Simulare crisi globali che poi stranamente si avverano?

Nel dicembre 2021, in Israele, rappresentanti istituzionali delle 10 maggiori nazioni OCSE hanno tenuto “giochi di guerra” per simulare un attacco ai mercati finanziari da parte di “attori sofisticati” che “usano fake news” per seminare il panico. Per mascherarlo è stato riferito che si trattava di “giochi di guerra” atti a simulare un attacco hacker (vedasi Reuters riportata di seguito), ma se si legge con attenzione ci si accorge di come sia in realtà stato simulato un crash dei mercati finanziari. Come saprete, nel 2017 e poi nel settembre 2019 sono stati tenuti degli scenari di simulazione di una “pandemia” con successivo confinamento (=lockdown) e vaccinazione di massa.

È possibile che quando questa gente si riunisce per simulare una crisi globale, pandemica o finanziaria, poi stranamente succede?

Riportiamo la notizia della simulazione avvenuta a dicembre 2021, seguita da ampi stralci dell’articolo pubblicato su LaFionda a firma del professor Fabio Vighi e intitolato “Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico”. Per gentile concessione de LaFionda.

ESCLUSIVO FMI, 10 paesi simulano attacchi informatici al sistema finanziario globale

Di Steven Scheer, Gerusalemme (Reuters).

Giovedì 9 dicembre 2021. Israele. I rappresentanti di 10 Paesi hanno condotto la simulazione di un grave attacco informatico al sistema finanziario globale, con lo scopo di aumentare la cooperazione e ridurre al minimo qualsiasi potenziale danno ai mercati finanziari e alle banche.

Il “gioco di guerra” simulato, come lo ha definito e pianificato il Ministero delle Finanze Israeliano nell’ultimo anno, si è sviluppato nell’arco di 10 giorni, con dati sensibili che sono emersi sul Dark Web. La simulazione ha utilizzato anche notizie false che, nello scenario, hanno causato il caos nei mercati globali e una corsa alle banche.

La simulazione, probabilmente causata da quelli che i funzionari chiamavano attori “sofisticati”, presentava diversi tipi di attacchi che hanno avuto un impatto sui mercati valutari e obbligazionari globali, sulla liquidità, sull’integrità dei dati e sulle transazioni tra importatori ed esportatori.

“Questi eventi stanno creando scompiglio nei mercati finanziari”, ha detto il narratore di un film mostrato ai partecipanti come parte della simulazione e visto da Reuters.

I funzionari del governo israeliano hanno affermato che tali minacce sono possibili sulla scia dei numerosi attacchi informatici di alto profilo alle grandi aziende e che l’unico modo per contenere eventuali danni è attraverso la cooperazione globale poiché l’attuale sicurezza informatica non è ancora abbastanza forte.

“Gli attaccanti sono a 10 passi avanti al difensore”, ha detto a Reuters Micha Weis, cyber manager finanziario del Ministero delle Finanze Israeliano.

All’iniziativa, denominata “Collective Strength”, hanno partecipato funzionari del Tesoro di Israele, Stati Uniti, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti, Austria, Svizzera, Germania, Italia, Paesi Bassi e Thailandia, nonché rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Banca dei Regolamenti Internazionali.

Nella simulazione, il narratore del film ha affermato che i governi erano sotto pressione per chiarire l’impatto dell’attacco che stava paralizzando il sistema finanziario globale.

Il narratore ha detto: “Le banche stanno facendo appello per l’assistenza di liquidità di emergenza per una moltitudine di valute per porre fine al caos mentre le controparti ritirano i loro fondi e limitano l’accesso alla liquidità, lasciando le banche allo sbando e in rovina”.

I partecipanti hanno discusso le politiche multilaterali per rispondere alla crisi, tra cui un giorno festivo coordinato delle banche, periodi di tempo per il rimborso del debito, accordi SWAP/REPO e disconnessione coordinata dalle principali valute.

Rahav Shalom-Revivo, responsabile degli impegni cibernetici finanziari di Israele, ha affermato che la collaborazione internazionale tra i ministeri delle finanze e le organizzazioni internazionali “è la chiave per la resilienza dell’ecosistema finanziario”.

La simulazione era originariamente prevista per l’Expo Mondiale di Dubai, ma è stata spostata a Gerusalemme a causa della variante Omicron del COVID-19, con la partecipazione di funzionari in videoconferenza.

Fonte: Reuters.

PARADIGMA COVID: COLLASSO SISTEMICO E FANTASMA PANDEMICO

Di Fabio Vighi.

A un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.

Quale emergenza?

Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.

Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento […] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.

9 agosto 2019: Sempre la BRI pubblica un working paper in cui si chiedono esplicitamente “misure non convenzionali di politica monetaria” finalizzate a “isolare l’economia reale da un ulteriore deterioramento delle condizioni finanziarie”.

