Entrando nello stato di Oaxaca, la Carovana comincia la terza e ultima parte del suo percorso. Ci avviciniamo all’Istmo di Tehuantepec, le compagne e i compagni dell’Assemblea de Pueblos Indígena del Istmo en Defensa de la Tierra y Territorio ci guidano attraverso le varie realtà che articolano la resistenza alla grande opera del Corredor Interoceanico. Tredici sono le comunità che afferiscono all’organizzazione e che sono più o meno direttamente interessate da questo megaprogetto. Sin dall’inizio ci rendiamo conto di quanto questo territorio sia da tempo al centro di interessi speculativi che ne hanno deturpato l’ecosistema. L’intera zona è pervasa da una distesa di pale eoliche che si estende a perdita d’occhio, uno spettacolo impressionante e grottesco che riempie l’orizzonte.
Nei primi incontri viene ribaltata la prospettiva che vede in questo tipo di energia “pulita” la chiave per la transizione ecologica di questo modello economico. Sono stati installati più di duemila ventilatori, dall’altezza variabile tra i sessanta e gli ottanta metri, concentrati in un’area ristretta per sfruttare le forti correnti d’aria che la attraversano, soprattutto nelle terre una volta comunali di Juchitán e La Ventosa. Le comunità che ci hanno accolto portano la testimonianza di quali siano i processi che stanno alla radice di questo repentino sviluppo e delle sue tremende conseguenze sul piano ambientale e sociale. In primo luogo, a fronte della narrazione che promette sviluppo e benessere, nessuna comunità beneficia di questa energia prodotta, la quale viene esportata a favore di grossi capitali transnazionali o indirizzata alla produzione industriale (tra le imprese maggiori che gestiscono questi impianti troviamo la Mitsubishi e la Heineken). La gestione dei terreni su cui installare questi parchi eolici passa spesso per le mani di figure istituzionali locali che attraverso la corruzione ed il clientelismo si arricchiscono sulle spalle della popolazione. Il processo che porta all’installazione di queste strutture inoltre poggia su minacce ed aggressioni ai contadini, su verbali di assemblee fittizie con le firme di assenso di “comuneros” deceduti da tempo e sull’espropriazione di terreni agricoli attraverso cambi di destinazione d’uso totalmente arbitrari.
Le conseguenze di questo progetto si misurano poi su diversi piani. Le ripercussioni sull’ambiente riguardano direttamente le ventole, con la loro costante necessità di ingenti quantità di olio motore e l’inquinamento acustico prodotto dal lavorio delle pale. Un altro pesante danno ecologico che questi parchi stanno causando è la perdita di biodiversità, soprattutto tra gli insetti e i volatili impollinatori che vengono uccisi dalla rotazione delle centinaia di pale. Gli stessi raccolti e la produzione agricola stanno diminuendo a causa della minore impollinazione.
Per rimanere ancorate al suolo queste pale hanno bisogno di una base di cemento profonda venti metri sotto il livello del suolo, portando ulteriore cementificazione (come con il progetto di allargamento dell’autostrada) in una zona estremamente a rischio idrogeologico.
Un ulteriore rischio prodotto dalla costruzione della base cementizia è legato alla falda acquifera che si trova in posizione molto superficiale, già pesantemente inquinata durante il tentativo di costruzione di una miniera per l’estrazione di ferro in una montagna che costeggia il parco eolico. Durante un temporale, dopo i primi scavi, la pioggia ha fatto franare parte della montagna sversando un grosso quantitativo di ferro e altri metalli nella falda acquifera e nei campi attorno, convincendo anche chi non lo fosse già a lottare contro l’installazione di questa miniera, battaglia vinta dalla popolazione locale dopo due anni di sabotaggi ai cantieri e ricorsi legali.
Oltre a questo primo frangente, il corollario di infrastrutture necessarie a sostenere i parchi eolici, dalle strade ai tralicci sino alle centrali di accumulo dell’energia, implementano la speculazione ed il consumo di suolo di territori da sempre di uso comune. Quando viene contestata la legittimità di questi cambi, i commissari municipali organizzano con le imprese delle assemblee per convincere le popolazioni a firmare i contratti, assemblee ovviamente solo in spagnolo, escludendo grossa parte dei campesinos che parla solo zapoteco, spingendoli a firmare contratti trentennali senza saper decifrare cosa ci sia scritto. Solo grazie all’autorganizzazione si è riusciti a capire i veri piani di questi progetti: privatizzare ed espropriare le terre comunali coltivate dalle comunità della zona, escludendo la popolazione dalla gestione delle loro terre ancestrali.
Ne risulta così fortemente colpito anche il tessuto sociale comunitario che vede sgretolarsi i presupposti per la gestione collettiva delle risorse e produce una forte discontinuità generazionale tra i più anziani ed i più giovani. Questi ultimi oscillano tra il cedere alle false lusinghe di un progresso pensato solo per i potenti, che prevede per loro solo l’emigrazione o il lavoro sfruttato, e la consapevolezza di doversi far carico di questa lotta immane per la quale passa la sopravvivenza della propria dignità e della propria vita.
