In Cile vince il “rechazo” ma la battaglia per cambiare il paese continua

Come era stato ampiamente preventivato dai sondaggi, il referendum sul testo della nuova Costituzione, tornante decisivo del processo costituente cominciato con l’estallido social del 2019 e che avrebbe dovuto sostituire la Costituzione emanata durante la dittatura di Pinochet, ha visto la netta vittoria del “rechazo”, causando la prima grande sconfitta politica del nuovo corso cileno.

Il “rechazo” ha trionfato con quasi il 62% delle preferenze ma è solo guardando agli elettori effettivi che ci si rende conto della netta prevalenza degli oppositori alla nuova carta magna: un’affluenza record – determinata dall’obbligatorietà del voto – ha visto alle urne oltre 14 milioni di cileni e di questi quasi otto milioni hanno votato contro. Per l’apruebo hanno votato 4,8 milioni, circa tre milioni in meno del “rechazo” ma soprattutto un milione in meno del cosiddetto referendum di entrata del 2020 con il quale ha avuto inizio il percorso costituente.

Già nelle prime ore molti analisti politici si sono affrettati a cercare di capire le motivazioni di una sconfitta sì preventivata ma di certo non con queste dimensioni. Innanzitutto, come sostiene Zibechi, questa non è stata solo la sconfitta di Boric e del suo governo, ma è anche, e soprattutto, la prima grande sconfitta dei movimenti e delle organizzazioni sociali e popolari dall’estallido social del 2019. Senza dubbio è vero che il governo e la Convenzione Costituente con il passare dei mesi si sono allontanati dalla base popolare che ne aveva determinato le vittorie elettorali e politiche. Senza dubbio è passata l’idea di un governo in continuità con il passato a causa del ripristino dello stato d’eccezione in Wallmapu o dell’invio dei carabineros nelle manifestazioni di piazza di questi mesi o ancora per la mancanza di sforzi sufficienti per liberare i prigionieri politici dell’estallido social. Ma probabilmente ha influenzato di più sul risultato il fatto che – nel breve tempo di sei mesi a propria disposizione – il governo non sia riuscito a mettere in atto misure rapide in grado di cambiare le condizioni di vita concrete della maggior parte della popolazione. Il voto antisistema ha cambiato così di segno.

A questi punti centrali si devono aggiungere poi altri elementi importanti come la narrazione dominante che, anche attraverso l’utilizzo di fake news, da una parte ha costruito l’immagine di una Costituzione lontana anni luce dai problemi concreti della popolazione e dall’altra ha delegittimato con attacchi mirati i delegati costituenti, in particolare quelli indipendenti. Venendo a los de abajo, sulla sconfitta possono aver influito le divisioni e le contraddizioni generate dalle tante posizioni diverse sul se e il come articolare le mobilitazioni di base con la politica elettorale.

Il nodo, naturalmente, non può essere quello di rifiutare una dialettica anche conflittuale con le forze politiche, ma come riuscire a non perdere quella potenza esplosiva che quando è nelle strade è capace di determinare i cambiamenti reali. Un primo passo è quello di assumere questa sconfitta e cercare di trovare le cause che l’hanno determinata. Chi di certo non si è tirato indietro è Rodrigo Mundaca, storico leader di MODATIMA (movimento in difesa dell’acqua) e attuale Governatore di Valparaíso che in una intervista ha fatto una profonda autocritica: «Tutti dobbiamo analizzare le nostre responsabilità, noi come organizzazione dobbiamo certamente analizzare il modo in cui siamo arrivati. Io stesso sono responsabile, naturalmente, e devo assumerlo, sia individualmente che collettivamente e come MODATIMA dobbiamo discutere dove abbiamo sbagliato». Anche il forte movimento per il diritto alla casa Ukamau fa autocritica segnalando in un comunicato post risultati come sia necessario «ritornare a militare nella base della società per organizzare il sostegno e la forza motrice del cambiamento».

Il colpo è stato duro ma desde abajo nessuno sembra uscito così demoralizzato da gettare la spugna. Per Victor Chanfreau, ex portavoce degli studenti della ACES durante l’inizio dell’estallido social «oggi ha vinto il sentimento comune dell’imprenditoria, ma se credono che con questo risultato sia stato detto tutto, non hanno capito nulla». Sulla stessa lunghezza d’onda anche un’altra organizzazione di studenti, la CONFECH, che nelle sue reti sociali ha pubblicato un comunicato post referendum nel quale chiarisce che «oggi deve partire il cammino per un nuovo processo costituente che dia risposte alle esigenze dei popoli del Cile. Non possiamo abbassare le braccia e sarà nostro dovere e orizzonte promuovere la lotta per una nuova costituzione democratica, ponendo fine all’eredità della dittatura».

Anche per la rete Movimientos Sociales por el Apruebo, composta da oltre cento organizzazioni di tutto il Cile, non è il momento di arrendersi: «anche se questo non è il risultato che speravamo è fondamentale precisare: è una sconfitta elettorale, non la sconfitta di un progetto». Il comunicato della rete prosegue ricordando che «nessuna delle necessità e dei problemi sociali che hanno dato luogo a questo processo trova risposta in questo risultato», e termina esortando i movimenti, le organizzazioni sociali, la società civile e la popolazione a non mollare la lotta: «ciò che abbiamo imparato in questo processo sarà uno strumento fondamentale per rafforzare la capacità del movimento sociale, per rafforzare e rappresentare le aspirazioni della popolazione. Siamo arrivati per restare, e dopo aver mandato giù il boccone amaro di questa sconfitta, continueremo a mobilitarci uniti, fortificando il lavoro territoriale e la rigenerazione del tessuto sociale».

Che ci vogliano anni, come sostiene Zibechi nella sua analisi, o mesi è certamente un fattore centrale, ma altrettanto centrale è sapere che nonostante la sconfitta, la consapevolezza di ciò che è stato costruito in questi ultimi tre anni non è andata perduta nello spoglio delle schede elettorali. E le manifestazioni degli studenti secondari e universitari e il ritrovo in Plaza de la Dignidad di centinaia di manifestanti i giorni successivi alla sconfitta per chiedere investimenti sull’educazione, la liberazione dei prigionieri politici e l’inizio di un nuovo processo costituente dimostrano proprio questo: ¡la lucha sigue!

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