di Sandro Moiso
«Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici». (Amadeo Bordiga, intervista a cura di Edek Osser – estate 1970)
A pochi giorni di distanza dalla “fatidica” data del 25 settembre, è difficile dire quanti saranno gli elettori che si presenteranno, convinti e con la tessera elettorale in pugno, ai nastri di partenza dell’ennesima e gaglioffa tornata elettorale.
A giudicare dai risultati degli ultimi anni, pochi. Molto pochi. Considerato soprattutto il fatto che, nell’attuale competizione, a farla da padrone sono stati più i nomi e le poltrone “garantite” dei candidati che non i programmi. Ma se anche così non fosse, vale comunque la pena di sottolineare come l’uso dei termini “fascismo” e “antifascismo” abbia ancora una volta caratterizzato la propaganda di una sinistra sempre più esangue e asservita alle esigenze del capitale nazionale e internazionale.
L’attuale farsa elettorale, infatti, vede le sinistre, più o meno parlamentari di ogni grado e risma, ricorrere ancora una volta all’espediente narrativo, già troppe volte visto in scena sia sui palcoscenici istituzionali più importanti che nei teatrini politici più scadenti, secondo il quale l’elettore “di sinistra” dovrebbe accorrere alla chiamata alle armi per difendere nell’urna la “democrazia” e la costituzione dall’ennesimo e vile assalto “fascista”. Trama semplice, priva di alcuna complessità interpretativa, in cui i buoni stanno, o devono stare, tutti dalla parte del “centro-sinistra” o al massimo di tutti quei partiti ancora non apertamente schierati con il terribile “centro-destra”.
A parte la qualità della compagnia che certo non fa rimpiangere quella del centro-destra, rimanendo nello schema interpretativo proposto dai media e dai rappresentanti dello schieramento “autenticamente” democratico, il primo pericolo sarebbe infatti presentato dal rischio di una revisione o riscrittura della carta costituzionale.
Su questo argometo, tralasciando il tema delle visite “agostane” di Giorgia Meloni al capo dello Stato rivelate dal “Fatto Quotidiano” del 10 settembre scorso, non occorre neppure ricorrere alle armi della critica proposte dalla Sinistra Comunista per smontare il grido di dolore che si leva dal perbenismo centrosinistrese. Basta, si pensi un po’, quanto è già stato scritto su un quotidiano tutt’altro che estremista come «il manifesto».
Le vicende delle «riforme costituzionali» ci dicono che l’attacco alla Costituzione non è venuto solo dalle destre ma anche dai partiti di centrosinistra, non è più vero dunque che il centrosinistra difende la Costituzione e le destre ne vogliono la distruzione. Centrosinistra e centrodestra sono stati protagonisti per vent’anni di tentativi, falliti, di modificare in pejus la Carta costituzionale del 1948 […] ai tentativi falliti si sono affiancati quelli riusciti a modificare la Costituzione. Eccone l’elenco: revisione del Titolo V (attuata dal governo Amato), dell’articolo 8 (votata dal Pd guidato da Bersani), degli articoli 56 e 57 per la riduzione del numero dei parlamentari (voluta dai 5S con il sostegno del Pd). Può essere punto di riferimento per la difesa della costituzione il pd, l’artefice principale delle sue manomissioni?1.
Non solo ma, entrando più nel merito delle questioni attuali, nello stesso articolo si aggiunge che se
la barbara Meloni si fa garante della scelta atlantica soprattutto per quanto riguarda il sostegno armato all’Ucraina, anche Letta è schierato con la Nato sostenendone le politiche militari, e il voto sul Trattato di adesione della Svezia e della Finlandia ha visto il Pd e il centrodestra votare insieme a favore […] Dunque la lesione dell’art.11, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, è compiuta sia dalla barbara Meloni sia dal progressista e democratico Letta. E il Pd ha in mano la società di produzione di armamenti Leonardo, guidata da Alessandro Profumo e da altri suoi iscritti, ch e propongono politiche aggressive di difesa e potenziamento dello strumento militare2.
