Poco meno di due anni fa, in piena prima ondata della pandemia da Covid-19, un gruppo di compagnə del Centro Sociale Bruno, animatrici all’interno dello spazio della Biosteria “Alla Cuoca Rossa – da Clara”, pubblicarono su queste pagine una riflessione su come il virus che aveva attaccato la nostra specie, e stravolto le nostre vite, andasse considerato come ultima chiamata rispetto all’urgenza di ripensare radicalmente il nostro rapporto con le altre specie animali. Da allora molte cose sono cambiate. Ma se da un lato non possiamo non notare come i temi posti dall’antispecismo, gradualmente, iniziano ad entrare nei nostri spazi sociali, dall’altro è evidente che il quadro complessivo è in netto peggioramento. Infatti, a quasi due anni di distanza, non solo Covid-19 non ha ancora mollato la sua presa, ma nella sola Italia ci ritroviamo oggi a veder agire contemporaneamente un’epidemia umana, una che sta falcidiando gli avicoli e una che minaccia i suini.
Proponiamo questa doppia intervista, che nasce dalla necessità di raccontare cosa sta succedendo nel nostro paese in seguito alla diffusione della peste suina africana (PSA), quali sono le ragioni storiche della sua comparsa, quali interessi si stanno tutelando con le azioni messe in campo dalle regioni coinvolte e a danno di chi.
Le intervistate sono Susanna e Paola, conosciute durante le iniziative della campagna #stopcasteller, ed entrambe impegnate nella gestione di rifugi per animali.
Cos’è la peste suina africana, chi affligge e come avviene il contagio?
Susanna – Ippoasi. La peste suina africana è una malattia virale originatasi in Africa, i cui ospiti naturali sono zecche e suidi selvatici (ad esempio i facoceri). In Europa gli ospiti prediletti del virus sono i cinghiali e i maiali, soprattutto quelli allevati allo stato semibrado e brado. La peste suina, tuttavia, non è una zoonosi: non mette a rischio la salute degli umani, ma si può trasportare attraverso cibi o abiti contaminati (ma anche mezzi di trasporto). I segni tipici della peste suina africana includono febbre, inappetenza, debolezza, emorragie interne e aborti spontanei, ma non è raro che si verifichino decessi improvvisi se la forma è acuta. Non esiste cura e solo ora si sta tentando di sperimentare un vaccino. Il contagio di maiali e cinghiali sani avviene solitamente tramite contatto con altri animali infetti, ma anche attraverso l’ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali malati e soprattutto a causa dello smaltimento di carcasse, conseguente alla caccia, al bracconaggio, ma anche all’allevamento.
Paola – Oasi Verde. La Psa è una malattia infettiva altamente contagiosa mortale nel 90% dei casi, sia per suinidi domestici che per cinghiali selvatici. Causata da un virus della familgia Asfaviridae, per la quale al momento non esistono vaccini. Causa febbre, perdita di appetito e decesso per emoraggie interne entro 5-10 giorni dalla insorgenza dei primi sintomi. Il virus è molto resistente e rende anche le carcasse infettanti per lungo tempo.
È una novità assoluta per l’Italia? Perché la sua diffusione in diverse regioni desta preoccupazione tanto da parlare di zone rosse?
Susanna. Purtroppo la peste suina africana non è una novità in Italia, e nemmeno in Europa. In Sardegna, addirittura, la PSA è presente già dalla fine degli anni ’70 ed è diventata endemica. In Europa il virus continua a circolare nonostante il trascorrere degli anni a causa del continuo allevamento, del commercio e del traffico di corpi animali, della caccia e del bracconaggio. Il 7 gennaio 2022 è stato registrato il ritrovamento di un cinghiale deceduto e risultato positivo alla PSA nel comune di Ovada (Alessandria). Da questa data molto è cambiato, tanto da indurre chi amministra comuni e Regioni alla creazione di una vera e propria “zona rossa” allo scopo di organizzare e gestire il contenimento del virus. Il peggio, però, è arrivato in seguito, con l’emanazione di un’ordinanza terribile che coinvolge tutti i suini allevati allo stato brado e semi brado della zona rossa nella Regione Liguria. Sappiamo molto bene che l’ordine di “abbattimento” (per dirla con il nome giusto: uccisione di massa) di maiali e cinghiali – sani e non – non è altro che l’ennesimo atto volto a tutelare gli interessi meramente economici dell’industria dell’allevamento.
