di Paolo Lago
Alessandro Bertante, Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR, Baldini+Castoldi, Milano, 2022, pp. 205, euro 17,00.
In Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR, Alessandro Bertante, con la consueta maestria, presenta un altro dei suoi personaggi ‘dannati’ e solitari, implacabili camminatori metropolitani sull’orlo di inferni, instancabili attraversatori di frontiere in scenari contemporanei che sembrano già crudeli rappresentazioni di distopie in atto. Il protagonista Alberto Boscolo è un personaggio di finzione incastonato in uno spaccato storico reale: la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, la fondazione e le prime azioni delle Brigate Rosse. Bertante incentra la sua narrazione sulla fase aurorale delle BR, quando queste ultime erano ancora uno dei tanti gruppi della sinistra extraparlamentare, e neppure particolarmente violento. Come l’autore sottolinea in una sua intervista a “Fahrenheit”, il romanzo ci offre delle immagini assai lontane da ciò che potremmo immaginarci oggi pensando alle Brigate Rosse, associate sempre all’efferatezza dei cosiddetti “anni di piombo” nonché al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro. Le BR che emergono dalle pagine di Mordi e fuggi sono un gruppo extraparlamentare impegnato soprattutto in atti dimostrativi e altamente radicato nelle fabbriche e nei quartieri più popolari e proletari, nei quali contribuiva anche all’occupazione degli stabili: «Eravamo il gruppo estremista responsabile degli attentati incendiari ai padroni ma anche uomini e donne che lavoravano nei quartieri e si facevano volere bene dai proletari».
Il personaggio di Alberto Boscolo – continua l’autore nell’intervista – si ispira a uno dei due brigatisti delle origini che hanno lasciato quasi subito la lotta armata e che non sono mai stati identificati. Non sarebbe azzardato, perciò, definire Mordi e fuggi (il titolo viene dalla frase che i brigatisti scrissero sul cartello appeso al collo del dirigente della Sit-Siemens Idalgo Macchiarini durante il suo ‘sequestro-lampo’) come un romanzo storico che mette in scena uno spazio e un tempo preciso: Milano fra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. E allora, sotto i nostri occhi, fra le lotte e le contestazioni operaie e studentesche, scorrono alcuni degli eventi più tragici e luttuosi di quel periodo come la strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969, o l’assassinio di Giuseppe Pinelli. Gli eventi reali (in cui incontriamo i veri protagonisti di quegli anni, Renato Curcio, Mara Cagol, «il Mega» alias Alberto Franceschini) accaduti in quel periodo non sono però scrutati per mezzo di uno sguardo freddo e distaccato, ma vengono raccontati con partecipazione emotiva da un personaggio che, in essi, si trova immerso fino al collo. Perché il ventenne Alberto Boscolo, come già accennato, non è poi troppo diverso da altri personaggi di Bertante: irrequieti fino al limite della ‘dannazione’, immersi in un universo sociale contemporaneamente amato e odiato, tormentati dalle proprie scelte passate e future, condannati a osservare la realtà per mezzo di uno sguardo ipersensibile e partecipato (caratteristica, questa, che Mordi e fuggi – offrendo per di più uno spaccato storico reale – ha in comune con il “New Italian Epic” delineato da Wu Ming 1).
Probabilmente, anche lui è un «sopravvissuto» come Alessio Slaviero, personaggio io narrante che incontriamo in altre opere dell’autore, da Nina dei lupi (2011) fino a La magnifica orda (2012) e Estate crudele (2013). Un personaggio attanagliato dalla solitudine, ‘eversivo’ cultore dell’erranza metropolitana, incanaglito abitatore di soffitte e mansarde nel centro di Milano. Come Alessio Slaviero o come il protagonista de Gli ultimi ragazzi del secolo (2016), Alberto Boscolo compie lunghe camminate per Milano tratteggiate come vere e proprie imprese epiche. Lo sguardo ipersensibile di questi personaggi attua una vera e propria trasfigurazione della realtà; Boscolo, come Slaviero, si immagina di essere un cavaliere errante, un guerriero epico che combatte per la libertà (non a caso, nel libro viene spesso richiamato il paradigma mitico di Robin Hood). La stessa sintassi, frammentata in sintagmi lenti e solenni, dominati dall’anafora, mima l’incedere della narrazione epica (si legga, ad esempio, questa frase: «[…] siamo coraggiosi e temerari, siamo sprezzanti del pericolo. Siamo le Brigate Rosse»). La camminata si trasforma allora in un procedimento stilistico che, guardando a modelli illustri, permette il dipanarsi dell’incedere narrativo. Comunque, a monte delle erranze metropolitane (che, dalla flânerie ottocentesca fino alla «nomadologia» di Deleuze e Guattari possiedono una forte impronta sovversiva) dei personaggi di Bertante, più che l’epica, molto probabilmente, c’è il romanzo dell’Ottocento. Le stesse camminate metropolitane si avvicinano a quelle di diversi personaggi dostoevskijani, a cominciare da Raskol’nikov. È lo stesso Boscolo, del resto, a paragonarsi al protagonista di Delitto e castigo in un impeto di “mitomania” letteraria, in un momento in cui, dopo la scoperta e la cattura di alcuni suoi compagni, si chiude in casa sentendosi braccato:
Bruciai nel lavandino tutti i documenti in mio possesso: volantini, carta d’identità falsa, comunicati delle BR. Ma ancora non bastava, dovevo sedarmi per calmare la tensione prima di trasformarmi in una specie di caricatura di Raskol’nikov, privo di qualsiasi senso di colpa o tormento esistenziale ma comunque febbricitante e imprigionato fra le quattro mura di una mansarda. Scesi in strada e, muovendomi come una spia in territorio nemico, percorsi un centinaio di metri per raggiungere la bottiglieria di corso Genova, come al solito affollata di gente. Entrai e comprai una fiaschetta di grappa da mezzo litro. Tornato a casa, cominciai subito a bere, stolto e metodico fino a ottenere un poco di tregua dai pensieri ossessivi. Mi addormentai ubriaco, sdraiato sul piccolo divano della cucina.