E concludendo poi ancora che se
la barbara Meloni vuole il semipresidenzialismo alla francese […] si prenda la proposta di legge costituzionale AC224 e si troverà scritto che «la presente proposta di legge costituzionale si prefigge di superare il previsto stallo del sistema dei partiti chiudendo la transizione italiana e prendendo come riferimento il modello francese nella sua integralità (sistema elettorale e forma di governo». Dunque la barbara Meloni vuole il semipresidenzialismo alla francese che anche il democratico e progressista Ceccanti3, con altri del Pd vuole… 4.
Ora, tralasciando le quisquilie di ordine formale e costituzionale, considerato che qualsiasi carta costituzionale non è certo destinata all’eternità poiché al cambiamento dell’ordine sociale e politico deve per forza corrispondere un cambiamento delle leggi “fondamentali” che lo ispirano5, proviamo a considerare la questione fascismo/antifascismo da un più ampio punto di vista.
Non è affatto vero che il fascismo ci sia perché manca un governo capace di reprimerlo. E’ una turlupinatura far credere che la formazione di un governo di tale natura, e in genere lo sviluppo del rapporto tra l’azione dello Stato e quello del fascismo, possano dipendere dall’andamento delle cose parlamentari.
[…] Il governo forte e il fascismo forte sono per il proletariato uguali negli effetti: rappresentano il maximum della fregatura.
Poche delucidazioni a queste nostre asserzioni, contrapposte al gioco nauseante della «sinistra» politica che si elabora nei contatti osceni di Montecitorio, e alla quale rinnoviamo di tutto cuore la dichiarazione antica che essa ci fa mille volte più schifo di tutti i reazionismi, i clericalismi, i nazional-fascismi d’altra volta e di adesso.
Lo Stato borghese – la cui macchina effettiva non è nel parlamento ma nella burocrazia, nella polizia, nell’esercito, nella magistratura – non è affatto mortificato di essere scavalcato dall’azione selvaggia delle bande fasciste. Non si può essere contrari ad una cosa che si è preparata e che si sostiene: burocrazia, polizia, esercito, magistratura, sono per il fascismo, loro naturale alleato, indipendentemente dalla combinazione di pagliacci in feluca che reggono il potere.
Per eliminare il fascismo non è necessario un governo più forte dell’attuale. Basterebbe che l’apparato statale cessasse di sostenerlo con la sua forza […]
Noi comunisti non siamo così fessi da chiedere un “governo forte”. Se pensassimo che quello che chiediamo può essere conseguito,chiederemmo un governo veramente debole, che ci garantisse l’assenza dello Stato e della sua formidabile organizzazione dal duello tra bianchi e rossi6.
Il contesto della citazione è quello drammatico della guerra civile italiana, precedente alla marcia su Roma e alla presa del potere fascista, ma non per questo quelle parole non possono rinviare al dibattito fasullo di oggi. Dibattito in cui la solita sinistra liberal-democratica non ha neppure il coraggio di chiedere, seppur retoricamente, un’azione forte del governo contro il fascismo, ma soltanto ai rappresentanti dello stesso di cambiare il simbolo elettorale oppure di dichiararsi diversi da quel che sono.
Certo per la “sinistra” attuale, in particolare per il Pd, è facile chiedere agli avversari ciò che ha già fatto in casa propria, ripudiando qualsiasi riferimento alla lotta di classe, ma per la borghesia capitalistica, nazionale e internazionale, reazionaria o conservatrice, non lo è altrettanto. In fin dei conti la borghesia e il capitale non possono ripudiare se stessi e la propria forma Stato. Garante della proprietà privata e dello sfruttamento del lavoro salariato e sottopagato.
Una volta il blocco di sinistra si contrapponeva a quello della destra borghese perché il secondo manteneva l’ordine con mezzi coercitivi, e il primo si proponeva di mantenerlo con mezzi liberali. Adesso l’epoca dei mezzi liberali è finita, e il programma delle sinistre è quello di mantenere l’ordine con più “energia” della destra. Questa pillola dovrebbe essere fatta inghiottire ai lavoratori col pretesto che l’ordine è perturbato dai “reazionari” e che l’energia del governo l’assaggerebbero gli squadristi di Mussolini. Siccome il proletariato ha il compito di spezzarlo questo vostro maledetto ordine, per costruire il suo sulle rovine di esso, il suo peggior nemico è chi si propone di mantenerlo con maggior energia7.
