Se dopo undici giorni di lutto, con numerose cerimonie in buona parte del Regno Unito, ieri a Londra c’è stato il funerale della regina Elisabetta II, tenendo incollate alle dirette del lungo corteo funebre circa 4 miliardi di persone in tutto il mondo, certo non si può dire che la stessa risonanza lo abbia avuto l’uccisione di Jina Mahsa Amini.
In Iran la stretta repressiva della polizia religiosa sull’uso corretto dell’hijab ha fatto la sua prima vittima: una giovane donna, appena 22 anni, è morta il 16 settembre nella capitale Teheran dopo essere stata arrestata, poi torturata e ridotta in coma durante la detenzione.
Jina, che in curdo significa vita, veniva dal Rojilhat, il Kurdistan iraniano e dopo tre giorni di agonia è deceduta in circostanze molto controverse che hanno generato un’ondata di indignazione, che non riguarda solo l’applicazione dell’hijab nelle città, ma anche la responsabilità della polizia morale.
L’articolo 638 del codice penale islamico stabilisce che è un crimine per le donne apparire nelle strade e in pubblico senza l’hijab. Si discute però se la polizia abbia il diritto arbitrario di arrestare le cittadine in base a questo codice senza un mandato del tribunale. A questo si aggiungono i pesanti sforzi delle autorità di negare la responsabilità dell’accaduto, rilasciando filmati modificati che mostrano la donna collassare in una stazione di polizia, ma negando che sia stata sottoposta a pestaggi.
Parlando in una conferenza stampa, il comandante della polizia di Teheran, Hossein Rahimi, ha detto che Amini è stata fermata dalla polizia morale, nota come “Gasht-e Ershad”, mentre camminava in un parco perché il suo hijab era “inappropriato”. Ha affermato che la polizia non ha commesso errori e ha inveito contro le “vili accuse” e ha aggiunto “non c’è stata alcuna negligenza da parte nostra, nemmeno un piccolo errore”.
C’è un bivio, nel quale Ministero dell’Interno e forze dell’ordine dichiarano che è morta a causa di un problema cardiaco, la famiglia invece sostiene che la causa siano le percosse e i maltrattamenti subiti.
C’è anche una terza via, quella delle centinaia di persone che si sono riversate nelle strade del paese, con mobilitazioni protrattesi per giorni. Divampano ovunque le proteste: le manifestazioni, guidate soprattutto da donne, sono scoppiate in più di una dozzina di città e nei campus universitari di Teheran. Alcune donne si sono tolte il velo in segno di protesta. Alla facoltà di Belle Arti dell’Università di Teheran, cartelli e manifesti ovunque con su scritto “donna, vita, libertà”.
Jina Mahsa Amini è stata sepolta nel cimitero di Ayçi a Seqiz, nel Kurdistan orientale. Le proteste sono iniziate domenica, e si sono diffuse in altre città del Kurdistan orientale e dell’Iran, mentre lunedì è stato proclamato uno sciopero generale. Centinaia di donne hanno protestato contro l’omicidio di Amini nella città di Rasht, nella provincia di Gilan, con il motto “lasciate che le donne vivano la loro libertà”.
Sui social network le ragazze si tagliano i capelli davanti alle telecamere in segno di solidarietà con Mahsa. Alcune bruciano perfino i loro capelli. Per alcune è l’unico modo di solidarizzare, in un paese dove il diritto a manifestare è duramente represso.
Come le precedenti ondate di proteste nazionali in Iran, le manifestazioni sono state innescate da un evento specifico – la morte della giovane ragazza – ma si sono rapidamente allargate a una lunga lista di istanze che riflettono la frustrazione accumulata dalle diverse fasce di popolazione iraniana che lottano contro regole oppressive e difficoltà economiche, con poche speranze di un cambiamento significativo. In passato, tali disordini antigovernativi sono stati repressi, con grandi dispiegamenti di forze di sicurezza che hanno ucciso, ferito e arrestato i manifestanti.
Secondo l’agenzia di stampa Fars, lunedì sera centinaia di persone hanno sfilato nel centro di Teheran scandendo slogan antigovernativi.
Il gruppo curdo per i diritti Hengaw ha dichiarato su Twitter che lunedì cinque persone sono state uccise quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco durante le proteste. Due persone sono state uccise nella città curda di Saqez, la città natale di Amini. Altre due persone sono state uccise a Divandarreh e una quinta a Dehgolan. Non ci sono state conferme ufficiali dei decessi.
“La mentalità patriarcale continua a uccidere ovunque. Come Movimento curdo di liberazione delle donne, condanniamo con rabbia l’omicidio di Jina Mahsa Amini da parte della polizia morale iraniana. Accogliamo con favore la rivolta delle donne in Iran e nel Kurdistan orientale contro questa atrocità”, ha dichiarato il KJK in un comunicato; sottolineando, inoltre, che l’omicidio della giovane donna è solo l’ultimo esempio delle pratiche femminicide del regime iraniano.
Nelle quattro parti del Kurdistan, la repressione in generale, e contro le donne in particolare, è una pratica che non stenta a fermarsi. L’arresto di deputate, rappresentanti delle organizzazioni femminili curde e rappresentanti delle persone che lavorano nel campo della politica democratica, l’intensificazione delle torture nelle carceri, la deliberata sospensione delle scarcerazioni sono solo alcuni esempi di come si mira a provare a spezzare la volontà di chi resiste al dominio. Un altro esempio è l’azione diretta contro le pioniere della lotta di liberazione delle donne in Rojava, che altro non è che un’espressione della paura del sistema dominante nei confronti della libera posizione delle donne.
Come nel caso di Jina Mahsa Amini gli omicidi che si verificano oggi in varie forme non sono casi isolati, ma parte di un massacro sistematico. L’aumento dei femminicidi è essenzialmente espressione della crisi del sistema. In Kurdistan, si sta combattendo una guerra, ma al suo interno vanno annoverati gli attacchi spietati delle forze colonialiste e le tendenze misogine che prendono di mira le donne per ucciderle.
Le donne però sono forza sociale e la più consapevole, dinamica e legittima critica al sistema costituito. E anche in Iran, come in qualsiasi altra parte del mondo, vanno sostenute nell’incessante ricerca di dignità e libertà.
** Pic Credit: Teheran, 19 settembre 2022. Una protesta contro la morte di Mahsa Amini. (Afp)