15 agosto 2019: BlackRock, il fondo di investimento più potente al mondo, pubblica un documento ufficiale in cui si ‘suggerisce’ alla Federal Reserve di iniettare liquidità direttamente nel sistema finanziario per prevenire “una drammatica recessione”. Confermando l’allarme della BRI, BlackRock sostiene che “è necessaria una risposta senza precedenti”, ovvero “un’azione diretta [going direct]”, da parte della banca centrale. […]

22-24 agosto 2019: I banchieri centrali del G7 si incontrano a Jackson Hole, nel Wyoming, per discutere il suddetto documento di BlackRock a fronte di una crescente volatilità finanziaria. James Bullard, presidente della Federal Reserve di St Louis, afferma: “Dobbiamo smettere di pensare che il prossimo anno le cose saranno normali”.

15-16 settembre 2019: La crisi finanziaria viene ufficialmente inaugurata da un picco dei tassi repo, che schizzano dal 2% al 10,5% nel giro di poche ore. ‘Repo’ sta per repurchase agreement, contratto finanziario in cui i grandi fondi di investimento prestano denaro dietro collaterale (tipicamente bond governativi). Al momento dello scambio, l’operatore finanziario (banca) si impegna a riacquistare il collaterale a un prezzo più alto, tipicamente nel giro di poche ore (overnight). In breve, i repo sono prestiti garantiti, l’equivalente dei nostri ‘pronti contro termine’. Fanno parte dello shadow banking system, gigantesco apparato di intermediazione finanziaria parallelo e complementare alla rete tradizionale, ma libero da vincoli di vigilanza. La funzione dei repo è consentire alle banche di ottenere liquidità a breve termine per rimanere attive nel settore speculativo, soprattutto nella galassia dei derivati. Una mancanza di liquidità nei repo, che solo negli USA muovono circa 3.000 miliardi di dollari al giorno, può scatenare una devastante reazione a catena su tutti i principali mercati. L’impennata dei tassi nella notte tra il 15 e il 16 settembre 2019 finisce per prosciugare l’erogazione del credito. La notizia fa il giro del mondo (vedi quiqui, e qui) ma viene sottostimata dal mainstream.

17 settembre 2019: La Fed inaugura un programma monetario emergenziale che prevede la creazione settimanale di centinaia di miliardi di dollari da iniettare nel sistema finanziario, esattamente come suggerito da BlackRock. Non sorprende che, nel marzo 2020, la Fed affidi proprio a BlackRock la gestione del pacchetto di salvataggio in risposta alla ‘crisi pandemica’.

18 ottobre 2019: a New York viene simulata una pandemia zoonotica globale nell’ormai celebre Event 201, esercizio strategico coordinato dal Johns Hopkins Biosecurity Center e dalla Bill and Melinda Gates Foundation.

21-24 gennaio 2020: A Davos, in Svizzera, il World Economic Forum (WEF) discute di economia e di vaccini.

23 gennaio 2020: La Cina chiude Wuhan insieme a altre città della provincia di Hubei.

11 marzo 2020: Il direttore generale dell’OMS definisce il Covid-19 una pandemia. […]

Tra settembre 2019 e marzo 2020 la Fed ha pompato più di 9.000 miliardi di dollari nel sistema interbancario, pari a più del 40% del PIL statunitense.

Per comprendere le ragioni della pandemia dobbiamo inserirla nel contesto economico che le spetta. Pochi mesi prima della comparsa del SARS-CoV-2, la Fed stava cercando di domare l’incendio che divampava nel sistema interbancario. Sappiamo che nel magico mondo della finanza, tout se tient. Un battito d’ali di farfalla in un certo settore può far crollare l’intero castello di carte. […]

Ci sono buone ragioni per sospettare che la crisi di liquidità nei circuiti finanziari fosse divenuta esiziale, al punto da imporre l’extrema ratio del congelamento dell’economia. Solo un coma economico indotto avrebbe garantito alla Fed lo spazio d’azione necessario a sbrogliare la matassa finanziaria. Dietro il paravento pandemico la Fed ha lavorato alacremente a tappare le voragini apertesi nel sistema dei prestiti interbancari. […] Come ha scritto l’economista Ellen Brown, si sarebbe trattato di un altro bailout (salvataggio), ma questa volta sotto le mentite spoglie di un virus. John Titus, che da anni vigila sulle operazioni della banca centrale americana, non ha dubbi: “La pandemia virale è la narrazione di copertura [cover story] che ha permesso alla Fed di dare il via al piano BlackRock con un’ondata di acquisti massicci e del tutto senza precedenti.” Altri sono arrivati alla medesima conclusione.

