di Megas Alexandros (Fabio Bonciani)
Ci risiamo, penso: “il solito giornalista che non capisce di economia!”
Ed invece no!
Cerco su internet chi è questo Signore, Ignazio Angeloni, autore di questo articolo che mi viene segnalato ed uscito pochi mesi fa sul più importante quotidiano finanziario italiano, il Sole 24 ore.
Altro che giornalista! è un economista, con curriculum di tutto rispetto – vediamolo insieme:
Ignazio Angeloni, nato a Milano, è laureato alla Bocconi e ha un dottorato di ricerca in Economia presso l’Università della Pennsylvania. È stato Direttore della Ricerca Monetaria e Finanziaria presso la Banca d’Italia; Vice Direttore Generale della Ricerca presso la Banca Centrale Europea; Direttore per le Relazioni Finanziarie Internazionali presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano e Direttore Generale per la Stabilità finanziaria presso la BCE.
Ha coordinato i lavori preparatori della BCE per il meccanismo di vigilanza unico. Attualmente è membro del Supervisory Board della BCE. Da febbraio 2017 è anche membro senza diritto di voto del Comitato di risoluzione unico. Ex Fellow di Bruegel, ha insegnato in varie università ed è autore di libri e articoli sulle principali riviste economiche internazionali. [1]
Ma veniamo all’articolo ed a quello che il prof. Angeloni ci racconta. Il tema sono le banche e quello che dovranno affrontare con il venir meno degli aiuti straordinari messi a disposizioni del nostro sistema economico in conseguenza dell’evento pandemico.
Farsi questa domanda è più che logico e dimostra piena cognizione del pericolo che potrebbe abbattersi sulle nostra economia, stante appunto la consapevolezza di quanto di più sbagliato si è fatto e si continua a fare a livello di scelte economiche nelle stanze di Bruxelles e Francoforte.
L’analisi del professore parte dal documento annuale “esercizio di trasparenza”, pubblicato dall’EBA (l’Autorità bancaria europea).
Scrive Angeloni:
“La fotografia che ne esce è sconcertante. La pandemia sembra essere stata un bene! Le banche hanno beneficiato di un cospicuo aumento della domanda di credito: i loro bilanci sono cresciuti. Finanziare il credito aggiuntivo non è stato un problema, per i massicci interventi della Bce e per il fatto che famiglie e imprese, non potendo spendere, hanno versato i loro soldi in banca. Ma c’è di più: non solo la dimensione, ma anche la qualità dei bilanci è migliorata. I prestiti dubbi hanno continuato a ridursi, specialmente in Italia. Minori accantonamenti hanno fatto crescere i profitti. Di riflesso, complice anche il blocco dei dividendi decretato dalla vigilanza, è aumentato il capitale. Risultato: banche più grandi, più attive con la clientela, più liquide e più solide”.
Queste affermazioni seppur veritiere nei dati, mi lasciano interdetto nella loro interpretazione, sia a livello logico che tecnico.
Affermare che le banche non hanno avuto difficoltà a prestare di più perché si sono ritrovate più liquidità sui loro conti, in virtù del fatto che famiglie ed imprese sono state impossibilitate a spenderli – è un qualcosa che contrasta sia con quelli che sono i criteri in base ai quali le banche prestano, sia con quelli che sono i principi cardine della partita doppia in contabilità.
Sul fatto che, la spesa di un soggetto corrisponda contabilmente al risparmio di un altro soggetto, penso che nessuno di voi debba avere più nessun tipo di dubbio.
Se per il mio compleanno decido di invitare i miei amici al ristorante a mangiare il pesce, offrendo la cena a tutti per una spesa totale di mille euro, quello che spendo va in diminuzione dal mio conto e ad aumentare di pari importo il risparmio sul conto del ristoratore. Di fatto lasciando inalterato il saldo del totale dei depositi presso tutto il sistema bancario.
Quindi, l’evidenza che durante la pandemia, eravamo tutti impossibilitati ad andare al ristorante o limitati nello spendere, non ha certamente contribuito a far aumentare la quantità totale dei depositi, neanche di un solo centesimo.
Ma c’è di più! e questo il professore dovrebbe saperlo bene, visto che, è stato anche coordinatore dei lavori per il meccanismo di vigilanza presso la BCE. Le banche commerciali non prestano in base alla quantità dei depositi che possiedono, ma lo fanno in base a dei precisi requisiti patrimoniali dettati dal loro regolatore, ossia la BCE e l’EBA.
La scienza economica ed il funzionamento della creazione di moneta bancaria, chiarisce perfettamente che le banche non hanno bisogno di depositi per prestare, anzi, al contrario è proprio nella loro funzione di creare moneta per concedere credito, che invece creano i depositi.
Il motivo reale, per cui, dopo decenni di politica monetaria espansiva da parte delle banche centrali, proprio adesso le banche commerciali si siano decise a concedere credito, non ha niente a che fare con l’intensificazione dei programmi di acquisto titoli messi in atto durante la pandemia.
Del resto il QE (quantitative easing), ed il relativo programma di acquisti, è in atto da diversi anni, in maniera così massiccia almeno dal famoso “whatever it takes” pronunciato da Draghi quando era sul trono della BCE.
Allora, vi chiederete, come mai le banche hanno cominciato improvvisamente a prestare?
Semplice, per pura convenienza. Quella stessa convenienza che, nonostante lo sforzo messo in atto da tempo dalla BCE per renderle liquide, evidentemente le banche stesse, prima non vedevano.