Con la stessa logica si sta cercando oggi di portare avanti tutte le opere corollarie al mega progetto per eccellenza, il Corredor Interoceanico, che comprende: il potenziamento dei due porti a due lati dell’Istmo (Salina Cruz sul Pacifico, Coatzacoalcos nell’Atlantico), il potenziamento della raffineria di Salina Cruz e il nuovo gasdotto in direzione sud verso la costa del Chiapas, il potenziamento della raffineria di Minatitlan e l’apertura di una nuova raffineria a Dos Bocas, la costruzione di una via di trasporto su rotaia lungo l’Istmo a collegamento dei due porti, l’ampliamento della strada che attraversa l’Istmo per incentivare il trasporto su gomma, dieci nuovi parchi industriali e l’ulteriore aumento della produzione di energia eolica.
Questo processo mastodontico e la resistenza che ne è scaturita ha convinto le organizzazioni indigene a unire le forze nella lotta, aumentando la sinergia fra i due lati dell’istmo (Oaxaca e Veracruz), ma anche spingendo la rete del Congreso Nacional Indigena a coordinarsi di più con tutte le altre realtà del Sureste Mexicano, evidenziando le correlazioni fra Tren Maya e Corredor Interoceanico, smascherando un unico grande mega progetto volto a portare la “modernità” nel Messico meridionale e completare finalmente l’attacco capitalista su queste zone.
Nei giorni successivi abbiamo incontrato la comunità di Puente Madera, un piccolo villaggio ai bordi dell’autostrada. La sua lotta inizia con i lavori di costruzione di un polo industriale in un’area verde di uso comune da parte della popolazione, utilizzata per rifornirsi di legna, frutti e come pascolo per il bestiame. Trecentotrentacinque ettari dovrebbero essere espropriati per dar vita ad un polo industriale, che per funzionare necessita di grossi quantitativi d’acqua, una risorsa sempre più scarsa nella regione.
La lotta di queste comunità parte dal principio di difesa del bene comune, come mezzo di valorizzazione di un territorio e della sua popolazione. Questa passa attraverso chi se ne prende cura quotidianamente, acquisendo in maniera collettiva sapienze ambientali, tecniche e di governo, sottraendole agli apparati burocratici e tecnico-professionali.
Con questo spirito abbiamo accompagnato l’Asamblea de Pueblos Indigenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio, il Collettivo Liberacion Istepecana, l’Asamblea dei Comuneros di Santa Maria Xadani e la comunità di Puente Madera, all’occupazione della Procura Agraria di Tehuantepec, responsabile dei cambi di destinazione d’uso dei terreni agricoli a uso industriale. Dopo ore di richieste alla procuratessa sono riusciti a farsi comunicare la data della prossima consulta cittadina (le riunioni organizzate dalle imprese per convincere le popolazioni a firmare i contratti di cessione dei terreni).
La resistenza di queste comunità si muove infatti su due percorsi paralleli: ricorsi legali per chiedere lo stop ai lavori (solitamente per procedimenti illegali con cui sono stati strappati i permessi per costruire) e l’organizzazione di manifestazioni, blocchi stradali ed occupazioni per tenere alta la pressione sulle istituzioni.
La nostra permanenza nell’istmo si conclude con il nostro trasferimento sul lato veracruzano, ospiti del Movimiento Regional Indigena en defensa y respeto de la Vida, radicato in decine di comunità nella Sierra di Santa Marta. Qui abbiamo avuto la splendida opportunità di partecipare alla loro assemblea plenaria annuale, oltre che all’incontro del CNI regione Istmo, che ha concentrato nella comunità di El Mangal organizzazioni afferenti al Congreso Nacional Indigena da tutto l’istmo di Tehuantepec. È stato un momento molto importante per tutte le comunità partecipanti, potendo riconoscersi simili nella lotta e soprattutto non isolate, in questo momento di forte aggressione capitalista ai loro territori.
Il nostro percorso va ormai a concludersi, ma con una grandissima consapevolezza nel cuore: come abbiamo spesso detto ridendo con i nostri compagni e compagne, non arriviamo mai a una fine nella lotta, ma sempre a un nuovo inizio. Nello specifico di questa esperienza, la fine di questa carovana rappresenta già l’inizio della prossima: nella primavera del 2023 una delegazione dell’Associazione Ya Basta! Êdî Bese! e dei Centri Sociali del Nordest parteciperà alla carovana “EL SUR RESISTE”, con l’obiettivo di far fiorire tutte le relazioni e gli spunti politici seminati in questi venti giorni in cui abbiamo attraversato la parte meridionale di questo splendido Paese. Con la consapevolezza che i los de abajo non possono arrendersi, perché la nostra lotta è per la vita.