In questa sede non importa stabilire dove esattamente si trovasse la miccia, perché quando l’aria è satura di materiali infiammabili qualsiasi scintilla può causare l’esplosione. Preme piuttosto constatare che nell’autunno del 2019 il sistema finanziario avesse raggiunto un’altra volta il punto di non ritorno. La vulgata del mainstream andrebbe dunque rovesciata: la finanza non è crollata perché è stato necessario imporre i lockdown; piuttosto, è stato necessario imporre i lockdown perché la finanza stava crollando. Il congelamento delle transazioni commerciali ha infatti drenato la circolazione del denaro e la richiesta di credito. […]

A mio modo di vedere siamo di fronte a un cambio di paradigma. La gestione autoritaria di economia e società si impone come condizione necessaria alla sopravvivenza (distopica) del capitalismo stesso, che non è più in grado di riprodursi attraverso il lavoro salariato di massa e l’annessa utopia consumistica. L’agenda che ha partorito il fantasma della pandemia come religione sanitario-vaccinale nasce dalla percezione della sopravvenuta impraticabilità di un capitalismo a base liberal-democratica. Mi riferisco al crollo di redditività di un modello industriale reso obsoleto dall’automazione tecnologica, e per questo sempre più vincolato a debito pubblico, bassi salari, centralizzazione di ricchezza e potere, stato d’emergenza permanente, e alla creatività del settore finanziario, dove il denaro si moltiplica da sé, per partenogenesi.

Se partiamo da questo assunto, noteremo che il blocco dell’economia subdolamente attribuito all’emergenza sanitaria ha ottenuto risultati tutt’altro che disprezzabili in termini capitalistici. Ne sottolineo rapidamente quattro: 1) Ha permesso alla Fed di riorganizzare il settore finanziario grazie alla stampa di miliardi di dollari a getto continuo; 2) Ha accelerato il processo di estinzione delle piccole e medie imprese, consentendo ai maggiori gruppi di potere di monopolizzare i flussi di commercio, legandoli alle politiche monetarie delle banche centrali; 3) Ha ulteriormente alleggerito il costo del lavoro, facilitando inoltre cospicui risparmi attraverso lo smart working (che è smart soprattutto per chi lo impone); 4) Ha favorito la crescita dell’e-commerce, l’esplosione dei Big Tech, e la proliferazione del farma-dollaro – inclusa la tanto denigrata industria della plastica, che ora produce milioni di mascherine e guanti alla settimana, molti dei quali finiscono in mare (per la gioia dei green new dealers). Nel solo 2020, la ricchezza dei circa 2.200 miliardari del pianeta è cresciuta di 1.9 trilioni di dollari, aumento senza precedenti storici. Tutto ciò grazie a un virus talmente devastante che, stando ai dati ufficiali (OMS), almeno il 99.8% degli ‘infetti’ guarisce.

L’ipotesi del motivo economico deve dunque essere inserita in un più ampio e complesso contesto di trasformazione sociale. Lo scenario che ci si prospetta, se solleviamo il velo di Maya, è di carattere marcatamente neo-feudale. Masse di consumatori sempre meno produttive vengono regimentate, semplicemente perché i nuovi glebalizzatori non sanno più che farsene. Insieme ai sottoccupati e agli esclusi, il ceto medio impoverito diventa un problema da gestire con il bastone del lockdown (a breve anche in versione climatica), del coprifuoco, della propaganda, e della militarizzazione della società, piuttosto che con la carota del lavoro, del consumo, della democrazia partecipativa, dei diritti sociali (sostituiti nell’immaginario collettivo dai diritti civili delle minoranze), e delle ‘meritate vacanze’.

È dunque da illusi pensare che lo scopo delle chiusure sia terapeutico e umanitario. Quando mai il capitale si è preso cura dei suoi sudditi? Indifferenza e misantropia sono da sempre i tratti tipici del nostro modo di produzione, la cui unica vera passione è il profitto, e il potere che ne deriva. Oggi la classe dominante fa capo ai tre maggiori fondi di investimento al mondo: BlackRock, Vanguard e State Street Global Advisor. Questi giganti, posizionati al centro di un’enorme galassia di entità finanziarie, gestiscono una massa di valore vicina alla metà del PIL globale, e sono i maggiori azionisti in circa il 90% delle società quotate in borsa. Attorno a loro gravitano istituzioni transnazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il Forum Economico Mondiale, la Commissione Trilaterale, e la Banca dei Regolamenti Internazionali, la cui funzione è coordinare il consenso all’interno della costellazione finanziaria. Non è difficile ipotizzare che in tale ambito vengano prese tutte le principali decisioni strategiche, non solo di carattere economico ma anche politico e militare.

D’altra parte, come potremmo fidarci di un mega cartello farmaceutico (l’OMS) che si occupa non di ‘salute pubblica’, ma di commercializzare prodotti privati in tutto il mondo alle tariffe più redditizie possibili? I problemi di salute pubblica, semmai, derivano da condizioni di lavoro ignobili, cattiva alimentazione, inquinamento di aria, acqua e cibo, e soprattutto da una dilagante povertà; eppure nessuno di questi ‘patogeni’ rientra nella lista delle preoccupazioni umanitarie dell’OMS. L’enorme conflitto di interesse tra i predatori lombrosiani dell’industria farmaceutica, le agenzie mediche nazionali e sovranazionali, e gli esecutori politici, è ormai un segreto di Pulcinella. Non deve stupire che il giorno in cui l’OMS ha classificato COVID-19 come pandemia, il WEF, insieme all’OMS stessa, ha lanciato la Covid Action Platform, una coalizione per la “protezione della vita” gestita da oltre 1.000 tra le aziende private più potenti al mondo.

