Alla fine è andato come previsto: il presidente uscente Emmanuel Macron e la sfidante più “accreditata” Marine Le Pen si giocano al secondo turno l’elezione all’Eliseo. Come nel 2017, anche se c’è molto da raccontare su questi risultati, come ci sarebbe molto da raccontare su questi cinque anni, probabilmente i più densi della storia francese – e non solo – degli ultimi decenni: una pandemia, la guerra, ma anche uno dei più grandi movimenti sociali che la storia contemporanea ricordi, i Gilets Jaunes.
Emmanuel Macron l’ha spuntata al primo turno, con un risultato (27,6%) che addirittura è andato oltre le previsioni dei sondaggi, che nelle ultime settimane lo inchiodavano al 26%, e che lo proietta a circa il 54% di voti nel ballottaggio, secondo gli istituti Ipsos Sopra-Steria e OpinionWay. Anche se, stando ai primi exit pool provenienti dal Belgio, il leader che attualmente incarna l’establishment francese ed europea ha tremato non poco, visto che i due candidati erano dati appaiati al 24%. Una preoccupazione che investiva non solo la politica interna francese, ma anche il quadro geopolitico attualmente sconvolto dalla guerra in Ucraina, visto che Marine Le Pen non ha mai nascosto la sua vicinanza politica e ideologica al leader russo Vladimir Putin.
Dietro Macron e Le Pen c’è stato l’ennesimo exploit del leader dell’estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon di France Insoumise, che addirittura prende due punti e mezzo in più rispetto al 2017, passando dal 19,58% al 21,96%, a pochissime lunghezze dalla leader di Rassemblement National. L’amarezza per Melanchon di non aver centrato il secondo posto, può essere compensata dalla soddisfazione di essere il leader nettamente più votato nella fascia 18-24 anni (34%) e in quella 25-34 (31%): un dato senza dubbio di grande interesse sul piano politico.
Per Melanchon c’era stata l’indicazione di voto di gran parte delle realtà di movimento che in questi ultimi anni hanno animato le lotte sociali in Francia. Anche se su questo punto ci sembra interessante quanto scrive la piattaforma indipendente Cerveaux Non Disponibles nel thread che su twitter fornisce un primo commento al risultato elettorale. «Il risultato di oggi non può essere spiegato solo con il sostegno della borghesia e un equilibrio di potere che di fatto ci è sfavorevole. Rivela anche i nostri limiti. Nonostante la spettacolare impennata dei movimenti sociali negli ultimi anni, si tratta di un fallimento collettivo, assumiamocene la responsabilità. Siamo stati tutti incapaci di concretizzare questi ultimi cinque anni di lotte, anche se tutti testimoniano un desiderio di autonomia delle stesse. In cinque anni abbiamo avuto i Gilet Gialli, manifestazioni immense contro il razzismo di stato, la violenza della polizia e la sorveglianza globale, marce per il clima, per i diritti delle donne e LGBTQI+ e un gigantesco sciopero che ha saputo mettere in piazza tre milioni di persone durante il movimento per la riforma delle pensioni. Milioni di persone sono scese in piazza, ma cosa ne abbiamo fatto? Noi autonomi, sindacalisti, membri o meno di organizzazioni politiche e del campo progressista e rivoluzionario? Niente, siamo onesti».
Continuando la carrellata, fortunatamente è andata meno bene del previsto per l’altro candidato di estrema destra Eric Zammour, il giornalista de Le Figaro da tempo noto per le sue battaglie contro l’immigrazione, il multiculturalismo, le libertà in tema di orientamento sessuale e la globalizzazione della società francese. Zammour si è collocato su posizioni più a destra addirittura di Marine Le Pen e lo scorso autunno alcuni sondaggi lo accreditavano quasi attorno al 20%, visto l’enorme successo che è riuscito a ottenere sui social network. Sta di fatto che il suo 7% dà all’estrema destra nel suo complesso più del 30%, che sebbene probabilmente non sia abbastanza per garantire a Le Pen il successo al secondo turno, dimostra quanto le ideologie reazionarie siano radicate nella società francese. Tra l’altro non dimentichiamoci che la prima promessa di Macron quando salì all’Eliseo sia stata quella di porre fine ai successi elettorali dell’estrema destra.
Più indietro si registra la debacle assoluta tanto della neogollista Valérie Pécresse (4,79%) quanto dell’ex sindaco di Parigi Anne Hidalgo, che con il suo 1,74% porta il Partito Socialista ai minimi storici. Un risultato prevedibile, visto che in Francia il bipolarismo tradizionale tra centro-destra e centro-sinistra è stato superato da tempo, ma che assume un peso politico importante, soprattutto per il PS.
Concludiamo commentando il risultato dell’ex leader di Greenpeace Yannick Jadot, candidato di Europa Ecologia I Verdi (Eelv), partito che alle scorse elezioni europee aveva centrato in Francia il terzo posto con il 13,48%. Jadot prende meno del 5%, risultato modesto che tutto sommato rispetta i sondaggi, anche se molte persone si stanno chiedendo se l’ecofemminista Sandrine Rousseau, sconfitta per un soffio alle primarie, non fosse più indicata per riscuotere il consenso di persone più vicine ai movimenti climatici.
In conclusione, è interessante il dato sulla partecipazione elettorale, che si attesta al 74,86%, di quasi tre punti percentuali inferiore rispetto al 2017. Un dato che è stato condizionato anche dalla campagna per l’astensionismo fatta dagli indipendentisti della Corsica, che per la prima volta nella storia ha portato nell’isola meno del 50% di aventi diritto nelle cabine elettorali.