Paola. È una novità nell’Italia continentale ma non in Europa dove è comparsa 8 anni fa, nel 2014 sono stati segnalati i primi casi nell’Europa dell’Est, nel 2017 la malattia è stata segnalata in Repubblica Ceca e in Romania; nel 2018 è comparsa in Ungheria, Bulgaria e Belgio. Un ceppo diverso di PSA è presente in Sardegna dal 1978 ed è endemico e meno aggressivo. Già dal 2019 l’Italia ha messo in campo misure di sorveglianza molto forti, tuttavia questi controlli non hanno interessato il mondo venatorio, di fatti la PSA si ritiene sia entrata in Italia attraverso carni di cinghiali uccisi da cacciatori italiani impegnati in battute di caccia in Europa dell’Est.
Che tipo di misure stanno ipotizzando di mettere in campo le amministrazioni delle zone coinvolte dall’epidemia?
Susanna. Al momento le regioni coinvolte dall’epidemia sono la Liguria, il Piemonte ed è stato registrato un caso anche in Lazio. Cito una parte dell’ordinanza emessa il 20/01/2022 dalla Regione Liguria: “Restano vietate le attività di caccia o pesca di qualsiasi specie, raccolta di funghi o tartufi, trekking, mountain biking e altre attività outdoor. Inoltre è fatto divieto di lasciare in libertà cani o altri animali domestici e di movimentazione degli animali da allevamento. E sono sospese per 30 giorni (fino al 13 febbraio 2022) le attività dei CRAS di recupero della fauna selvatica proveniente dalla zona infetta, salvo che non sia autorizzata dal Servizio veterinario della Asl competente e le attività selvi-colturali (sono consentiti solo i tagli per approvvigionamento di legna da ardere da parte dei residenti. Possono proseguire i cantieri di intervento già avviati alla data di entrata in vigore dell’ordinanza).” Come descritto nella domanda precedente, sempre in Liguria è stata emessa un’ordinanza omicida nei confronti di tutti i maiali e i cinghiali abitanti delle “zone rosse”, anche quelli già controllati e non risultati positivi alla PSA.
Paola. Da quando sono stati rilevati i primi casi in Liguria e Piemonte, che non si sono verificati in allevamenti, si tenta di arginare la diffusione del virus limitando i contagi tra animali selvatici e animali di allevamento. Chiaramente i suini allevati in allevamenti intensivi, vivendo al chiuso in capannoni, sono quelli meno a rischio, mentre attualmente vengono identificati come animali veicolanti quelli degli allevamenti bradi e semi bradi dove, anche attraverso i recinti, ci possono essere contatti con i cinghiali e ovviamente vengono presi di mira i cinghiali liberi che sono attualmente gli animali più a rischio di contagio. Ad oggi, escluse le misure folli, estreme e del tutto illegittime prese dalla Regione Liguria, non ci sono particolari disposizioni per i grandi allevamenti, mentre per gli allevatori di suini allo stato brado e semi brado, per i rifugi, per i privati, sono previste delle doppie recinzioni distanziate che evitino il contatto con cinghiali liberi. Paradossalmente, le situazioni (inclusi rifugi per ex animali da reddito e adozione di privati, o anche allevamenti ritenuti “etici”) in cui la qualità di vita dei suini è migliore, sono quelle prese di mira in Liguria e ipoteticamente nei prossimi mesi in tutta Italia. Va detto che ad oggi comunque le misure liguri sono uniche ed eccessive.
Quali interessi credete si intendano tutelare con provvedimenti così estremi?
Susanna. Risulta evidente, ai nostri occhi, che la PSA faccia tremare l’industria zootecnica, quella che tortura e smembra i cosiddetti “corpi che non contano”. Tutta l’economia degli allevamenti, d’altronde, si basa proprio sul sacrificio e sulla morte di milioni di suini (e non solo). La PSA, la cui diffusione è da imputare alle logiche umane capitalistiche, mette a rischio gli interessi degli allevatori intensivi, che certamente vedranno un calo delle esportazioni. Chi ne consuma i corpi, purtroppo, è complice di quanto sta accadendo, volente o nolente.
