di Franco Pezzini
[Nella situazione triste di questi giorni abbiamo scelto di proseguire secondo la programmazione già decisa assieme a Valerio: contributi specifici sul suo lavoro e la sua figura saranno inseriti via via. Carmilla non muore e ci sembra questo il modo migliore di portare avanti la linea del nostro Direttore. F.P.]
Andiamo indietro di parecchi anni. Torino, un tardo pomeriggio d’inverno, ormai buio ma con le luci di Piazza Vittorio scintillanti sul fiume; un freddo tremendo. Sono lì con amici, il regista Max Ferro e la scrittrice Anna Berra, per girare il promo di un documentario: lì si apre via Bava, e al numero 6 s’era consumato nell’anno 1900 un episodio davvero curioso. È il famoso poltergeist di via Bava citato in tutti i volumi di parapsicologia: nella “Bottiglieria Cinzano” aperta sulla via con un’ampia sala, i proprietari coniugi Fumero, nativi di Nole Canavese, avevano dovuto fronteggiare davanti al garzone e ad alcuni avventori episodi fastidiosi ma (almeno all’inizio) francamente buffi. Possiamo immaginare le espressioni dei presenti e le loro esclamazioni, da commedia di Macario: le caraffe che iniziano lentamente a inclinarsi da sole versando fuori il contenuto, per essere poi scagliate da una mano invisibile contro le pareti, bicchieri sollevati in aria che poi spariscono per non essere più ritrovati, le casseruole fluttuanti come in un cartone animato Disney, sedie sbattute a sfasciarsi contro i muri e armadi pesantissimi che si spostano da soli con disinvoltura, vestiti che svolazzano e un vago sentore gelatinoso nell’aria, avvertito da tutti i testimoni… All’arrivo delle forze dell’ordine e della scienza, cioè rispettivamente lo scettico (almeno all’inizio) maresciallo Cavallo e nientemeno che Cesare Lombroso, fortemente incredulo sul fiorire modaiolo di fenomeni medianici, le stranezze non si placano: ha un bel cercare, il trasecolato Lombroso, fili nascosti o altre diavolerie teatrali da spettacolo spiritico… In questa sede ci può interessare limitatamente lo sviluppo del caso, che conduce a infestazioni persino in appartamenti dello stabile e in ultimo al ritrovamento in cantina di uno scheletro (tal Antonio Barbero, assassinato mezzo secolo prima dalla moglie che temeva mutasse testamento a favore dell’amante): al che tutto si ferma. Interessa poco anche la faccenda del nostro documentario: interpellato un signore della casa che sembra aver memoria dell’esistenza della Bottiglieria, il freddo è talmente tremendo che con Anna finiamo a bere punch nel locale più vicino, e il documentario comunque non verrà prodotto.
Mentre l’episodio ha conseguenze più rilevanti per la storia dell’opera lombrosiana e in generale per l’immaginario: con buona pace del Ballo Excelsior, la “Nuova rivelazione” spiritista – come la chiama Conan Doyle – permetterebbe in quel clima di conciliare fede religiosa e dimostrabilità a tavolino (è il caso di usare la locuzione) della vita dopo la morte. Un approccio insomma che con il positivismo ha parecchio a che fare, e Lombroso, a lungo scettico, verso la fine della vita rivede le proprie posizioni. Quindi non solo lascia una dettagliata relazione dei fatti di via Bava, ma si schiera per l’autenticità delle sedute della nota medium Eusapia Palladino (1854-1918), di cui vengono invece rilevati una serie di trucchi, e pubblica l’opera Dopo la morte – cosa? (1909, l’anno in cui si spegne).
Che Lombroso, come sostiene la figlia, possa negli ultimi anni soffrire di arteriosclerosi potrebbe spiegare alcune cose: ma certo occorre considerare il clima di un’epoca, in tutto l’occidente e nello specifico a Torino. Dove i Savoia per anni hanno guardato con una certa benevolenza a forme di credo che indebolissero il monopolio cattolico, e la città ha assunto un ruolo di rilievo tra le capitali dello spiritismo (fondazione della prima Società Spiritica Italiana, 1856, e di quella Società Torinese di Studi Spiritici, 1863, che vara con sforzi di approccio scientifico gli Annali dello Spiritismo in Italia, eccetera); ma dove sotto la protezione dell’arcivescovo opera per esempio una delle rare figure di esorcista donna dell’età moderna, Enrichetta Naum, nata nel 1843 (o 1846), specializzata nel cacciare spiriti infestanti da persone sofferenti. Quando muore, tre anni dopo Lombroso, nel 1911 dell’Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, la notizia viene liquidata in poche righe di cronaca e solo dopo qualche giorno sulla Gazzetta del Popolo: ma sbaglieremmo a considerare quel coevo trionfo del pragmatismo industriale nell’attenzione pubblica come segno di cambio della guardia. Sia perché nell’appartamento di via Cappel Verde dove abitava e operava Enrichetta si manifesterebbe ancora il suo fantasma, o piuttosto le ombre che lei faceva spurgare dai “pazienti” e avrebbero impregnato i muri; sia perché lo spiritismo avrà ancora modo di crescere negli anni inquieti fino alla Grande guerra e soprattutto in quel contesto terribile e con la relativa coda di lutti. Genitori disperati e spose affrante offrono in quella situazione una robusta rendita di posizione a legioni di medium, che le società di ricerche psichiche tentano di controllare. D’altra parte Lombroso stesso avrà accesso alla narrativa del sovrannaturale persino con le sue fantasiose tesi antropologiche: per esempio in Dracula, dove viene citato come espressione di punta della scienza d’epoca, e il conte non morto diviene per la beninformata Mina Harker il paradigma dell’arcicriminale.