Oggi, forse, la richiesta dello Stato forte, che pur non manca nel panorama attuale grazie alle politiche di progressiva concentrazione del potere nelle mani di tecnici mai eletti dai cittadini, è più sottilmente esposta, adombrandosi di manovre economiche, piani di ripresa e resilienza, di accordi sovranazionali che, apparentemente, sembrano spingere sullo sfondo il discorso dell’azione “forte” dello Stato “nazionale”. Nascondendo dietro alla questione dei “diritti” «un passo analogo a quello del neoliberismo che assorbe le spinte libertarie degli anni Sessanta e Settanta per ribadire l’ordine capitalistico. Il pensiero dominante diventa pensiero unico assimilando ciò che gli si oppone. Colonizzando completamente l’immaginario.»8
Un immaginario in cui il diritto individuale sopravanza qualsiasi esigenza di liberazione generale della classe e, conseguentemente, della specie. In cui l’“Io” idealizzato sottomette le esigenze collettive e in cui l’idea del “privato” distrugge qualsiasi esigenza comunitaria. Aprendo ulteriormente le porte, per converso, anche in certe sgangherate versioni dell’estrema sinistra, a tutte quelle rivendicazioni, tipiche del fascismo e delle destre tendenti a inserire/soddisfare l’individuo, emarginato e impoverito, negli schemi della Nazione “sovrana”, della Patria, della Razza, della Proprietà “privata” e della Famiglia, patriarcale e indissolubile.
Non è certo pertanto nella pania dei “diritti” oppure in quella delle rivendicazioni a carattere nazionalistico che si può individuare lo strumento più efficace per combattere un fascismo di facciata che nasconde la profonda aderenza al Fascismo vero di gran parte dei partiti politici italiani e della loro forma Stato. Ereditata quasi integralmente dalla mancata reale “sconfitta” del Fascismo storico. Grazie, soprattutto, alle politiche messe in atto del CLN, tese più a impedire la svolta rivoluzionaria e anticapitalista che una parte della Resistenza portava con sé, più che a rifondare lo Stato repubblicano su nuove basi (e d’altra parte come si sarebbe potuto farlo senza negarne radicalmente il modo di produzione sul quale si fondava?). Anche se occorre, a questo punto, fare un salto indietro, fino al 1924.
Prima di tutto: l’origine del fascismo.
Ho ricordato che il movimento fascista è per la sua origine storica collegato ad una parte di quei gruppi che invocarono l’intervento italiano nella guerra mondiale.[…] Questo gruppo si era completamente identificato con la politica della concordia nazionale e dell’intervento militare […]
La crisi governativa in Italia è stata caratterizzata da qualcuno nel modo seguente: il fascismo rappresenta la negazione politica del periodo durante il quale predominava da noi una politica borghese liberale e democratica di sinistra. Esso è la forma più aspra di reazione contro la politica di concessione attuata da Giolitti ecc. nel dopoguerra. Noi siamo invece dell’avviso che fra questi due periodi esista un legame dialettico: che l’atteggiamento originario della borghesia italiana durante la crisi in cui il dopoguerra precipitò lo Stato, non fu se non la naturale preparazione del fascismo.
[…] Siamo così giunti ad un punto in cui fascismo e democrazia si incontrano. Il fascismo ripete in sostanza il vecchio giuoco dei partiti borghesi di sinistra e della socialdemocrazia, cioè chiama il proletariato alla tregua civile.[…]
A base di tutto ciò sta ovviamente lo sfruttamento dell’ideologia nazionalistica e patriottica. Non si tratta di qualche cosa di completamente nuovo. Durante la guerra, nell’interesse nazionale, la formula della sottomissione di tutti gli interessi particolari all’interesse generale dell’intero paese era già stata ampiamente utilizzata.