Che cosa sono i rifugi antispecisti e in che modo questa emergenza rischia di toccarvi da vicino?
Susanna. I rifugi antispecisti sono spazi politici a tutti gli effetti, luoghi sicuri (“safe” come va di moda dire ora) all’interno dei quali animali non umani considerati “da reddito” trovano per l’appunto rifugio. Gli animali che vengono accolti nei rifugi sono solitamente coloro sui quali corpi il sistema trae profitto (tutti quelli allevati per essere sfruttati, macellati e consumati) e, dal momento che ne varcano i cancelli, si emancipano da ogni logica di oppressione e sfruttamento, fino alla fine dei loro giorni. Nei rifugi ognuna riacquista la propria individualità, venendo rispettata e assecondata in qualunque espressione di sé. Molto importante è sottolineare che i rifugi sono gestiti perlopiù da attivistə antispecistə che si riuniscono in associazioni senza alcuno scopo di lucro, bensì con l’unico obiettivo di garantire pace e serenità agli animali abitanti. Chi gestisce rifugi è costantemente vessato da difficoltà di vario ordine (dalla carenza di volontari, allo stress psicofisico, dalla precarietà finanziaria alle emergenze veterinarie) ma è mosso da profonde consapevolezze politiche e morali. A mio parere i rifugi antispecisti sono spazi di cura, di solidarietà inter e multispecie, ma anche di resistenza. Proprio ora più che mai siamo chiamate a resistere, poiché questa grave situazione non andrà a colpire gli allevamenti intensivi, quei “non-luoghi” dai quali molti animali rifugiati sono scampati, ma proprio noi e coloro dei quali ci prendiamo cura, quelli che credevamo essere “salvi”. Agli allevatori e alle loro fabbriche di morte verranno destinati ristori, indennizzi e incentivi (pagati anche con i nostri/vostri soldi). Una doccia di acqua gelida, un monito per noi per ricordarci che nessunə può davvero considerarsi “salvə” all’interno di questa enorme macchina infernale chiamata “capitalismo”.
Ci sono misure di biosicurezza che avete la possibilità di mettere in campo per proteggere dal contagio i suini che vivono nei rifugi? Avete accesso a qualche tipo di sovvenzione a questo scopo?
Susanna. Come molte persone sanno, in Italia i rifugi sono vittime di un vuoto normativo che ci equipara ad allevatori e aguzzini. Da anni ormai ci sono realtà e soggettività, come la “Rete dei Santuari di Animali Liberi”, che lavorano perché i rifugi possano essere inquadrati giuridicamente e perché gli abitanti non umani possano ottenere lo status di “rifugiati”, fuori cioè dal circuito di sfruttamento, al sicuro.
Ci preme ricordare che, dal momento che gli animali rifugiati non sono destinati a produzione alimentare, le strutture che li ospitano non ricevono alcun genere di finanziamento o sussidio economico, ma possono contare solo sulla solidarietà di singole persone. Dal canto nostro che siamo in Toscana, stiamo aspettando le indicazioni riguardanti le misure di “biosicurezza” da parte della nostra Asl veterinaria. Ci verrà certamente richiesto di recintare nuovamente un parte o tutto il perimetro del Rifugio mantenendo una distanza dalla prima recinzione di circa 1 metro, per evitare il contatto diretto tra gli abitanti di Ippoasi e i cinghiali all’esterno. Questo impegno sarà per noi fondamentale da realizzare e molto oneroso in termini di impegno fisico ed economico. Tra le altre misure di sicurezza sanitaria verrà certamente posta attenzione alla disinfezione di ambienti e indumenti. Non abbiamo, al momento, altre indicazioni.
Abbiamo letto che in Piemonte si sta ipotizzando di iniziare, a giorni, lo “spopolamento” di oltre 50mila cinghiali e che da lunedì 31 gennaio dovrebbe iniziare a Genova “l’abbattimento” della popolazione di cinghiali che vive lungo il fiume Bisagno. Al di là dell’orrore in sè che caratterizza una simile misura, è possibile che ciò comunque possa non servire a fermare il contagio ma rischi invece di produrre un indesiderato effetto paradosso?