Mettiamoci in testa che l’unica cosa che conta per chi dirige l’orchestra emergenziale è soddisfare la fame di profitto e potere, e dunque ogni mossa è programmata in tal senso. D’altronde, se chi produce armi provoca guerre, chi produce farmaci deve inventarsi malattie. Non a caso la ‘salute pubblica’ è il settore di gran lunga più remunerativo dell’economia mondiale, al punto che Big Pharma spende circa tre volte più di Big Oil e il doppio di Big Tech in finanziamenti lobbistici. La domanda potenzialmente infinita di vaccini e intrugli genici vari offre ai cartelli farmaceutici la prospettiva di flussi di profitto pressoché illimitati, specie quando garantiti da programmi di vaccinazione di massa sovvenzionati da denaro pubblico (altro debito che ricadrà sulle nostre teste).

Perché tutte le cure precoci al Covid, dall’efficacia comprovata, sono state criminosamente sabotate? Come ammette candidamente la FDA (Food & Drug Administration, organo ufficiale americano in materia di salute pubblica) l’utilizzo di vaccini emergenziali è possibile solo se “non ci sono alternative adeguate, approvate e disponibili”. Le terapie domiciliari avrebbero aiutato a ridurre i ricoveri, mettendo fine all’emergenza ospedaliera. Ma l’operazione Covid mira a salvaguardare i privilegi economici, non la salute dei cittadini. Chi ancora si ostina a negarlo diventa complice di un sistema che, per sopravvivere, deve terrorizzare.

D’altra parte, la messinscena emergenziale attecchisce grazie a un palese difetto democratico, che si evidenzia nella feroce manipolazione dell’opinione pubblica. Ogni ‘dibattito pubblico’ è spudoratamente privatizzato, ovvero monopolizzato dalla religiosa osservanza di un Verbo tecnico-scientifico a libro paga delle élites economiche. Ogni ‘libera discussione’ è legittimata dall’adesione a postulati pseudo-scientifici accuratamente depurati sia dal contesto socio-economico che dalla possibilità del dubbio e del confronto. Il pensiero unico dei virologi di regime, talmente bislacchi da cambiare opinione con la frequenza con cui si cambiano i calzini, si fonda sulla censura di premi Nobel come Luc Montaigner, o giganti della microbiologia come Didier Raoult; per non citare dozzine di altre eccellenze scientifiche silenziate dal mainstream.

La salute pubblica privatizzata è da tempo un mezzo di ingegneria sociale, oltre che di leva economica. Si può dire che abbia sostituito la religione come avanguardia ideologica dell’imperialismo capitalista, come ben comprese il filantropo Frederick T. Gates, nonno di Bill e principale consigliere commerciale del grande industriale del petrolio John Rockefeller. Nel 1901, Gates nonno convinse Rockefeller a fondare una struttura di ricerca di medicina sperimentale contro le malattie infettive, il Rockefeller Institute for Medical Research (poi Rockefeller University) – buon sangue non mente.

In breve, per COVID-19 non ci è difficile immaginare il seguente quadro strategico. Si prepara una narrazione fittizia sulla base di un potenziale rischio epidemico presentato in modo tale da favorire comportamenti di estrema sottomissione. Per far questo basta un virus influenzale di ambigua collocazione epidemiologica, su cui costruire un’aggressiva narrazione di contagio relazionabile a aree geografiche in cui è alto l’impatto di polmoniti e malattie respiratorie o vascolari nella popolazione anziana e immunodepressa, magari con l’aggravante del forte inquinamento. Non c’è neppure bisogno di inventarsi granché, visto che le terapie intensive in paesi ‘avanzati’ come l’Italia erano già al collasso negli anni precedenti all’arrivo del Covid, con picchi di mortalità per i quali nessuno si era però sognato di riesumare la quarantena.

Ma questa volta si fa sul serio: si dichiara uno stato di emergenza che scatena il panico generalizzato, l’intasamento di pronto soccorso, ospedali e case di cura (in Italia, le sole infezioni ospedaliere causano circa 50.000 decessi annui), l’applicazione di nefasti protocolli terapeutici, e la sospensione della medicina di base. In queste condizioni, la pandemia diventa una propezia che si auto-avvera. La propaganda che impazza nei centri nevralgici del potere finanziario (Nord America e Europa zona Euro) è da subito essenziale al mantenimento dello stato di crisi, accettato come unica forma possibile di razionalità politico-esistenziale. Le moltitudini esposte a bombardamento mediatico non solo si piegano, ma addirittura si auto-disciplinano, aderendo con grottesco entusiasmo identitario a forme di civismo in cui la coercizione diventa altruismo, a tal punto che la lotta per il bene comune resuscita persino la pratica infame della delazione.

