Prefazione
Il 12 e 13 settembre 2008, nel pieno del crollo finanziario dei subprime negli Usa, due giorni prima del fallimento della Lehmann Brother (15 settembre 2008), a Bologna si svolgeva un convegno organizzato da UniNomade sui mercati finanziari e la crisi dei mercati globali. Gli atti di quel convegno (e molto di più) verranno pubblicati l’anno successivo da Ombre Corte a cura di Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra con il titolo Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici. [1]All’interno di quella raccolta di saggi, compariva un testo di Stefano Lucarelli: “Il biopotere della finanza”. All’epoca, tale titolo ci pareva più che mai azzeccato per descrivere il dominio delle oligarchie finanziare nel definire le traiettorie di accumulazione del nuovo capitalismo delle piattaforme, che da lì a poco sarebbe emerso dalle ceneri di quella crisi.
Oggi a quasi 15 anni da quegli eventi, possiamo dire di aver sottovalutato il problema. Certo, la nostra analisi si era rivelata più che corretta nel sottolineare il ruolo centrale e dominante della finanza speculativa nel nuovo (dis)ordine monetario internazionale e il tendenziale declino del dollaro come moneta di riserva internazionale. Ma nel frattempo, il biopotere (che poteva dare origine anche a qualche forma di contropotere, come illusoriamente ha fatto credere la parabola del bitcoin) si è trasformato in una vera e propria dittatura.
La finanziarizzazione delle materie prime
Ciò che sta succedendo nella determinazione del prezzo del gas nel mercato di Amsterdam lo conferma ampiamente. Già nel passato c’erano state avvisaglie della capacità della speculazione finanziaria, oggi sempre più essenza e anima dei mercati finanziari, di stravolgere in modo quasi irreversibile le stesse regole di funzionamento di un mercato neo-liberista. Nel 2008, ad esempio, il prezzo del petrolio aveva registrato un’impennata dai 70$/barile del dicembre 2007 ai 142$/barile dell’estate 2008, per poi calare entro la fine dell’anno a quota 33$: una bolla speculativa che si era sgonfiata, però, molto rapidamente.
Ma ciò che sta succedendo al mercato del gas presenta novità che devono essere sottolineate. Fino a pochi anni fa, le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda e offerta delle commodities erano la base sulle quali si formavano le aspettative sui prodotti derivati (di solito i futures) che alimentano l’attività speculativa. Il prezzo sui mercati reali era la base delle dinamiche speculative e delle convenzioni finanziarie che di volta in volta alimentavano le decisioni speculative.
Oggi avviene l’opposto. Sono le aspettative sulla dinamica futura dei prezzi rappresentate dal valore dei futures sul gas o su altre merci a determinare il prezzo dello scambio di mercato. Così avviene nel principale mercato per gli scambi all’ingrosso di gas, denominato Title Transfer Facility (TTF). Si tratta di una piattaforma virtuale (e un indice) della borsa di Amsterdam, nei Paesi Bassi, in cui si vendono e si acquistano gas (poco) e futures sul gas (molto), cioè contratti per scambiare una certa quantità di gas in una data futura e a un prezzo prestabilito. La logica è dunque puramente speculativa. Il prezzo che si determina non è influenzato dall’effettiva domanda e offerta di gas ma dalle aspettative future.
È l’esito della liberalizzazione del mercato dell’energia, voluta dal Trattato di Cardiff del 1996, che, in nome della libera concorrenza, ha eliminato qualsiasi forma di regolamentazione del prezzo del settore. Il paradosso è, contrariamente a quanto auspicato dai fautori del libero mercato, che il prezzo dell’energia non deriva più dall’incontro tra domanda e offerta ma dall’attività speculativa che origina dallo stato delle attese sul futuro del mercato. Il che dipende in modo massiccio soprattutto da fattori geopolitici e geoeconomici che poco hanno a che fare con l’effettivo andamento del mercato.
