Olimpiadi invernali ai tempi della crisi climatica. Quale futuro per i territori montani?

La discussione del workshop ha preso in analisi come principali elementi la gestione territoriale di ambienti montuosi e le conseguenti ricadute sugli habitat e sulle comunità montane. Usando una definizione introdotta da Filippo Giorgi, fisico e climatologo del centro di fisica teorica di Trieste, le Alpi rientrano nella categoria di “hotspot climatico”, ovvero proprio quelle aree dove gli effetti del riscaldamento climatico avvengono più rapidamente.

È stato sottolineato che gli eventi climatici in montagna sono una diretta conseguenza di ciò che accade nel sistema terra tutto e che le montagne, pur avendo un ecosistema proprio con regole particolari, non lo si può considerare come isolato dal resto del pianeta. Per esempio, nello stesso anno in cui la tempesta Vaia si è abbattuta sulle nostre montagne, il Mediterraneo ha raggiunto temperature mediamente più alte di altri anni.

Nonostante i forti ma costanti cambiamenti nel paesaggio montano, come l’innalzamento delle temperature e la scomparsa delle nevi, gli investimenti in questi territori puntano sempre di più sull’industria dello sci e sulla turistificazione di massa. Questo richiede una produzione in grande scala di neve artificiale e la costruzione di bacini di innevamento, eventi energivori con alti consumi di acqua.

Nel mentre, le Olimpiadi di Cortina del 2026 sono state presentate come le prime olimpiadi sostenibili della storia, promettendo di non costruire nuove infrastrutture ma di investire su quelle esistenti. La realtà dice però il contrario. Sono stati preventivati 85 milioni di euro per la nuova pista da bob a Cortina, costruita al posto di quella vecchia, che sarà invece abbattuta, per garantire a soli 17 atleti di concorrere. Lo stesso è successo durante i preparativi delle olimpiadi di Torino nel 2006, con la pista da bob a Cesana torinese, dal costo di 110 miliardi, utilizzata solo durante il periodo delle gare olimpioniche.

Questa prima parte del workshop lascia intuire le conseguenze di una forzatura dell’immagine della montagna come luogo naturale incontaminato, quando in realtà oltre ad essere sovraesposto ai cambiamenti climatici risulta anche pesantemente antropizzato. Durante la seconda parte, si è posta l’attenzione sulle comunità montane e sulle condizioni di vita dei loro abitanti.

In primis, molte delle strutture turistiche come impianti di risalita, piste da sci e alberghi sono gestiti da chi non abita la montagna. Queste attività, offrendo lavori stagionali, spesso non impiegano nemmeno la popolazione locale e quindi non valgono come possibilità di sostentamento, ma ricevono cospicui finanziamenti per coprire i costi di gestione come accade nella provincia di Trento.

Inoltre, con le olimpiadi alle porte, la regione Veneto ha stanziato 90 milioni di euro per aumentare la capacità degli alberghi, accentrando ulteriormente la ricchezza nelle valli in quelle strutture già sviluppate. Capita spesso che in quegli stessi luoghi, essendo poco abitati e quindi non pensati come un bacino elettorale, la politica scelga di non investire nel pubblico, ottenendo strade poco agibili e strutture sanitarie spesso non raggiungibili o addirittura assenti.

Nel quadro generale si delinea quindi una montagna “sfruttata” e sequestrata a chi la abita, immaginato come inchiodato nel tempo e dal taglio forzatamente bucolico. Riconoscere le problematiche attuali e le prospettive contraddittorie che si stanno delineando è il primo passo verso una narrazione meno retorica e più attenta alle reali esigenze dei territori alpini e di chi li vive.

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