Pure se «caricatura» di Raskol’nikov (i modelli alti sono sempre irraggiungibili), Boscolo si muove in spazi molto simili a quelli del personaggio di Dostoevskij: la strada, spazio di incontri buoni o cattivi, una soffitta, piccola e stretta (simile a una bara o a una tomba secondo Bachtin), le osterie dove si reca a bere e dove si dischiudono nuovi incontri e nuovi percorsi narrativi. La ‘letterarietà’ del personaggio è indiscutibile: esce in preda all’angoscia, va in una bottiglieria affollata e compra della grappa per poi ubriacarsi da solo in casa, azioni che davvero non compierebbe un lucido militante delle BR in clandestinità, col rischio di essere arrestato. E, parlando di Dostoevskij, non si può non ricordare I demoni (ispirato alle vicende politiche e sociali che ruotano attorno alla cellula rivoluzionaria di Nečaev) le cui atmosfere sembrano assai presenti in Mordi e fuggi mentre lo stesso Boscolo potrebbe apparire come una «caricatura» del ‘demonico’ Stavrogin. E dai personaggi dostoevskijani Boscolo sembra mutuare anche la sua angoscia devastante che, ubriaco o febbricitante, gli fa percorrere dimesse spazialità urbane (anche i personaggi ‘angosciati’ dello scrittore russo sono spesso caratterizzati come febbricitanti).
Lo spazio in cui avviene l’azione narrativa di Mordi e fuggi, come già osservato, possiede una collocazione precisa: Milano, che il personaggio percorre in lungo e in largo, dal centro alla periferia. I luoghi in cui avviene la narrazione sono sempre affrescati con precisione, dalle periferie ai quartieri del Giambellino e di Lorenteggio, da Piazza Duomo a via Tadino fino a Piazza Fontana. Il romanzo si apre con Boscolo che, in una fredda mattina di novembre, sta facendo volantinaggio all’ingresso di una fabbrica sulla circonvallazione ovest, vicino alla casa dei genitori che ha lasciato da tempo. Anche lo stesso spazio milanese, a cavallo fra anni Sessanta e Settanta, assume connotazioni quasi mitiche, perennemente caratterizzato come freddo e avvolto dalla nebbia; uno spazio e un tempo – sembra – ormai sconosciuti e dimenticati: «Faceva sempre molto freddo in quegli anni, ogni giorno le città si risvegliavano al buio, coperte da una fitta nebbia che la luce dei lampioni non riusciva a spezzare». Del resto, si tratta dello stesso spazio tratteggiato ne Gli ultimi ragazzi del secolo in cui, in forma autobiografica, lo scrittore ripercorre la sua infanzia e adolescenza (la casa natale, anche qui, si trova vicino alla circonvallazione ovest; ma echi autobiografici sono presenti in quasi tutti i romanzi di Bertante: i nomi dei personaggi Alessio e Alberto, non a caso, hanno le stesse due lettere iniziali del nome Alessandro). Anche la Milano dell’infanzia, ne Gli ultimi ragazzi del secolo, appare sempre connotata da inverni freddissimi, allontanati in un ricordo che si fa mito, e la stessa città finisce per somigliare a quella, nebbiosa e malinconica, che vediamo in Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, film ispirato alle suggestive atmosfere narrative di Giorgio Scerbanenco.
Ma quello spazio del mito – nonostante la formidabile temperie culturale e sociale degli anni Settanta, ancora di là da venire – sembra già possedere in sé i segni di una lenta decadenza: la Milano nebbiosa, fredda, solcata da lotte e contestazioni, sta per lasciare lentamente il passo alla Milano “da bere” degli anni Ottanta. Boscolo giunge in Piazza Duomo «completamente stralunato» e si ritrova in uno spazio che, sulla scia di un nuovo pervasivo consumo di massa, è destinato inesorabilmente a mutare: «Le grandi insegne pubblicitarie illuminate dal neon di fronte alla cattedrale raccontavano di una nuova esaltante stagione commerciale inneggiante all’alcolismo: Cinzano, Vov, China Martini, Fernet Branca, Vermouth Bosca erano lusinghe viziose appena mitigate dalla universalità popolare della Coca-Cola e dal rassicurante paesaggio piccolo-borghese delle Collezioni Facis». La città è destinata a trasformarsi nella «Milano Metropoli degli anni Ottanta», falcidiata dall’eroina e dalle televisioni private, cantata da Bertante ne Gli ultimi ragazzi del secolo. E Alberto Boscolo? In che modo si avvia verso questi nuovi anni di disimpegno, una volta abbandonata la lotta armata? Cos’altro sappiamo di lui? Come scrive l’autore in una nota finale «per il lettore», «nessun brigatista del nucleo storico rivelò la sua vera identità. Cosa che non faremo nemmeno noi».