TÁR esplora la natura mutevole del potere, la sua durevolezza e l’impatto sul mondo moderno. Mette in scena la vita di Lydia Tár, una rinomata direttrice d’orchestra e compositrice nel mondo internazionale della musica classica, prima donna a ottenere la conduzione della Berlin Orchestra.
Todd Fields torna sul grande schermo dopo sedici anni, dopo ”Little Children” (2006), un film ben scritto che ha ulteriormente cementato Field come uno dei registi più coinvolgenti che lavorano a Hollywood. A Venezia porta una pellicola cucita su misura a Cate Blanchett, “non è stato fatto con Cate Blanchett in mente ma è stato fatto per Cate Blanchett” rivela il regista alla conferenza stampa di presentazione del film.
Lydia Tàr è dispotica, egocentrica, bugiarda e usa la sua posizione di potere per circuire le donne che la circondano, tutte le figure che compaiono nel film dipendono in un modo o in un altro dalla protagonista.
Dichiaratamente lesbica e fintamente femminista, arrivando a dichiarare in una scena del film che “il narcisismo delle piccole differenze porta al più noioso dei conformismi”.
La vita di Lydia Tàr è fatto di manipolazioni, tutte atte a sollecitare vizi e piaceri del Maestro – come si fa chiamare, rifiutando quella “inutile A finale” fin quando proprio non appena raggiunto il culmine del successo inizia la discesa verso la disgrazia. D’altronde quando raggiungi la vetta non puoi che scendere e così in pochi passi crollano carriera e vita privata di Lydia Tàr, accusata in un #Metoo in continuo crescendo di aver usato la sua posizione di potere per favorire o distruggere la carriera di alcuni giovani musiciste.
Quello che è un attacco alla reputazione di un personaggio pubblico, calato nell’era contemporanea dei media e social network, diventa un’onda travolgente per la protagonista che si trova a dover fare i conti con se stessa e con un passato mai superato.