Ai registi del piano pandemico va dunque riconosciuta una certa sadica genialità, per quanto il crimine non possa dirsi perfetto. Da un punto di vista dialettico, qualsiasi forma di dominio che ambisce a totalizzarsi è destinata a fallire, e questo vale anche per i burattinai della finanza, e tutti i pupazzi di cui si servono per tenere in piedi l’operazione di guerra psicologica che ipnotizza le masse da più di un anno. Il potere, in fondo, tende sempre a illudersi sulla propria onnipotenza, innanzitutto perché, paradossalmente, è anch’esso eterodiretto. Oggi, le decisioni prese da chi siede nella stanza dei bottoni hanno come fine la riproduzione dell’ingranaggio socio-economico che chiamiamo ‘capitalismo’. Il potere, in altre parole, è la macchina impersonale del profitto, il cui unico scopo è continuare la sua folle corsa. E nell’attuale fase storica, lo stato d’emergenza globale rappresenta l’assetto politico che meglio garantisce la riproducibilità del dispositivo economico, indipendentemente da chi lo sta pilotando e dalle contraddizioni generate.

La grande simulazione, ovvero: presi per il Covid.

Chiunque abbia conservato un minimo di indipendenza intellettuale dai media di regime dovrebbe aver compreso che l’emergenza da coronavirus è un artefatto. Di seguito farò un breve inventario delle principali evidenze di cui disponiamo.

Come ammesso dall’OMS, il tasso di letalità del misterioso patogeno, che colpisce quasi esclusivamente soggetti anziani affetti da comorbidità gravi, è paragonabile a quello di un’influenza stagionale (0.23% a fine 2020, e 0.15% a marzo 2021). Nulla a che vedere con le stime monstre di Neil Ferguson, padre di tutti i modellisti apocalittici sponsorizzati da Big Pharma. A causa della sua bassa letalità, SARS-CoV-2 rientra nel penultimo livello dei cinque stilati dalle autorità sanitarie statunitensi; un livello che, secondo le linee guida dell’OMS, richiede solo l’isolamento facoltativo dei malati, mentre esclude categoricamente misure emergenziali come lockdown, mascherine, chiusura delle scuole, distanziamento, e vaccinazioni. O meglio, le escludeva fino a quando non si sono cambiate le carte in tavola per legittimare la più grande campagna vaccinale di tutti i tempi, la cui assurdità è riassumibile nella seguente domanda: perché l’umanità intera (inclusi i bambini!) dovrebbe iniettarsi un siero sperimentale dagli effetti avversi sempre più inquietanti e fuori norma,[1] quando almeno il 99.8% dei contagiati, di cui la stragrande maggioranza asintomatici, guarisce? La risposta è lapalissiana: perché i vaccini sono il vitello d’oro del terzo millennio, e l’umanità-gregge è carne da profitto di ‘ultima generazione’, ovvero in versione cavia.

Proprio alle cavie parlava Mario Draghi (l’uomo della provvidenza delle banche) inaugurando il Global Health Summit di Roma il 21 maggio scorso: “dobbiamo vaccinare il mondo contro il coronavirus, e farlo velocemente”. Parole sante, subito ribadite in accorato appello da Ezio Mauro: “abbiamo il dovere di salvare il mondo.” In un esercizio di impareggiabile ipocrisia, Mauro ci dice che “il gap tra i Paesi Poveri e i Paesi Ricchi si supera con un’inversione culturale”, che ovviamente consiste nell’abbracciare la teologia dell’universalismo vaccinale: “All’universale si risponde solo con l’universale”. Amen, con buona pace di Hegel.

Per chi non lo sapesse, in Europa il passaporto sanitario digitale era stato programmato nel 2018, con attuazione prevista per il 2022. A ridosso dalla ‘pandemia’ si erano tenuti grandiosi eventi promozionali come il Global Vaccination Summit (Commissione Europea, Bruxelles, 12 settembre 2019); e il Global Vaccine Safety Summit (OMS, Ginevra, 2-3 dicembre 2019). Negli USA, il 19 settembre 2019 Donald Trump firmava l’Ordine Esecutivo 13887, in cui veniva istituita una Task Force con l’obiettivo di lanciare un “piano nazionale quinquennale per la promozione dell’uso di tecnologie vaccinali più agili e scalabili” per contrastare l’impatto di “una pandemia influenzale”, che, “può diffondersi rapidamente in tutto il mondo, infettare un numero maggiore di persone e causare alti tassi di malattia e morte nelle popolazioni senza immunità”. Insomma, la tavola era stata apparecchiata con largo anticipo.