Si sostiene che l’aumento del prezzo del gas sconta previsioni negative su ciò che accadrà all’offerta di questa materia prima, scommettendo su una sua presunta scarsità futura. A differenza di ciò che accadde con il petrolio nel 2008 – la cui presunta scarsità venne innescata dalla notizia che i giacimenti di Baku erano sul punto di terminare – oggi la supposta insufficienza del gas si fonda sulla forte instabilità geo-politica internazionale e sulle tensioni internazionali tra Usa, Cina e Russia.
La realtà attuale del mercato è, in effetti, un’altra. Il gas non è affatto, al momento, una risorsa naturale scarsa. Secondo il rapporto Eni “Natural Gas – Supply and Demand” all’interno della World Energy Review, pubblicata il 26 luglio 2022, le attuali riserve sono sufficiente a colmare il fabbisogno crescente per oltre 59 anni. Inoltre, occorre ricordare che è in forte aumento la produzione di biometano derivante dall’utilizzo del letame degli animali. Al 31 dicembre 2021 (ultimo dato disponibile) le riserve mondiali ammontavano a 202.179 miliardi di metri cubi: erano 172.742 miliardi nel 2005. Il 40% di tali riserve si trova nel medio oriente, il 33% in Russia e nell’Asia Centrale, l’8% in Africa e nel Nord America, solo il 2% in Europa. Nel corso del 2021, la produzione globale è stata di 4.050,35 miliardi di metri cubi. Il consumo è risultato inferiore, pari a 4.027,04 miliardi. Siamo così in presenza di un eccesso di offerta che dovrebbe portare ad un ribassamento del prezzo o per lo meno non ad un suo aumento.
Ma non è così che è andata, anzi. Nel corso del 2021 (prima quindi dell’invasione russa in Ucraina), il prezzo TTF del gas quotato alla borsa di Amsterdam è aumentato del 402%. Gli esperti giustificano tale andamento con il fatto che si è verificato un aumento del consumo di gas pari al 4,6% dovuta all’inverno lungo e freddo nei primi mesi del 2021, che ha determinato un maggiore ricorso al riscaldamento, seguito da un’estate prolungata e calda che ha causato un maggiore utilizzo di dispositivi di raffreddamento, accompagnato dall’aumento della domanda di gas naturale liquefatto con la conseguente impennata dei prezzi di quest’ultimo e infine dall’aumento del consumo di gas in Asia dovuto alla ripresa economica. Si tratta di fattori che certamente concorrono a smentire la presunta scarsità della materia prima ma non sono sufficienti a far supporre un prossimo deficit d’offerta.
Nel 2022, l’invasione della Russia in Ucraina è stata la classica goccia può fare traboccare un vaso comunque già pieno, aggiungendo ulteriore incertezza e instabilità. E sappiamo come la speculazione vada a nozze in queste situazioni. Occorre tuttavia notare che possibili restrizioni nell’offerta di gas all’Europa da parte della Russia sono anche il corollario delle sanzioni europee. Il divieto di esportare in Russia componenti tecnologiche, necessarie alla manutenzione dei gasdotti e degli impianti di estrazione del gas, mina infatti la capacità produttiva russa, riducendo, di conseguenza, i ricavi derivanti dalla vendita del gas. I costi che ne conseguono per la Russia sono, tutto sommato, inferiori a quelli che i paesi europei rischiano di pagare, prima di riuscire ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo.
Negli Stati Uniti, di converso, il prezzo del gas naturale per famiglia, misurato in kWh, fissato sul mercato Henry Hub, punto di distribuzione per gli Usa, situato in Louisiana, è passata da 0,0094$ del gennaio 2021 a 0,0134 di dicembre (+ 42% circa). Un aumento di gran lunga inferiore a quello registratosi ad Amsterdam (+ 402%, come abbiamo visto), perché nel mercato Usa del gas i futures sulle materie prime hanno un ruolo decisamente più limitato. Ciò dipende dal fatto che i prodotti derivati si scambiano su un mercato diverso poiché vengono quotati principalmente a Chicago e non in Louisiana. E infatti a fine agosto 2022 il prezzo sul mercato americano Henry Hub è pari a 0,043$ per kWh contro un prezzo medio mondiale pari a 0,75kWh e a un prezzo europeo di circa 0,136$, oltre il triplo. È la conferma che in Europa il prezzo a cui si scambia il gas è l’esito della finanziarizzazione del mercato e della dittatura dell’attività speculativa.