Il fascismo riprende dunque un antico programma della politica borghese, ma questo programma appare in una forma che in un certo senso riecheggia il programma della socialdemocrazia e che d’altra parte contiene qualcosa di veramente nuovo […]
Il fascismo vorrebbe conciliare e fare tacere tutti i conflitti economici e sociali all’interno della società. Ma questa non è che l’apparenza esterna. In realtà, esso cerca di realizzare l’unità all’interno della borghesia, una coalizione fra gli strati superiori delle classi possidenti in cui esso appiani i contrasti singoli fra gli interessi dei diversi gruppi della borghesia e delle diverse aziende capitalistiche.
[…] Ma, in tal modo, si irretisce in una contraddizione insolubile, perché è estremamente difficile attuare una politica unitaria della classe borghese finché le organizzazioni economiche dispongono di una completa libertà di sviluppo e finché vige una completa libertà di concorrenza fra i singoli gruppi di imprenditori. […]
Ma, nell’insieme, il suo programma sociale non è null’altro che il vecchio programma di menzogne democratiche, che rappresenta solo un’arma ideologica per il mantenimento del dominio della borghesia.
Il fascismo è molto rapidamente – prima ancora della presa del potere – divenuto “parlamentare”; ha governato per un anno e mezzo senza sciogliere la vecchia Camera che in grande maggioranza era composta di non fascisti e, in parte addirittura di antifascisti. Con la flessibilità che è una caratteristica dei politici borghesi questa Camera si è affrettata a mettersi a disposizione di Mussolini per legalizzare la sua posizione e concedergli tutti i voti di fiducia che a lui piacque di chiedere. Lo stesso primo gabinetto Mussolini – ed egli, nei suoi “discorsi di sinistra”, vi ritorna sempre – non fu costituito su basi puramente fasciste, ma abbracciò rappresentanti dei più importanti fra gli altri partiti borghesi: dal partito di Giolitti, dei Popolari, della sinistra democratica. Si trattava, dunque, di un governo di coalizione. Ecco cosa ha partorito il cosiddetto colpo di Stato! Un partito che nella Camera contava 35 deputati ha preso il potere e ha occupato la grande maggioranza dei posti di ministro e sottosegretario9.
A partire da queste prime considerazioni, è chiaro che anche l’antifascismo di cui troppo spesso si parla, soprattutto in tempi di elezioni, può assumere forme e contenuti diversi, quasi sempre solo di facciata, niente affatto conciliabili tra di loro.
Il proletariato è antifascista in base alla sua coscienza di classe; esso vede nella lotta contro il fascismo una poderosa battaglia destinata a capovolgere radicalmente la situazione e a sostituire la dittatura della rivoluzione alla dittatura del fascismo. Il proletariato vuole la sua vendetta, non nel senso banale e sentimentale della parola; vuole la sua vendetta in senso storico.
Il proletariato rivoluzionario capisce per istinto che al fatto dell’aumento e del predominio delle forze della reazione si deve rispondere col fatto della controffensiva delle forze di opposizione; il proletariato sente che solo attraverso un nuovo periodo di dure lotte e – in caso di vittoria – attraverso la dittatura proletaria lo stato di fatto potrà essere radicalmente cambiato. Il proletariato aspetta questo momento per restituire all’avversario di classe, con un’energia decuplicata dalle esperienze, i colpi che oggi è costretto a subire.
L’antifascismo dei ceti medi ha un carattere meno attivo. Si tratta, è vero, di una forte e sincera opposizione, ma alla base di questa opposizione è un orientamento pacifista: si vorrebbe con tutto il cuore ristabilire in Italia una vita politica normale, con piena libertà di opinione e discussione… ma senza colpi di manganello, senza impiego della violenza. Tutto deve tornare alla normalità, sia i fascisti che i comunisti devono avere il diritto di professare le loro convinzioni. È questa l’illusione dei ceti medi, che aspirano ad un certo equilibrio delle forze e della libertà democratica.
