di Gioacchino Toni
Il volume di Davide Steccanella, La filosofia di Diabolik e Alan Ford. Un criminale e una banda di agenti segreti squattrinati all’assalto della generazione ribelle (Mimesis, 2022), ricostruisce le caratteristiche principali di due fumetti italiani di grande successo che, facendo capolino rispettivamente in apertura e in chiusura degli anni Sessanta, hanno saputo far breccia all’interno dell’immaginario inquieto del momento.
Il 1° novembre del 1962 fa la sua comparsa nelle edicole italiane un giornalino in formato tascabile, di centoventotto pagine in bianco e nero, con una copertina in buona parte occupata da un volto maschile mascherato da un’aderente tessuto nero da cui sbuca uno sguardo spietato al cospetto di una figura femminile terrorizzata in primo piano.
Quel giornalino, stampato e distribuito in un numero ridotto di copie e venduto a 150 lire, si presenta ai lettori come Diabolik, suggerendo loro che si tratta di un “fumetto del brivido”. Pur trattandosi di un “romanzo completo”, come si evidenzia in copertina, intitolato Il re del terrore, dalla costina color azzurro si comprende di essere di fronte al primo albo di una nuova serie.
La scelta del nome Diabolik, con la “k” finale, si deve a una felice intuizione di Angela Giussani – vera e propria creatrice del fumetto, poi affiancata, dopo una dozzina di albi, dalla sorella Luciana –, che vede nel ricorso alla durezza di quella lettera un espediente utile a rafforzare l’idea di “potenza” del personaggio e con esso delle vicende narrate. Ad accrescere il senso di “diabolica inquietudine” è anche l’efficace font di colore rosso utilizzato per il nome della testata.
Se a tutto ciò si aggiunge un’immagine di copertina di forte impatto per i primi anni Sessanta, anche soltanto osservando l’albo in edicola, si comprende come l’ambizione della pubblicazione sia quella si incontrare anche lettori adulti. Non a caso la scelta del formato tascabile a storia completa viene ritenuta dalle sorelle Giussani particolarmente adatta ad intercettare i pendolari offrendo loro una rapida lettura di intrattenimento durante i brevi viaggi quotidiani in treno.
Se l’idea del personaggio e la trama di quel primo episodio si devono all’inventiva di Angela Giussani, curiosamente del disegnatore delle prime storie si sono, sin da subito, perse le tracce. Circa le fonti di ispirazione, la creatrice di Diabolik ha più volte affermato di aver attinto tanto da un particolare episodio di cronaca nera accaduto a Torino qualche anno prima – in cui l’autore di un brutale omicidio, incline a sfidare la polizia, si era firmato “Diabolich” –, quanto dal personaggio di Fantomas creato da Marcel Allain e Pierre Souvestre, capace di farsi beffe delle forze dell’ordine attraverso abili travestimenti. Altri riferimenti, suggerisce Steccanella, possono essere individuati persino in un personaggio lontano dall’efferatezza del “re del terrore” come Arsenio Lupin di Maurice Leblanc; quest’ultimo, Fantomas e Diabolik hanno infatti in comune il fatto di farla franca grazie ad un’astuzia non comune.
I primi anni di vita del fumetto, ricorda Steccanella, sono segnati anche da guai giudiziari. La diffusione di copie omaggio dell’albo L’arresto di Diabolik (1963) a studenti delle scuole medie, riserva ad Angela Giussani un’accusa di incitamento alla corruzione minorile, da cui si salva anche grazie al fatto – come attesta la sentenza di assoluzione – che in copertina Diabolik viene mostrato in maniera rassicurante con le catene ai polsi. Altri guai giudiziari arrivano per l’episodio Il tesoro sommerso (1967) nella cui copertina compare “indecentemente” una donna in bichini.