Cui prodest?
L’attività speculativa conviene a molti. In primo luogo ai grandi fondi speculativi che creando la bolla rialzista possono ottenere elevate plusvalenze, per poi ritrarsi al momento opportuno, così come è successo per altre convenzioni speculative (ad esempio, quelle sui titoli di stato greci e italiani nel 2011). Ma conviene soprattutto alle grandi imprese energetiche. Chi può usufruire di contratti standard di lungo periodo con i produttori di gas grezzo (come la Gazprom) gode di condizioni estremamene vantaggiose con un prezzo bloccato a livello molto inferiore all’attuale prezzo di vendita. Chi non ha questo privilegio, può sempre acquistare il gas sul mercato americano ad un prezzo decisamente più conveniente.
Non stupisce che solo nel primo trimestre del 2022, secondo i dati di Arera (Autorità di Regolazione per Energia, Rete, Ambiente), le bollette della luce siano cresciute del +131% rispetto allo stesso periodo del 2021, +94% il gas. Gli extra-profitti incamerati dalle società dell’energia grazie alla differenza tra i costi di produzione e il Pun (acronimo di Prezzo Unico Nazionale, ovvero il prezzo di riferimento all’ingrosso dell’energia elettrica che viene acquistata sul mercato della Borsa Elettrica Italiana – IPEX – Italian Power Exchange) valgono, secondo le stime Assoutenti, la bellezza di 27,9 miliardi di euro solo nel primo trimestre del 2022. Il ministero dell’Economia aumenta la cifra a 40 miliardi. Il guadagno è evidente.
Pensare di limitare l’attività speculativa con un decreto non è possibile. Ma alcuni interventi potrebbero essere utilmente introdotti. Ad esempio, lo scorporo del mercato del gas da quello dell’energia elettrica e delle fonti rinnovabili. Ad Amsterdam, il prezzo del gas al TTF viene fissato con il sistema delle aste al prezzo marginale (Sistem Marginal Price), che di fatto porta a corrispondere il prezzo più alto tra quelli offerti. La particolarità dell’asta marginale sta nel fatto che, nella fissazione del prezzo dell’energia, non conta da quale fonte la stessa sia stata prodotta (rinnovabile, gas, carbone, nucleare); infatti, alla fine dell’asta tutti gli intermediari pagheranno quanto acquistato al prezzo marginale, ovvero l’ultimo prezzo che viene accolto – ovviamente, il più alto fra quelli offerti.
Paradossale è infine il fatto che il volume delle transazioni di gas scambiate ad Amsterdam rappresentino una quota risibile del totale europeo (3-4%: dati Arera) ma indicativo che Amsterdam sia il mercato europeo dominante per la compravendita di titoli futures. Poiché il mercato TTF viene gestito da Gasunie, società olandese che controlla buona parte della rete del metano dei Paesi Bassi, oltre ad alcuni gasdotti europei (pur essendo di proprietà di Intercontinental Exchange (ICE), gigante delle piattaforme finanziarie, proprietaria anche di Wall Street), l’Olanda può godere di vantaggi economici e finanziari che portano il paese a incrementare la propria bilancia commerciale e dei pagamenti a svantaggio di altri paesi europei come Germania, Spagna e Italia. Motivo più che sufficiente per spiegare la contrarietà dell’Olanda a introdurre un limite di prezzo (price gap) a livello europeo.
Al di là di queste considerazioni, la finanziarizzazione del gas ci illustra come oggi la determinazione dei prezzi sia sempre meno dipendente dagli scambi reali, materiali, del bene in oggetto ma sempre più da variabili extra-mercato di tipo finanziario. Si tratta della morte del tradizionale libero scambio di mercato, con buona pace degli economisti liberisti. La teoria della domanda e dell’offerta, base principale della microeconomia neoclassica, perde di senso. La dittatura della finanza mostra qui tutta la sua potenza.
Immagine in apertura: il porto di Sabetta, sulla penisola di Yamal, nella Russia artica – Aleksandr Rumin/TASS