Basta poi osservare che la sintomatologia ufficiale del Covid e delle sue varianti (stanchezza, febbre, tosse secca, perdita di gusto e olfatto, ecc.) è talmente generica che tutti, anche i più sani, vi si possono riconoscere al primo sternuto; allo stesso tempo, rende la malattia facilmente riclassificabile come causa di decesso di chi sarebbe comunque passato a miglior vita, sia per anagrafe che per quadro patologico ampiamente compromesso. La stessa trasmissione per via respiratoria si sposa perfettamente con le ragioni dell’isolamento, per giustificare il quale si arriva persino a inventare la categoria molieriana del ‘malato asintomatico’.

C’è poi il punto dirimente, la leva di Archimede del ‘paradigma corona’. Tutta la sceneggiatura pandemica – dalla ‘curva del contagio’ ai ‘decessi da Covid’ – si regge sulla farsa del test PCR, strumento autorizzato alla rilevazione del SARS-CoV-2 da uno studio prodotto in tempi record dall’equipe del virologo berlinese Christian Drosten, su commissione dell’OMS. Come molti ormai sapranno, l’inaffidabilità diagnostica del test PCR fu già denunciata dal suo stesso inventore, il premio Nobel Kary Mullis (malauguratamente scomparso il 7 agosto 2019), e di recente ribadita, tra gli altri, da 22 esperti di fama internazionale che hanno chiesto lo stralcio dello studio in questione per evidenti difetti scientifici. Ovviamente la richiesta è caduta nel vuoto.

Autentico motore della pandemia, il test PCR (tampone) si presta a essere abusato in modo simile a come da bambini si abusava del termometro al mercurio, mettendolo sul termosifone per fingere la febbre e saltare la scuola. Si tratta di uno strumento che funziona attraverso gli ormai celebri ‘cicli di amplificazione’ (cycle thresholds): più se ne fanno, più si sfornano falsi positivi, come incautamente ammesso persino dal guru Anthony Fauci quando ha affermato che sopra i 35 cicli i tamponi non hanno alcun valore. Orbene, perché durante la pandemia, nei laboratori di tutto il mondo, si sono fatti di norma amplificazioni pari o superiori a 35 cicli? Persino il New York Times – non certo un covo di pericolosi negazionisti – l’estate scorsa aveva sollevato la questione.

Grazie alla sensibilità del tampone la pandemia si può aprire e chiudere come un rubinetto, cosa che permette al regime sanitario di esercitare un controllo assoluto sul mostro numerologico del contagio e della mortalità da Covid – gli strumenti chiave del terrore quotidiano. Così non deve stupire che nel gennaio del 2021, a inizio campagna vaccinale, l’OMS abbia messo in guardia sul rischio dei falsi positivi generati dall’uso improprio del test. A conferma di questa nuova prassi, nell’aprile-maggio di quest’anno il CDC americano ha chiesto sia di abbassare il numero dei cicli PCR laddove si sospettassero nuove infezioni, che di sospendere la conta delle infezioni asintomatiche o lievi di coloro che sono stati vaccinati. Tutto ciò per dimostrare che i vaccini funzionano.

Ricordiamo poi che a gonfiare la bolla dei decessi ha contribuito l’introduzione di nuovi protocolli medici (marzo 2020) che istruiscono a certificare ‘COVID-19’ come causa di morte anche laddove si presume abbia causato o contribuito al decesso, e senza necessità di verifica clinica. Lo scrive l’OMS ai medici legali: “applicate sempre queste istruzioni, che siano corrette o meno dal punto di vista medico”; e lo ratifica l’ISTAT: “anche se non c’è una diagnosi confermata.” Interessante, poi, come il Covid abbia ‘curato’ l’influenza, che è miracolosamente scomparsa. È stato inoltre dimostrato che la trasmissione asintomatica è statisticamente inesistente, e che i lockdown sono sia inefficaci che socialmente distruttivi, non ultimo nel causare migliaia di decessi attraverso la sospensione delle cure mediche. Sappiamo, per ammissione dello stesso CDC americano, e della Commissione Europea, che il patogeno in questione non è mai stato isolato né purificato, e che quindi ci si presenta con tutti i crismi di un virus-fantasma.

Se ciò non bastasse, pensiamo per un attimo all’evoluzione del significato di pandemia prima del 2020, rispetto all’influenza aviaria (2003) e alla suina (2009). Nel corso di quest’ultima, l’OMS decise di cambiare la definizione del termine, eliminando il riferimento all’“alta mortalità”. In sostanza, “diffusione epidemica di una malattia” divenne criterio sufficiente a far scattare l’allarme pandemico, insieme ai succulenti contratti vaccinali. E se aviaria e suina non portarono le vagonate di morti pronosticati dagli apprendisti stregoni dell’industria farmaceutica (celebri i 150 milioni di decessi pronosticati da David Nabarro, OMS, riguardo l’aviaria), furono comunque funzionali sia a sdoganare il business miliardario di mascherine, vaccini et similia, che nell’introdurre nelle popolazioni il tarlo del virus apocalittico, che ci attende sulla soglia di casa nonché ogni volta che incrociamo altri esemplari di Homo pandemicus; e dal quale, pare, non ci libereremo mai.