Al di là dei tribunali, accuse e critiche nei confronti del fumetto giungono da più parti; se tra i bempensanti turba, ad esempio, la convivenza di una coppia non sposata, anche in ambito femminista si muovono critiche alla pubblicazione. Divenuto presto un fenomeno di successo, il fumetto che ha reso popolare uno spietato assassino viene osservato con attenzione tanto dagli ambienti più tradizionalisti, che temono possa esercitare una cattivo influsso soprattutto sui più giovani, quanto da quelli più progressisti, messi in allarme dalle note individualiste e violente del protagonista e dal rapporto di potere che esercita sulla sua compagna.
Ad affrontare Diabolik è anche Umberto Eco che, in un suo scritto di inizio anni Settanta intitolato Fascio e fumetto1, individua nei fumetti neri italiani dell’epoca alcune caratteristiche proprie del superuomo del romanzo di appendice tardottocentesco: pur trattandosi di personaggi negativi che agiscono al di fuori dei valori sociali condivisi, giustificati esclusivamente dal proprio tornaconto, ispirano simpatia nei lettori. Tale tipo di fumetti italiani, sostiene Eco, contribuisce alla diffusione dell’eroe cattivo.
Nel tratteggiare le caratteristiche di fondo del fumetto delle sorelle Giussani, Steccanella sottolinea come il protagonista si riveli leale nei confronti della compagna con cui condivide una vita da eterni fuggiaschi, sia mosso dal fascino della sfida e non dalla ricerca della ricchezza, manifesti doti di grande intelligenza e cultura, si mostri maniacale nella cura dei dettagli e risoluto nel trovare a tutti i costi soluzione ai problemi che incontra.
Dopo aver definito i tratti tipicamente delinquenziali del protagonista, con il passare degli anni si sono aggiunte altre caratteristiche che ne attenuano decisamente l’efferatezza, «come la nobiltà d’animo nel rapporto con Eva e un certo idealismo unito a fermezza nell’adesione a principi immutabili» utili a renderlo «sempre meno criminale e sempre più eroe romantico» (p. 51).
A differenza di altri fumetti simili, Diabolik ha evitato di indugiare sugli aspetti morbosi e feroci, preferendo concentrarsi piuttosto sull’intrigo, le trovate e i colpi d’astuzia. Se i tratti iniziali del personaggio lo contrappongono al perbenismo dei primi anni Sessanta, man mano vira verso atteggiamenti di benevolenza verso i deboli e di rispetto nei confronti di quanti considera corretti.
Il primo numero presenta i due nemici destinati a confrontarsi: Diabolik, astuto quanto spietato criminale, abile nell’assumere le sembianze altrui grazie a particolari maschere facciali che ne replicano perfettamente i volti, e l’altrettanto intelligente ispettore Ginko, degno avversario del protagonista, unico in grado di “dargli la caccia”. Quella che si gioca tra i due è una vera e propria partita a scacchi in cui il confronto avviene soprattutto sul piano dell’astuzia e dell’abilità di giocare d’anticipo rispetto all’avversario o di trarlo in inganno.
All’uscita le vendite de Il re del terrore non sono entusiasmanti e soltanto dopo che il fumetto inizia ad ottenere un certo successo questo primo numero viene in qualche modo “recuperato” attraverso diverse ristampe. Una prima volta viene ripubblicato nel 1963 con alcune modifiche anche in copertina, l’anno successivo l’albo viene interamente ridisegnato da Luigi Marchesi ed esce in due versioni leggermente diverse, dunque viene nuovamente ristampato nel 1973.
Il secondo numero del fumetto esce il 1° febbraio del 1963 con il titolo L’inafferrabile criminale, anche in questo caso poi ridisegnato da Marchesi nella ristampa del 1964. È però con il terzo albo L’arresto di Diabolik (1963) che si assestano le linee guida della serie: il fumetto viene disegnato da Luigi Marchesi e, soprattutto, compare Eva Kant, dapprima derubata da Diabolik, poi sua inaspettata complice nel momento in cui il criminale rischia la ghigliottina, dunque sua compagna di vita e di avventure per tutti gli albi a venire. «L’arrivo di Eva cambia completamente il protagonista, che da lugubre animale notturno che agisce in solitaria diventa una sorta di arguto fenomeno in tutte le arti possibili, che parla più lingue, conosce ogni branca di scienza e letteratura e pratica tutti gli sport; ma, soprattutto, l’entrata in scena della donna riduce la spietata tendenza omicida di Diabolik» (p. 66).
