Treviso – “No war! Nè con la Russia nè con la Nato”. Presidio contro la guerra

Almeno un centinaio di persone hanno risposto all’appello del Centro sociale Django di Treviso contro l’ennesima guerra imperialista.

“L’urgenza di scendere in piazza nasce dal non accettare alcuna guerra che nasce dai privilegi di forze oligarchiche. La guerra la paga solo chi la subisce e quello che sta accadendo in queste ore in Ucraina è un conflitto dettato da politiche economiche imperialistiche. Guerre che alimentano un sistema capitalista che continua a sfruttare corpi e territori, aggravando sempre di più la crisi climatica, politica e sociale di questi anni. Ribadiamo né con Putin né con la NATO l’unica posizione da prendere in questi casi è quella di disertare la guerra, chiedendo canali umanitari veri, subito per tutte le persone che stanno scappando da guerre dettate dai potenti.” Queste le parole di Ruggero del Centro Sociale Django.

La guerra. Una condizione che sembra affare di un altro stato, di altri luoghi. Uno spettacolo violento che riguarda popolazioni lontane, di cui raccogliamo testimonianze attraverso i media o dai racconti di chi supera viaggi inenarrabili, qualcuno che ha altri ceppi linguistici, un altro colore della pelle. 

Raramente sfiora il pensiero che il mondo vive una condizione di guerra permanente, una corsa agli armamenti, all’espansionismo, all’egemonia. Ci sono la Siria, lo Yemen, l’Afghanistan. I conflitti in Nigeria, Sudan, Etiopia. Ci sono le guerre condotte dai governanti contro parte della propria popolazione; la Turchia, il Marocco. 

C’è l’Ucraina. Molto è stato scritto, molto viene detto sulla legittimità delle pretese ucraine o russe sulla regione al centro del conflitto. URSS, Rus di Kiev. Le responsabilità della NATO e la corsa al controllo di territori strategici, storie che cercano di giustificare la ricerca d’egemonia. Non sono queste righe, non siamo noi da questo piccolo lembo di terra della pianura padana che dobbiamo pontificare sulla storia. 

Quel che sappiamo, quel che dobbiamo dire è che la guerra tra stati uccide quelli come noi. Uccide i civili, li costringe ad uccidere in nome della fame di potere di pochi, in nome di equilibri geopolitici che non guardano al benessere delle popolazioni coinvolte, né che si vinca né che si perda. Quel che possiamo dire è che si utilizza la retorica dell’appartenenza nazionale per giustificare una guerra che ha ben altri interessi e ben altri scenari. Il 40% del gas europeo arriva da Mosca, le dichiarazioni della Germania sullo stop alla realizzazione del gasdotto North Stream 2 non sminuiscono le motivazioni economiche che spingono allo scontro tra NATO e Russia. C’è di mezzo una corsa alla leadership globale, di cui le vittime si conteranno tra la popolazione civile. Fomentata da un nazionalismo inculcato a furia di una propaganda che trova il nemico sempre nell’altro. Per gli ucraini la Russia, per i paesi membri della Nato la Russia, per i russi l’Ucraina e i paesi che l’appoggiano. In questo risiko che copre gran parte del globo la narrazione è distorta, con le tv italiane che danno spazio a militanti di battaglioni dichiaratamente neonazisti passati per comuni cittadini impegnati nella difesa dei propri connazionali, e lo stesso accade nella retorica utilizzata da Putin.

Non siamo storici, non siamo grandi strateghi o competenti in materia militare. Ma sappiamo che le guerre tra stati, tra blocchi di potenze lasciano sul campo migliaia di vittime. Sia quando la guerra è guerreggiata, sia quando è evocata.

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