La convenienza si chiama “garanzia dello Stato”.
Infatti, se ricordate, al tempo dello scoppio della pandemia, il governo stabilì per decreto di concedere una garanzia del 100% sui prestiti Covid.
Di fatto, a conferma di quanto sostengo da tempo, quello che ha spinto le banche a prestare, non è stato l’intervento della politica monetaria da parte della banca centrale, ma bensì quello di una misura di politica fiscale messa in atto dal governo, quale è appunto la garanzia prestata.
Questo intervento spiega perfettamente anche il perché della riduzione dei prestiti dubbi e quindi il miglioramento dei bilanci delle banche stesse. Semplice, sempre seguendo la stessa logica della convenienza, non è difficile da comprendere, quanto sia stata massiccia la corsa intrapresa dagli istituti bancari a trasformare i prestiti in essere prossimi alla sofferenza, in prestiti pienamente garantiti dallo Stato.
Sul fatto che su questo risultato stratosferico – ossia banche più grandi, più attive con la clientela, più liquide e più solide – qualcosa non torni, fortunatamente se ne accorge anche il professor Angeloni.
Del furbesco “roll over” da parte delle banche pare accorgersene anche il bocconiano, come del resto anche del chiaro disallineamento in tema di ripresa, che sta emergendo tra i vari settori.
Che alcuni settori, per effetto della pandemia, si siano avvantaggiati ed altri invece sono stati costretti addirittura a dolorose chiusure, è ormai un dato di fatto.
Insomma, per farla breve e chiara con un esempio che non sia discriminatorio: nel mentre gli incassi dei supermercati beneficiavano di enormi incrementi, quelli dei ristoranti, al contrario erano diretti verso lo zero.
Il professor Angeloni, sempre dati alla mano, si rende perfettamente conto che questi settori – e parlo di quelli usciti più devastati dai lockdown imposti per la pandemia – costituiranno a breve le prossime insolvenze che colpiranno il sistema bancario.
Stiamo parlando soprattutto di quel tessuto fatto di aziende medio piccole, che sono la caratterista ed il motore del nostro sistema economico.
“Ma già oggi si delinea uno scenario possibile in cui il venir meno dei provvedimenti pubblici produrrà nel nostro Paese un impatto significativo soprattutto medio-piccole operanti nei settori penalizzati dalla pandemia. L’effetto colpirebbe le banche, in particolare quelle di minore dimensione che già si contraddistinguono in Italia per una qualità del credito inferiore a quello della media del sistema”.
Il professore si rende perfettamente conto, anche di quale sia il risultato di aver costretto le aziende, ferme durante la pandemia, a finanziare di fatto i loro fatturati mancanti tramite un prestito: ossia il peggioramento della loro situazione finanziaria.
“Fra le Pmi le imprese minori risultano relativamente più colpite. Insolvenze e fallimenti sono diminuiti; anche qui, l’intervento pubblico ha arginato temporaneamente il fenomeno. Tuttavia, il peggioramento della situazione finanziaria delle imprese nel rapporto Cerved emerge sia nell’aumento dell’indebitamento e degli oneri finanziari sia nei rischi futuri attesi, rilevanti soprattutto fra le imprese più piccole”.
Certamente, di fronte ad una azienda che è costretta a chiudere temporaneamente – quindi priva totalmente di incassi – la soluzione per coprire i costi fissi e quindi non chiudere, non può essere quella “draghiana”, di recarsi in banca a prendere un prestito per poi ritrovarselo sulle spalle alla riapertura.
Verrebbe da chiedersi, dall’alto delle sue esperienze in materia di vigilanza: che valutazione darebbe il professor Angeloni ad un direttore di banca che istruisse una pratica di fido su queste basi?
Ma quello che lascia ancora più interdetti e che rappresenta il punto focale della mia considerazione finale, dopo aver letto questo scritto, è che nonostante la dimostrazione della piena consapevolezza di tutto ciò, il professor Angeloni, si prodiga con forza ad invitare chi di dovere, a non perdere più tempo nel togliere tutti i provvedimenti di sostegno in atto, sia di vigilanza (classificazioni, accantonamenti), sia governativi (moratorie, garanzie), in modo che tutti gli operatori siano preparati il prima possibile ad affrontare il proprio destino.
Premesso che, come abbiamo visto, le misure in essere sono totalmente insufficienti a sostenere il nostro sistema economico, il quale era già in stato recessivo da decadi, anche prima della pandemia; la soluzione non è certamente quella di toglierle e riprendere con le folli teorie economiche che ci hanno portato a questa situazione.
Saremmo stati lieti se il professore – visto che qualcosa dimostra di aver compreso rispetto alle cause – in fatto di cure, avesse caldeggiato le indispensabili politiche fiscali, senza le quali, mai saremo in grado di uscire da questa gabbia.
Proprio quelle propedeutiche politiche fiscali anticicliche che il governo di Mario Draghi – con il quale il prof. Angeloni ha collaborato per anni alla BCE – dovrebbe mettere in atto senza più perdere tempo. E che invece non si vedono, per motivazioni la cui logica, ogni giorno di più che passa, resta sempre più difficile da comprendere.
Dispiace constatare come l’ennesimo esponente della “setta” bocconiana fornitrice ufficiale di adepti nei posti decisionali – pur capendo le problematiche e quanto di sbagliato fatto seguendo le loro idee – sia ancora così lontano dall’abbandonare tutta quell’architettura fatta di frodi e folli “mantra” che caratterizzano il sistema-euro.
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