Negli ultimi anni, l’attesa per il grande evento era divenuta spasmodica, a un punto tale che si era preso a simularla, come in un blockbuster hollywoodiano: prima con il Clade X (maggio 2018), poi con il già citato Event 201 (ottobre 2019), esercizi strategici promossi dal WEF dell’ubermensch Klaus Schwab in collaborazione con il centro di biosicurezza della Johns Hopkins University e con l’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation. Peraltro, già dal 2014 i meeting WEF a Davos promuovevano con insistenza il Great Reset, rivoluzione socio-economica a loro dire resa inevitabile dall’avvento di nuove tecnologie tra cui Intelligenza Artificiale, robotica, 5G e Blockchain. E nel 2010 la Rockefeller Foundation aveva pubblicato Scenarios for the Future of Technology and International Development, in cui si vaticinava, insieme alla quarta rivoluzione industriale, un’imminente pandemia che avrebbe spedito all’altro mondo 8 milioni di persone. Invece, cos’è successo?

Nel gennaio 2020 arrivarono sui nostri schermi immagini sconvolgenti di cinesi che “cadevano come birilli” per mano di un virus fulminante – situazioni da cinematografia fantascientifica mai più verificatesi in nessun’altra parte del mondo. Tant’è che in Cina il lockdown fu circoscritto a Wuhan e alla provincia di Hubei, di cui è capitale. La Cina, insomma, attivò e quasi subito disattivò l’emergenza. Dopo soli due mesi, quando Virus con un balzo prodigioso era sbarcato nel nord Italia, Wuhan tornò alla normalità.

Per comprendere il ruolo della pandemia nell’accelerare la transumanza verso il Nuovo Medioevo sarebbe utile rileggere Jean Baudrillard, il filosofo che meglio di tutti ha capito che nell’epoca del digitale la realtà finisce per sovrapporsi alla sua simulazione, divenendo così iper-reale, e in quanto tale incontestabile. Non c’è dubbio che la crisi sanitaria, vera in quanto simulata, sia dell’ordine dell’iper-realtà, proprio perché ci appare come un dogma inconfutabile: gli scettici e i dubbiosi sono eretici, e come tale vanno bruciati sul rogo. Altrimenti detto: abbiamo interiorizzato la nostra dominazione al punto tale da non poterla più riconoscere.

È lecito supporre che la maggior parte delle élites politiche fossero state informate sulla necessità di questa operazione. Ciò spiegherebbe perché tutti i capi di governo direttamente coinvolti, da tempo ridotti al ruolo di camerieri dell’alta finanza, abbiano recitato esattamente lo stesso copione. Il lancio di Virus gli dev’essere stato presentato come opzione molto meno traumatica rispetto a uno tsunami finanziario capace di mettere in ginocchio le maggiori economie occidentali, con annessi scenari da guerra civile. D’altronde, la stabilità finanziaria è nell’interesse di tutte le grandi potenze, incluse Cina e Russia, che per questo si suppone abbiano accettato di stare al gioco, anche se defilandosi quasi subito. Sicuramente più convinta la complicità degli alleati più fedeli degli Stati Uniti – sia quelli inseriti nell’alleanza dei ‘5-eyes’ (Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) che quelli de facto sotto egemonia economica e militare americana, tra cui il ‘laboratorio Italia’.

Indipendentemente da quest’ultima ipotesi, puramente speculativa, riflettere sulla causa finanziaria sollecita una considerazione di natura socio-ontologica. Per comprendere la portata di ciò che stiamo vivendo dobbiamo allargare lo sguardo sull’intera struttura di riproduzione sociale. Ci sarà allora impossibile ignorare come l’emergenza covidiana sia sintomo di implosione sistemica: siamo entrati in una nuova fase storica caratterizzata dalla bancarotta del modo di produzione fondato sulla dialettica lavoro-capitale. Il blocco dell’economia ci ha detto che il lavoro salariato non è più la base della produzione di ricchezza nelle società capitalistiche. Questo perché il capitalismo può ormai solo affidarsi ai salti mortali della finanza, che, oltre a essere cinica e bara, è sempre più incompatibile con la struttura liberal-democratica di società fondate sul lavoro. Alla base del cambiamento di rotta verso il dominio totalitario del ‘capitale fittizio’ (Marx) c’è il crollo di redditività del capitale investito nell’economia reale.

