di Karl Krähmer
L’umanità non è degna di sopravvivere, si merita solo di estinguersi con tutti i danni che fa: siamo riusciti in meno di due secoli di destabilizzare un intero pianeta, non ci meritiamo di sopravvivere come specie.
Questo recentemente me l’ha detto una persona a me molto cara. In modi simili ho sentito anche altri dirlo. E credo ci sia del vero in questa posizione. Non necessariamente però mi porta al pessimismo – credo possa essere un punto di partenza per ripensare l’ambientalismo / umanesimo. Questo perché all’interno della resignazione di questa posizione c’è anche il riconoscimento di una verità importante; quello che è in gioco nella crisi ecologica globale in cui ci troviamo è la sopravvivenza della specie umana: quantomeno in buone condizioni e con i successi culturali che ha raggiunto nei secoli. Credo che uno dei grandi errori dell’ambientalismo storico sia stato quello di dire che dobbiamo “salvare il pianeta” o “salvare l’ambiente”. Al pianeta non ne importa un bel niente di quello che facciamo. Come nella famosa vignetta in cui la terra si incontra con un altro pianeta, l’altro le chiede “come va?” e la terra dice “insomma, non tanto bene, ho Homo Sapiens” e l’altro risponde “tranquilla, passerà!”. Ovviamente stiamo facendo enormi danni ad altre specie, a individui di animali e piante che uccidiamo e cui portiamo inutilmente sofferenza, provocando una delle più grandi estinzioni di massa nella storia della vita sulla terra. Però in fondo questi sono (non per mancanza di gravità ma per la loro accidentalità) “danni collaterali” nella grande, folle missione che stiamo così efficacemente compiendo come specie umana in generale, e come sistema economico orientato alla crescita illimitata in particolare: la distruzione delle basi ecologiche necessarie per la nostra stessa sopravvivenza, per una buona vita umana su questo pianeta. Se andiamo avanti come stiamo facendo non è che distruggiamo il pianeta – facciamo grandi danni, ovvio – ma più che altro danneggiamo noi stessi. La terra tranquillamente sopravvivrà alla nostra estinzione e fino a che non sarà tra qualche miliardo di anno inghiottito dal sole morente, ci sarà sufficiente tempo affinché la vita, quella non umana, si recuperi dai danni che stiamo provocando. Forse pure perché si sviluppi un’altra specie capace di fare archeologia e che potrà ricostruire la nostra breve, fulminante, folle storia.
Abbiamo avuto un grandissimo dono, insieme a tutti gli altri esseri viventi di questa terra, un pianeta con ottime condizioni su cui sviluppare le nostre vite, le nostre storie, le nostre culture. Va bene ovviamente tutelarlo perché non troviamo giusto che si estinguano le balene, perché ci teniamo agli uccelli bellissimi dell’Amazzonia o perché siamo preoccupati che gli orsi polari non trovino più un pezzo di ghiaccio su cui riposare. Credo che la vita, anche di altre specie abbia un valore intrinseco e che non abbiamo il diritto di distruggerla. Però forse queste attenzioni ci distraggono dalla profonda verità che stiamo lavorando contro noi stessi. Forse una maggiore consapevolezza di questo, un sano “egoismo di specie” ci aiuterebbe ad essere più incisivi. Di renderci conto appunto che l’ambientalismo è, innanzitutto, umanesimo.
Ovviamente l’hanno capito bene le attiviste ed attivisti di Extinction Rebellion che portano questo messaggio nel loro nome.
Rimane da chiederci: perché farlo? La posizione citata in apertura ci suggerisce che forse sarebbe meglio lasciare che ci estinguiamo. Di non fare figli e di lasciar correre, forse goderci gli anni in cui la vita umana, nelle sacche di ricchezza europea, è ancora comoda.
Però no, io credo che non vada bene. Perché? Per la bellezza dell’umanità. Si, bellezza, per quanto immischiata in grandi contraddizioni, in violenze, in follie. Ciononostante, quando penso alle persone che amo, al mio quartiere, alla mia città, alle mie passeggiate per vie e mercati, ai viaggi che ho avuto il privilegio di fare, agli incontri che ho avuto la fortuna di avere negli anni, l’ho imparata ad amare, l’umanità. Nonostante tutto. Nella sua diversità soprattutto, nelle gentilezze inaspettate, ovviamente nell’arte, nella musica, nella letterature, l’architettura e così via. Nel genio dell’agricoltura, dell’infinta varietà del cibo, nei paesaggi che come umanità abbiamo costruito nei millenni con grandi fatiche e che troppo spesso negli ultimi decenni abbiamo cominciato a distruggere. E non importa la probabilità di riuscita di questa lotta contro la nostra estinzione. Bisogna semplicemente farlo – e divertirsi facendolo.
Non è mai stata pura l’umanità. Non credo nella storia del paradiso originario da cui saremmo stati cacciati per poi entrare nella brutalità del mondo. Basta farsi un giro per un museo archeologico, sempre ci sono state guerre e violenze. Ma sempre anche ci sono stati arte e cultura. Più che paradiso quindi, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” come cantava De André.
Ma queste cose appunto ci sono entrambe. L’umanità non è mai stata pura, ma neanche, come a molti piace dire, per giustificare la propria maledetta indifferenza, “l’essere umano è necessariamente egoista, non c’è niente da fare”. Questo è contro ogni evidenza. Caratteristica fondamentale dell’essere umano come specie è proprio la sua capacità di collaborare – e di farlo senza pensare sempre solo al proprio tornaconto. L’egoismo c’è ma anche l’altruismo esiste. Soprattutto ne esiste la mescolanza. Troppo facile dire: “un* aiuta solo perché spera di essere aiutat* lei/lui stess*” – sarebbe come prendere da un grande romanzo la prima pagina e l’ultima e tagliare tutta la storia che c’è in mezzo. Ma è proprio quella la bellezza. La bellezza per cui vale la pena lottare, ribellandosi contro l’estinzione. Per un mondo in cui stare meglio, con meno, tutte e tutti.