Data una compagna al “re del terrore”, il fumetto ne assegna una anche al suo acerrimo nemico: nell’albo Il grande ricatto (1964) Ginko trova in Altea, un’aristocratica vedova, la sua donna, destinata, di tanto in tanto, a comparire nelle avventure successive. Con il passare del tempo tutti i personaggi del fumetto divengono più complessi e si evolvono in base ai mutamenti del costume, il rapporto tra Diabolik ed Eva, ad esempio, tende via via a divenire più egualitario.
Curiosamente, nel corso dell’intera prima serie, che si conclude con L’assassino dai mille volti (1965), non viene ancora menzionata la città immaginaria di Clerville, capitale dell’omonimo Stato, destinata ad ospitare buona parte delle storie raccontate.
Occorre invece attendere ben sei anni e 107 numeri prima di conoscere il passato del criminale. È in Diabolik chi sei? (1968) che, rispondendo alla curiosità di Ginko, mentre i due si trovano compagni di prigionia, Diabolik racconta la sua infanzia. Si scopre dunque che il protagonista è stato cresciuto su un’isola da una banda di criminali agli ordini di King; è in tale contesto che ha imparato i mille trucchi del mestiere ed ha trovato il modo di creare quelle maschere che si riveleranno la sua futura arma vincente. Dal racconto si scopre anche che il suo nome deriva da quello dato ad una temibile pantera nera presente nella giungla dell’isola. Nel momento in cui il protagonista si vendica dell’uccisione senza motivo dell’animale da parte del capo della banda, è proprio quest’ultimo a trasmettergli il nome della feroce pantera.
Il successo ottenuto in Italia da Diabolik si è presto tramutato in un successo internazionale tanto da essere tradotto e diffuso in svariati paesi. Anche il cinema non ha mancato di derivare opere dal fumetto: dalla parodia Dorellik (1967) di Steno al film Diabolik (1967) di Mario Bava, dal documentario Diabolik sono io (2019) di Giancarlo Soldi al recente film Diabolik (2021) dei Manetti Bros.
La creatura dalle sorelle Giussani si è rivela capace di aggiornarsi in base all’evoluzione della società italiana e ciò ha sicuramente influito sulla durata del suo successo. Diabolik ha saputo/voluto intercettare e solleticare l’interesse di un pubblico decisamente vasto. A motivare il successo di fumetto che in apertura degli anni Sessanta ha la sfacciataggine di narrare le gesta di uno spietato assassino, potrebbe concorrere anche il tutto sommato rassicurante ricorso ad un’estetica controllata del tutto in linea con la narrazione di sfide giocate sul piano di un dominio razionale degli eventi.
La scelta di un antagonista come Ginko, intelligente, colto e risoluto nel dare la caccia al criminale, si rivela per certi versi rassicurate sia perché con la sua presenza si mostrano gli anticorpi al male di cui dispone la società, che perché il manifestarsi nel tutore dell’ordine di alcune caratteristiche comuni al criminale (caparbietà, lealtà, coraggio, amore per la sfida, riconoscimento del valore dell’altro ecc…), finisce per attenuare “l’impresentabilità del cattivo” rendendo più semplice simpatizzare per lui.
Attraverso un’estetica rigorosamente controllata, tanto da arrivare a fa ricorso ad una “retinatura da studio tecnico”, il fumetto delle sorelle Giussani presenta un’ambientazione geometrizzata, silenziosa, tendenzialmente asettica anche ove sfarzosa, abitata da personaggi che sembrano condurre un’esistenza volta meramente ad eternare riti e convenzioni. Ad infrangere tale “geometrica routine” provvede Diabolik: pur perfettamente inserito all’interno del contesto appena delineato, in lui sembra permanere qualcosa di incompatibile a quell’ordine.
