«Nuova primavera che arriva, nuove api che spariscono. Sembra ormai diventato un appuntamento inesorabile: con la ripresa del caldo e della bella stagione, riparte anche il terribile fenomeno degli spopolamenti degli alveari»: a denunciarlo è l’associazione Greenpeace che fornisce un’analisi sul fenomeno.
«Sono numeri che spaventano, specie se si pensa che a questi vanno aggiunti tutti quegli insetti che, a differenza delle api mellifere, non possiamo (o vogliamo) “contare” – scrive Federica Ferrario di Greenpeace – Anche quest’anno infatti, sono circa 650 in Lombardia gli alveari di cui c’è evidenza di spopolamenti, monitorati dai Tecnici di Apilombardia con interventi su segnalazione dei propri associati e distribuiti nelle province di Cremona, Mantova, Lodi, Pavia, Bergamo, Milano e Monza-Brianza. Sembra una triste fotocopia di quanto abbiamo descritto lo scorso anno».
«Cosa significa? Che si può stimare una perdita di oltre 12 milioni di api sparite nel nulla. Api che hanno lasciato i loro alveari in cerca di polline e nettare per la sussistenza della colonia e la produzione di miele, e che non vi hanno fatto più ritorno – prosegue Ferrario – Gli apicoltori lombardi si sono trovati di fronte ad alveari con famiglie dimezzate e l’assenza di api adulte bottinatrici, quelle appunto che si avventurano alla ricerca del ricco “bottino” di polline. Sono state allertate le autorità per le dovute verifiche e – durante i sopralluoghi ufficiali- i veterinari hanno constatato l’assenza di patologie dell’alveare. Il killer silenzioso allora è un altro. Sono perciò stati eseguiti prelievi delle matrici apistiche disponibili per effettuare analisi mirate alla ricerca di principi attivi nocivi alle api e i campioni sono stai inviati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e Dell’Emilia Romagna (IZS) di Brescia».
«Gli apiari coinvolti negli spopolamenti si trovano in aree caratterizzate da maiscoltura intensiva. I giorni precedenti e durante le constatazioni degli avvelenamenti queste zone erano state oggetto di un’intensa attività agricola, in una situazione meteorologica caratterizzata da temperature sopra le medie stagionali, vento e clima secco. L’attività principale consisteva nella preparazione dei terreni e la semina del mais, in gran parte destinato a diventare mangime per allevamenti intensivi – prosegue ancora Federica Ferrario – Un gran numero di ettari sottoposti nel medesimo periodo a lavorazioni e trattamenti, spesso con la pratica della minima lavorazione, che prevede interventi con diserbo chimico in pre-semina ed in post emergenza. Trattamenti che spesso finiscono per depositarsi anche sulla vegetazione circostante ai campi, dove gli impollinatori vanno in cerca di cibo e acqua. Durante i trattamenti con i diserbanti, i campi presentavano diverse fioriture, fra queste tarassaco e lamio (conosciuta anche come falsa ortica), e, come se non bastasse, è sempre più frequente trovare anche margini dei fossi diserbati, in difformità alla normativa vigente».
«Alle operazioni di diserbo e di lavorazione del terreno sono seguite le semine, concentrate anch’esse in poche settimane sulla quasi totalità dei terreni della zona, e con l’utilizzo di sementi trattate con pesticidi, ovvero “conciate”. Anche questa operazione può portare alla deriva dei prodotti concianti sulla vegetazione spontanea che viene bottinata dalle api – si legge ancora – Dalle analisi dell’IZS di Brescia note al momento (mancano ancora quelle dei campioni effettuati nella seconda metà di aprile), è stata rilevata la presenza di diversi principi attivi, leggasi pesticidi, nel pane d’ape e nel polline degli apiari interessati. Siamo di fronte a colpevoli conosciuti: erbicidi, insetticidi, fungicidi e fra questi l’erbicida più utilizzato al mondo, il glifosate, per il quale quest’anno si dovrà decidere se rinnovare o meno l’autorizzazione al suo impiego in Unione europea».
«I campi vengono diserbati spesso con il glifosate, che è causa di importanti effetti collaterali nei confronti di api e altri insetti – prosegue ancora Ferrario – Studi hanno dimostrato i danni fisiologici e l’impatto biologico del glifosate per sviluppo, salute e vitalità delle colonie. Il glifosate, ed in genere i prodotti sistemici, vengono assorbiti dalle piante e veicolati nel nettare e negli altri prodotti vegetali utilizzati anche dalle api. La molecola rimane presente nell’ambiente durante tutto il periodo di raccolta determinando un’elevata esposizione degli insetti all’erbicida. Fra gli effetti “subletali” legati al glifosate si contano problemi per: sviluppo, alimentazione, memoria olfattiva, navigazione e apprendimento. I trattamenti effettuati in via preventiva, indipendentemente dalla presenza delle avversità da combattere e senza una valutazione corretta della dannosità delle stesse avversità, non sono allineati ai principi stabiliti nella direttiva della difesa integrata obbligatoria (all. III del D. Lgs 150/2012)».
«Come ci dicono gli stessi apicoltori, quanto accaduto anche nella primavera 2022 è probabilmente solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più diffuso e spesso di difficile da monitorare se non da occhi di apicoltori esperti e che visitano le loro api con continuità – spiegano ancora da Greenpeace – Inoltre gli episodi di spopolamento, senza quindi la possibilità di analizzare le api (dato che non fanno ritorno agli alveari), complicano la già difficile ricerca delle sostanze chimiche responsabili. Sappiamo quanto importanti sono gli impollinatori per l’ambiente, la produzione di cibo e quindi anche per gli esseri umani, ma sembra proprio che non vogliamo imparare la lezione. I dati di Eurostat, pubblicati recentemente dalla Commissione europea, ci dicono che nel 2020 sono state vendute in Europa ben 340.000 tonnellate di pesticidi, e in Italia, anche se meno rispetto a 10 anni fa, sono comunque oltre 31.000 le tonnellate di pesticidi vendute nel 2020. Italia, insieme a Germania, Spagna e Francia, hanno rappresentato circa due terzi del volume delle vendite totali di pesticidi nell’UE nel periodo tra il 2011 e il 2020».
«Pesticidi, monocolture che prendono il posto di habitat naturali, fenomeni sempre più frequenti ed estremi legati ai cambiamenti climatici (come la siccità di quest’anno), sono i peggiori nemici di api e impollinatori in generale. Nemici legati a doppio giro a un modello di sviluppo e di produzione industriale del cibo che non è più sostenibile, non solo sul lungo periodo, ma neppure ora – dichiara Ferrario – Servono impegni concreti e rapidi, per avviare una transizione della nostra agricoltura, non solo per proteggere le api, ma anche gli agricoltori stessi e tutti noi. Servono impegni e gesti di responsabilità politica che vanno in senso assolutamente opposto a chi dice di ritardare gli impegni ambientali della prossima Pac e del Green Deal europeo».