Susanna. Per quanto riguarda la situazione dei cinghiali, crediamo che i provvedimenti di uccisione presi da Piemonte e Liguria siano assolutamente da condannare e da boicottare, prima di tutto perché sono l’ennesimo abominio legalizzato sui corpi animali, ma anche perché non rappresentano in alcun modo una valida soluzione all’epidemia, soprattutto dal momento che tutte queste misure sono messe in atto – ricordiamolo sempre – per tutelare allevatori e per evitare la diffusione della PSA negli allevamenti intensivi italiani (la popolazione di maiali allevati si stima sia quasi 5 volte quella dei cinghiali). L’abbattimento di suini selvatici avrà (potrebbe avere) un effetto paradosso: si rischia di aumentare il numero di contagiati. L’intervento umano ha fatto sì che la PSA si diffondesse in Europa (principalmente a causa di allevamento, commercio, trasporto e traffico di animali). C’è solo un predatore naturale che potrebbe limitare i danni dell’epidemia, la cui sopravvivenza è costantemente appesa ad un filo ma che al contrario andrebbe tutelata: il lupo.
Paola. In natura i cinghiali selvatici vivono in colonie, se anche ci fosse una rapida diffusione della malattia, arriverebbe ad esaurimento dopo un certo numero di decessi perchè gli animali vivono divisi e in ampie aree geografiche. Chiaramente si mette in conto anche un contagio tra diversi gruppi di cinghiali, ma nulla a che vedere con il numero di decessi che avremmo se il virus riuscisse a contagiare gli animali dentro gli allevamenti italiani, che contano migliaia e migliaia di individui negli stessi ambienti, già deboli ed immunodepressi. Sarebbe una strage con numeri davvero inquietanti, il che non ci colpisce particolarmente, come antispecisti, perchè parliamo di animali purtroppo condannati a morte già dalla loro nascita. Ma per la zootecnia sarebbe una perdita economica che metterebbe in ginocchio l’intero settore, cosa che peraltro già accade, anche se non suscita scalpore, in particolare con gli avicoli. Abbassare il numero di cinghiali è una misura tardiva, e assolutamente non risolutiva. Oltre che crudele e disumana. Ma al momento è anche quella più economica visto che le battute di caccia selettiva al cinghiale sono già una prassi molto utilizzata, e non hanno quasi nessun costo visto che i cacciatori sono ben felici di invadere le montagne e seminare morte. Oramai, soprattutto in Nord Italia, dove si allevano il grosso degli animali destinati alla GDO, abbiamo dichiarato guerra ai selvatici, non solo quelli di allevamento, ma anche tutti gli animali che hanno la fortuna di essere liberi, perché, in un modo o nell’altro, interferiscono con le attività umane.
Suini allo stato brado o semi-brado considerati, senza se e senza ma, untori, ma dove sta la verità? Gli allevamenti intensivi, dove migliaia di maiali trascorrono le loro brevi e infelici vite ammassati uno sopra l’altro, sono davvero più sicuri sotto il profilo sanitario?
Susanna. Ho già accennato più sopra che il sistema capitalistico e specista è assolutamente colpevole di quanto sta accadendo. In questo momento ci ritroviamo alle prese contemporaneamente con una pandemia interna alla nostra specie, con la PSA e con l’Influenza Aviaria, che in comune hanno la matrice, sempre legata all’oppressione di specie. A noi e a sempre più persone tutto ciò risulta sempre più palese. Da anni, in quanto attivistə antispecistə denunciamo l’orrore specista, cercando disperatamente di farci ascoltare e di essere prese sul serio. Non è più possibile fingere che nulla stia accadendo intorno a noi, che tutto questo non ci coinvolgerà (di nuovo), che andrà tutto bene e che prima o poi passerà, ora è il momento di rifiutarsi di essere complici, di metterci corpi ed energie, di far sentire le nostre istanze, anche se di fronte a noi si staglia una mastodontica e (apparentemente) indistruttibile macchina smembra-vite, non dimenticando mai che “è più facile dominare chi non crede in niente. Ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.”