Proveniente, come detto, da un’isola lontana, ove è stato cresciuto all’interno da una comunità criminale in cui, come sottolinea Steccanella, non viene dato valore alla legalità ma alla capacità di raggiungere l’obbiettivo, anche l’uccisione a sangue freddo viene contemplata da Diabolik come mezzo a cui ricorrere per eliminare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento del fine, che, nel suo caso, significa soprattutto vincere la sua personale sfida nei confronti del sonnolento status quo sottoposto a vigilanza e controllo. Diabolik si rivela dunque come colui che, dall’esterno, porta l’attacco all’ordine esistente.
Scrive a tal proposito Paolo Lago riferendosi alla trasposizione cinematografica del fumetto operata dai Manetti Bros nel 2021 [su Carmilla]: «Diabolik giunge dal ‘fuori’ di quegli interni borghesi, dediti al potere e ai suoi fasti, trama e agisce nella notte e nell’oscurità, da un limite oscuro difficilmente raggiungibile se non si è trasgressori totali. Egli si muove in quello spazio ‘tunnellizzato’, inscatolato, segnato dalla greve materia architettonica del potere solamente per distruggerlo ed annientarlo».
Non a caso, quando si trova ad avere la polizia alle calcagna, in diverse occasioni il criminale individua la sua via di fuga nell’abbandono della regolarità cittadina, preferendovi le tortuose strade di montagna o le ambientazioni periferiche meno sottoposte al geometrico controllo urbano. E ancora, nota Paolo Lago, «Diabolik è abitatore del ‘fuori’ anche nel senso che appartiene alla terra, sbuca misteriosamente da cunicoli nel giardino dell’elegante villa che usa come copertura. Con la sua Jaguar nera si insinua in reconditi cunicoli scavati nella roccia, lungo un’anonima strada di periferia, per mezzo di marchingegni che mirano ad inceppare l’onnipresente, lugubre marchingegno del potere».
Nonostante abiti in ville signorili, dotate di ogni comfort ed arredate con gusto, si tratta pur sempre di “rifugi” (avendo scelto una vita che rifugge la stanzialità dei personaggi che deruba), la cui parte più importante si rivela spesso quella interrata, nascosta alla luce del sole e ad occhi indiscreti.
Sebbene Diabolik sia abilissimo nello sfruttare tutto ciò che la tecnologia consente, è in lui presente, come negli incubi che sfuggono al controllo, qualcosa di arcaico, di “non civilizzato”, di “non irregimentato”: l’abitare rifugi/covi ed il ricorrre alla forza delle nude mani o ad armi arcaiche, denota in lui il permanere di qualcosa di “selvaggio” – non a caso deriva il nome da una feroce patera nera – e di notturno, come la sua veste.
Su Diabolik si sono accumulate numerose interpretazioni critiche, il personaggio ha generato ammirazioni e ostilità in maniera trasversale tra le diverse sensibilità politiche. In Diabolik possono essere individuati i tratti dell’individualismo asociale più cinico e competitivo, di chi è mosso dal mero interesse a soddisfare la propria brama di possesso materiale e per ciò disposto a ricorrere ad ogni mezzo necessario, incurante di tutto e di tutti. Oppure, al contrario, è possibile cogliere nella sua condotta un sostanziale disinteresse nei confronti della ricchezza alla luce del fatto che i furti sembrano rispondere esclusivamente al desiderio di sfidare e rompere gli equilibri di una realtà costruita sul potere economico. Pur non scalfendo, nei fatti, la società che sfida individualmente, nell’appropriarsi dei preziosi dell’élite che la governa, almeno simbolicamente, priva quest’ultima dei privilegi più luccicanti di cui gode.
Potrebbe risiedere nel suo prestarsi a letture così diverse, nel permettere identificazioni a sensibilità e immaginari tanto differenti, il motivo principale del diffuso e duraturo successo di un fumetto che si presenta puntualmente in edicola dall’inizio degli anni Sessanta.
continua