Anche nella borghesia in senso stretto regnano oggi dei dubbi sull’opportunità del movimento fascista. Si nutrono delle preoccupazioni, di cui i due citati organi di stampa (“Corriere della Sera” e “La Stampa” – NdR) sono, fino a un certo punto, i portavoce. Essi si chiedono: è questo il metodo giusto? Non è esagerato? Nell’interesse dei nostri scopi di classe noi abbiamo creato un certo apparato che doveva rispondere ad alcune esigenze. Ma non andrà esso oltre le funzioni che gli attribuivamo e gli scopi che ci prefiggiamo? Non sarà costretto a far più di quanto è bene? Gli strati più intelligenti della borghesia italiana sono per una revisione del fascismo e dei suoi scantonamenti reazionari, per timore che questi portino necessariamente ad una esplosione rivoluzionaria. Naturalmente, è nell’interesse espresso dalla borghesia che questi strati della classe dominante conducano nella stampa una campagna contro il fascismo per ricondurlo sul terreno della legalità, per farne un’arma più sicura e flessibile dello sfruttamento della classe operaia10.
Continuando poi con le seguenti considerazioni, svolte a seguito dell’assassinio di Giacomo Matteotti:
l’opposizione borghese considera l’intera questione come un fatto giudiziario, come una questione di morale politica […] Per noi, al contrario, si tratta di una questione politica e storica, di una questione di lotta di classe […] Bisogna dichiarare apertamente che solo l’azione rivoluzionaria del proletariato può liquidare una situazione simile; una situazione che […] non può più essere sanata con puri provvedimenti giudiziari, col ristabilimento filisteo della legge e dell’ordine. A tale scopo è invece urgente la distruzione dell’ordine esistente, un capovolgimento completo che solo il proletariato può condurre a termine.
[…] All’ordine del giorno è anche la questione del giudizio del fascismo italiano da parte della opinione pubblica internazionale, della campagna di propaganda condotta contro di esso dai paesi civili. Si crede addirittura di vedere nell’indignazione morale della borghesia degli altri paesi un mezzo per liquidare il movimento fascista.
I comunisti e i rivoluzionari non possono abbandonarsi a questa illusione sulla sensibilità democratica e morale della borghesia degli altri paesi. Anche là dove oggi si presentano ancora tendenze pacifistiche e di sinistra, domani il fascismo sarà usato senza scrupoli come metodo di lotta di classe. Noi sappiamo che il capitale internazionale può solo rallegrarsi delle imprese del fascismo in Italia, del terrore che esso esercita laggiù contro operai e contadini.
Per la lotta contro il fascismo […] si tratta di una questione di lotta di classe. Noi non ci rivolgiamo ai partiti democratici degli altri paesi, alle associazioni di idioti e di ipocriti come la Lega per i diritti dell’uomo, perché non vogliamo fare sorgere l’illusione che si tratti per essi di qualche cosa di sostanzialmente diverso dal fascismo, o che la borghesia degli altri paesi non sia in grado di preparare alla sua classe operaia le stesse persecuzioni e di compiere le stesse atrocità che il fascismo in Italia11.
E’ un chiaro richiamo alla necessità della lotta quello che il rappresentante del PCd’I espone nella sua relazione sul Fascismo e sui modi per combatterlo, che anticipa di vent’anni le modalità espresse poi dalla spontanea Resistenza degli oppressi e dei militari tornati dai fronti bellici. Come ad esempio esprimeva benissimo Nuto Revelli, nel suo diario della campagna di Russia12: «Cialtroni! Più nessuno crede alla vostre falsità, ci fate schifo: così la pensano i superstiti dell’immensa tragedia che avete voluto. Le vostre tronfie parole vuote non sono che l’ultimo insulto ai nostri morti. Raccontatela a chi la pensa come voi: chi ha fatto la ritirata (di Russia – NdR) non crede più ai gradi e vi dice: Mai tardi…a farvi fuori!»13
Certo, la lotta è possibile solo con la partecipazione delle masse. La gran massa del proletariato sa molto bene che la questione non può essere risolta con l’offensiva di una avanguardia eroica. Questa è una concezione ingenua […] Non è così facile fare la rivoluzione!
