bene nonostante qualche incertezza iniziale. E, soprattutto, nonostante la valanga di insulti che i gestori dell’epidemia hanno ricevuto con l’accusa di essere degli assassini di persone anziane. Ma, al momento in cui siamo ora, la conclusione è inevitabile: l’epidemia è ufficialmente finita in Svezia, quello che rimane è un virus con una mortalità simile a quella di una normale influenza. In sostanza, conclude Rushworth, l’epidemia non ha fatto danni significativi a quei paesi che non hanno applicato restrizioni draconiane, al contrario si potrebbe sostenere che sono stati proprio i paesi che le hanno applicate ad aver avuto i maggiori danni – scrive Bardi – Da questo, dobbiamo chiederci: ma come è possibile che in Italia la percezione dell’epidemia sia stata così completamente e radicalmente diversa (e lo sia tuttora)? I risultati in Italia sono stati un po’ peggiori che in Svezia (158 morti per 100.000 persone in Svezia, 245 in Italia) ma siamo entro lo stesso ordine di grandezza. E, come in Svezia, la mortalità attuale in Italia rimane entro i limiti normali per la stagione. Ma, allora, perché da noi siamo tuttora in emergenza con misure draconiane, mentre in Svezia si dichiara ufficialmente “tutto finito”?».
«Ovviamente, lo sappiamo tutti che è stata una scelta politica in alcuni paesi quella di agire in un certo modo piuttosto che un altro – prosegue Bardi – Ma questo non ci spiega perché in Svezia (come pure in Norvegia e altri paesi del Nord Europa) siano state fatte certe scelte, mentre in Italia (e, per esempio, negli USA), ne sono state fatte altre. La cosa forse più interessante di tutta la faccenda è come tutte le scelte fatte — ovunque — siano state basate sulla “Scienza,” intesa come un’entità monolitica della quale non si può dubitare, pena essere classificati fra i terrapiattisti/sciachimisti/allunaggiofalsisti/freddofusionisti, eccetera».