Paola. Nei grandi allevamenti insorgono continuamente patologie e virus letali, che al contrario della Psa, possono essere letali per l’essere umano. La Asl sottopone gli animali a continui test per malattie come bluetongue e brucellosi, ma negli anni vediamo sempre maggiori difficoltà a far fronte ai continui nuovi ceppi che nascono negli allevamenti. A livello mediatico passano solo i casi che provocano vittime umane, come la mucca pazza e l’aviaria, ma quei ceppi virali sono ancora ben presenti e, specie nei mega allevamenti, mutano e continuano a diffondersi. Esiste una pandemia, ad altissima patogenicità, che sta uccidendo molti più individui del Covid e della Peste suina africana, e sta flagellando soprattutto il Nord Italia colpendo polli, tacchini, galline. Basti pensare che da metà ottobre ad oggi, solo per uno dei ceppi della HPAI (*Highly Pathogenic Avian Influenza), negli allevamenti padani sono stati identificati circa 300 focolai e soppressi circa 14 milioni di capi. I metodi per le soppressioni di massa, poi, sono raccapriccianti. In Friuli, Emilia, Lombardia, è stato dichiarato lo stato di calamità, e stanziati milioni di euro per supportare il capitale zootecnico. Anche per la Psa, per solo due regioni, sono stati già stanziati 50 milioni di Euro. Denaro che dovremmo investire in energie pulite, per far fronte a mutamento climatico e siccità imperante, e che invece finiscono nelle tasche dei grandi gruppi e dei consorzi di allevatori.
Avete avuto contatti con le autorità sanitarie della vostra zona? Che vi hanno prospettato?
Susanna. Al momento, come già accennato, in Toscana non sono stati registrati casi di PSA. Restiamo in allerta e attendiamo precise indicazioni per cominciare i lavori di “biosicurezza”.
Paola. La situazione attuale è particolarmente preoccupante, non tanto per gli allevatori di animali bradi perchè saranno ben risarciti dallo Stato e che avrebbero comunque macellato i “loro” animali, ma per i selvatici e per noi rifugi antispecisti. Che con grandi sacrifici facciamo vivere luoghi di resistenza dove la vita di ogni animale sottratto alla mercificazione capitalistica della zootecnia è preziosa. Ad oggi ci stiamo tutti attivando per la realizzazione di recinzioni distanziate per separare i nostri animali da possibili cinghiali selvatici, nonostante siamo sempre a corto di risorse, siamo forti abbastanza da far fronte a questa situazione.
Di fronte a queste notizie inquietanti, in che modo possiamo mostrarci realmente solidali e resistere al fianco vostro e dei suini liberi e liberati dei rifugi che dopo aver conosciuto una vita degna corrono il rischio di essere ricondotti al finale di copione che era stato scritto alla loro nascita?
Susanna. Credo che la modalità migliore per essere solidali con i suini liberati e liberi sia quello di attraversare fisicamente i rifugi, prestando aiuto pratico, diffondendone le storie di resistenza, sostenendone le iniziative di raccolta fondi (le spese legate alla costruzione di recinti sono assolutamente straordinarie), ma anche manifestare il proprio dissenso di fronte a provvedimenti omicidi, con ogni mezzo a nostra disposizione. Al momento è in atto una campagna di mail bombing indetta dalla Rete dei Santuari, di cui consigliamo di seguire le pagine social. Sono state inoltre indette una manifestazione (domani, a Genova) contro l’uccisione dei cinghiali del fiume Bisagno, e un presidio a Torino, domenica 6 febbraio. Non possiamo indietreggiare.
Paola. Quello che ci preoccupa sono tutti quei cittadini e quelle cittadine, che negli anni hanno smesso di consumare corpi di individui animali e hanno adottato suini per tenerli nei propri giardini, che spesso non hanno mezzi per resistere a simili attacchi. Ovviamente stiamo già offrendo supporto anche legale a tutti e tutte loro. Siamo presenti in diverse regioni d’Italia, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio e Abruzzo. Potete trovare le nostre realtà online e sostenerci, economicamente e non. Partecipando alle raccolte fondi e alle iniziative di protesta.
** Aggiornamento: in conclusione del presidio di venerdì 4 febbraio, indetto a Genova sotto il palazzo della Regione Liguria, è arrivata, direttamente dal Ministero della Salute, una notizia importante. Il Ministero ha chiarito che le disposizioni per il contenimento della PSA che prevedono l’abbattimento preventivo di tutti i suini che si trovano nella zona del contagio (o in quella immediatamente adiacente) non riguarderanno i maiali di privati e quelli ospiti dei rifugi. Una prima piccola buona notizia che abbiamo voluto immediatamente commentare con Sara D’Angelo dell’associazione Vita Da Cani.