Noi siamo assolutamente convinti dell’impossibilità di intraprendere la lotta con qualche centinaio o qualche migliaio di comunisti armati. Il P.C. d’Italia è l’ultimo ad abbandonarsi a simili illusioni. Siamo fermamente convinti della necessità inderogabile di attirare nella lotta le grandi masse. Ma l’armamento è un problema che può essere risolto solo con mezzi rivoluzionari […] Ma dobbiamo liquidare l’illusione che una manovra qualsiasi ci metta un giorno in condizione d’impadronirci dell’apparato tecnico e delle armi della borghesia, cioè di legare le mani ai nostri avversari prima che passiamo all’attacco contro di essi.
Combattere questa illusione che spinge il proletariato alla pigrizia in senso rivoluzionario non è terrorismo […] Noi non diciamo affatto che siamo dei comunisti “eletti” e che vogliamo sconvolgere l’equilibrio sociale con l’azione di una piccola minoranza. Al contrario, vogliamo conquistare la direzione delle masse proletarie, vogliamo l’unità di azione del proletariato; ma vogliamo anche utilizzare le esperienze del proletariato italiano che insegnano che delle lotte sotto la direzione di un partito non consolidato – anche se di massa – o di una coalizione improvvisata di partiti portano necessariamente alla sconfitta. Vogliamo la lotta comune delle masse lavoratrici nelle città e nella campagna, ma vogliamo la direzione di questa lotta da parte di uno stato maggiore con una linea politica chiara, cioè del partito comunista.
Questo il problema che ci sta di fronte14.
Ieri come oggi il soggetto antagonista non può affidarsi alle promesse elettoralistiche e alle chimere parlamentariste per sconfiggere il suo avversario, sia che si nasconda sotto le spoglie di Giorgia Meloni che di Letta, Salvini, Renzi, Calenda, Berlusconi, Di Maio o altri ancora. Compresi i «sinistri» che accampano ancora motivi tipici del Fascismo e del Nazionalismo, quali Sovranità e Nazione, in un paese in cui più che la difesa dei confini sarebbe necessario farla finita una volte per tutte con il capitale e i suoi scherani. In divisa militare o in abito grigio da parlamentare che siano.
Strategia perdente, quella dell’attuale “antifascismo” da elezioni, che spinge i giovani a doversi accontentare del piagnisteo ipocrita di “Repubblica” del 21 settembre sulle manganellate distribuite a Palermo dalle forze del dis/ordine sui contestatori del comizio di Giorgia Meloni, dimenticando però che proprio quel giornale rappresenta una delle voci più autoritarie nei confronti dei movimenti reali. Com il suo direttore, Maurizio Molinari ha ben dimostrato sempre nei confronti del Movimento NoTav, definito terrorista dallo stesso.
Mentre, solo per fare un esempio, il fatto che al sorgere di un movimento dal basso e concreto nelle istanze, come quello rappresentato nel Regno Unito da «Don’t Pay» che ha raccolto in poco tempo più di centomila aderenti, che potrebbero diventare un milione, intorno a una richiesta fondamentale, ovvero «la riduzione delle bollette energetiche a un livello accessibile», il governo “conservatore” di Liz Truss ha dovuto rispondere con un provvedimento del valore compreso tra i 150 e i 200 miliardi di sterline indirizzato al contenimento del caro-bollette per i prossimi 24 mesi.
Anche se tale provvedimento si è reso necessario prima di tutto per fornire un aiuto alle aziende, è chiaro che il potenziale pericolo rappresentata dal movimento, sul piano della lotta di classe, ha costituito uno dei fattori chiave per una svolta in tal senso. Considerato anche, come ha affermato Salvatore Toscano su «L’indipendente», che: «L’iniziativa, come si legge sul sito, ricalca un’idea realizzata nel Regno Unito alla fine dello scorso millennio, quando 17 milioni di persone si rifiutarono di pagare la Poll Tax, contribuendo alla caduta del governo e all’inversione delle sue misure più dure».
Insomma, la lotta concreta dal basso è l’unica che paga e, talvolta, può essere addirittura sufficiente che il suo spettro si aggiri per l’Europa15.