Depurare il capitalismo dalla sua escrescenza finanziaria è dunque una pia illusione, per il semplice motivo che l’ingranaggio che muove le criminali speculazioni finanziarie è lo stesso che da sempre muove la ricerca del profitto. Parafrasando la formula di Marx nei Lineamenti, diremmo che l’anatomia della finanza è la chiave per comprendere l’anatomia del capitalismo sfruttatore di lavoro. Il capitale, indipendentemente da come si manifesta, è sempre denaro che crea altro denaro. E se fino a ieri lo sfruttamento del lavoro è stato il mezzo ideale per generare plusvalore e profitto, oggi, all’epoca dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, il capitale a trazione tecnologico-finanziaria tende a liberarsi del lavoro salariato. Ma non possiamo illuderci che, con la fine della società del lavoro, il capitalismo crolli. Piuttosto, come ha sempre fatto, si auto-rivoluziona, inaugurando ora una nuova fase che ha tutti i crismi di un ritorno alle origini, cioè a un regime leviatanico di predazione diretta. Questa fase richiede nuovi strumenti critici e nuove logiche di opposizione.

Diciamolo più chiaramente: per sopravvivere all’attuale implosione sistemica, il capitalismo deve distruggere la sovrastruttura liberale e promuovere un regime subdolamente oligarchico. Dovrebbe essere chiaro che ci stanno confezionando addosso un capitalismo basato sul signoraggio monetario, a scapito di un’umanità ridotta a 1) Un immensa mandria di sottoccupati in condizioni neo-schiavistiche (i cui pionieri sono gli operatori di Amazon costretti a orinare in bottiglie e defecare in sacchetti di plastica); 2) Disoccupati a sussidio; 2) Masse di reietti di cui nessuno ha più interesse a occuparsi. Anche per questo le teorie di Malthus sul depopolamento rimangono attuali.

Questa deriva non sarebbe possibile senza il potenziamento della propaganda: i media oggi operano come il clero in epoca medievale. L’evoluzione stessa del sistema-mondo ha reso possibile la messa in atto del più grande progetto propagandistico di tutti i tempi. Le possibilità di manipolazione sono aumentate vertiginosamente con la diffusione capillare di nuove tecnologie, che entrano direttamente nelle menti dei più giovani. La materia prima, peraltro, è sempre la stessa: l’intima e irrefrenabile vocazione al conformismo della specie umana. Difficile essere ottimisti di fronte all’ingenuità con cui si abbracciano assurde vessazioni, che vanno dal tampone alla mascherina, dalla separazione dai propri cari all’inoculamento di sostanze sconosciute, dal coprifuoco alla quarantena.

Jacques Lacan sosteneva che la più grande passione dell’essere senziente è l’ignoranza. Nulla è più irresistibile della nostra volontà di non sapere, di spegnere il cervello dinanzi all’ipotesi che la realtà possa essere diversa rispetto a come ci viene narrata. L’adattamento, fatto di tanti piccoli comportamenti ostinatamente meccanici, è da sempre l’opzione esistenziale prediletta di Homo sapiens, per il semplice motivo che il pensiero critico richiede uno sforzo piuttosto doloroso, che costringe alla solitudine. Molto più semplice unirsi al coro, specie quando fondato sul ricatto morale di una guerra sanitaria per la difesa dell’umanità. A quel punto diventa persino gratificante obbedire a moralizzatori imbellettati che si auto-proclamano salvatori del mondo, pur essendo gli stessi che da tempo lo devastano.

Il Covid è una forma di dominio reale fondata su un preciso linguaggio, un arsenale di armi semantiche usate con cinismo su popolazioni preparate da decenni a vivere nell’insicurezza e nel conformismo. Il successo di questo linguaggio si misura sulla capacità di installare una vera e propria liturgia covidiana, un culto fatto di nuove abitudini che ci accomunano solo nell’alienarci, nell’allontanarci ulteriormente da noi stessi e l’uno dall’altro: dalla mascherina al distanziamento, dal coprifuoco ai vaccini, dal ‘green pass’ alla sanificazione compulsiva delle mani. “Inginocchiati e prega, e la fede verrà da sola” – il vecchio monito di Blaise Pascal oggi potrebbe tradursi così: “metti la mascherina e mantieniti a distanza dal tuo prossimo, e la fede (nel Covid) verrà da sola.”

La vera malattia è la nostra assuefazione alla farsa globale. Storicamente, essa è frutto di un’affabulazione emergenziale cresciuta di intensità a partire dall’11 settembre 2001, data d’inizio di una ‘guerra globale al terrore’ che ha sterminato milioni di innocenti. La paura di un nemico esterno caricaturizzato all’inverosimile (da Bin Laden alle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein) rende il gregge particolarmente docile e pronto al sacrificio di tutto ciò che rende ancora vivibile la vita, poiché l’alternativa viene sempre dipinta come qualcosa di mostruoso, al limite dell’immaginazione, come appunto la ‘spaventosa morte da Covid’. La guerra epidemiologica, indipendentemente da dove e come sia partita, è oggi una guerra psicologica totale, surrogato dell’improbabile conflitto militare globale. Non illudiamoci, l’assedio è destinato a durare. La concessione di qualche ora di libertà vigilata servirà a indorare la pillola di nuove forme di coercizione.

Fabio Vighi

Fonte: LaFionda

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