In questo quadro, è con scelta brillante che il regista Alessandro Rota riprende la figura di Lombroso in Larvae, 2022, pensato in origine come lungometraggio ma poi prodotto in forma di corto per il mancato sostegno a un film tanto “ambizioso” (questo, sul set, il tormentone dopo le risposte raggelanti ricevute sul piano dei finanziamenti). Girato in un Piemonte che raramente ha mostrato con tanta efficacia di fotografia le sue coordinate gotiche (Castello Reale di Govone, Casa dei Marchesi Del Carretto di Saluzzo, Castello di Agliè, Parco Naturale del Monviso, Cascata di Fondo di Traversella), il film mostra l’ultimo periodo della vita di Lombroso, amareggiato dopo un episodio che confuta in radice le sue speculazioni sui connotati denotanti l’uomo deliquente, e fino alla revisione – poche ore prima di morire, 19 ottobre 1909 – del saggio Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici. Realizzato in totale autonomia produttiva, attraverso la collaborazione tra l’Associazione Culturale Officine Ianós e Reddress s.r.l., con il supporto di diverse realtà istituzionali, presentato in prima visione il 28 marzo scorso al cinema Massimo di Torino, Larvae vede l’incontro tra Lombroso (Roberto Accornero, bravissimo) e l’anziano prestigiatore Lazar (Stewart Arnold, vero mattatore del film, una presenza scenica straordinaria): questi gli racconta delle proprie sedute medianiche truccate, con tanto di foto – pratica d’epoca – all’ectoplasma che gli fuoriuscirebbe dalla bocca, ma solo poco per volta comprendiamo che è in realtà un sensitivo capace di svelare la presenza delle larve, spiriti “bassi” capaci di possedere e spingere ad atti criminali…
Possiamo allora decrittare il titolo. Nel mondo latino, i morti buoni si identificherebbero con i Lari, se di natura incerta si parla di Mani, e per gli altri Lemuri – quelli cattivi, ombre informi, vaganti e vendicative di morti malvagi o inquieti a causa di una morte prematura o violenta, di mancati riti funebri o di mancato ricordo da parte dei familiari – il termine spesso usato è Larve (Larvae, “maschere”). Tali spettri, raffigurati a volte come scheletri, potrebbero condurre le vittime alla follia: plausibile dunque che, da loro posseduto (larvatus – come mostra Apuleio in un episodio strano e raggelante de L’asino d’oro), un vivo sia spinto fino al suicidio. Ovviamente non vanno confuse con le Larvae quelle cosiddette conviviales, cioè gli scheletri mostrati durante i banchetti per ricordare che la vita è breve e occorre viverla degnamente (si pensi a quella del banchetto del Satyricon). Molto più tardi, nello spiritismo, per larve si intendono spiriti parassiti: come quelli che nel cortometraggio un trucco molto felice mostra presenti – etimologicamente – attraverso maschere sui volti dei posseduti, talora inconsapevoli. Dir di più sarebbe spoilerare, ma – come sintetizzato in sede di presentazione alla prima – il film sul rapporto tra scienza e occulto si rivela in prima battuta un film sull’amore e gli amori, con quanto di struggente, ossessivo e fantasmatico la suggestione offra.
Oltre agli ottimi attori (a parte i citati, merita menzionare almeno gli altri due nei ruoli principali, Fabio Renis come Tommaso e Niccolò Fontana come Lorenzo), Larvae vanta scenografia, fotografia e musica di straordinario impatto. In particolare la colonna sonora, pubblicata da Machiavelli Music, è stata composta da Francesco Cerrato coinvolgendo musicisti di grande valore come Michele Barchi (clavicembalo), Daniele Ferretti (organo) e Stefano Cerrato (violoncello). Ma, come ricordato la sera della prima, un ruolo speciale – ovvio sul piano organizzativo, assai meno su quello umano – è stato da tutti riconosciuto al regista Alessandro Rota, la cui carica visionaria si sposa a una genuina umanità, fondamentale per la coesione di una squadra priva di appoggi economici e al lavoro in tempi di covid, nel produrre un film di altissima qualità.
Ancora, come ricordato dagli attori, un elemento si è riproposto costante nel corso delle riprese tra antichi palazzi piemontesi, cappelle, cimiteri e montagne: e cioè un freddo atmosferico micidiale. Come quella sera in via Bava, quasi una metafora di un freddo dentro al trascorrere dei fantasmi. O forse al timore che quelli, dopotutto, non ci siano: mentre altre larve, molto più allarmanti e criminogene – le larve di un paese in caduta libera, dove potenti che si credono persone di spirito esternano frasi volgari su pace & condizionatori, del tutto sprezzanti di una depressione psicologica sempre più diffusa tra la popolazione, e ignoranti delle conseguenze storiche che ciò può innescare – infestano i palazzi del nostro mondo.