Scup: la rigenerazione urbana non si sgombera

di Luca Cangianti

Nella saga del Sole dell’avvenire, Valerio Evangelisti parla di luoghi chiamati “cameracce”. Create originariamente dal partito repubblicano, nel XIX secolo permettevano agli operai e ai braccianti emiliano-romagnoli di bere e mangiare a prezzi economici, di disporre di un luogo d’incontro dove discutere oppure fare una partita a carte dopo il lavoro. Un personaggio di quell’opera letteraria arriva perfino a immaginare che quei capannoni possano costituire l’embrione di una società futura.
Più di recente, qualcosa di simile accadde negli anni novanta dello scorso secolo, quando in alcuni dibattiti di movimento i centri sociali furono considerati, forse ottimisticamente, possibili veicoli della ricomposizione di classe in epoca postfordista.
In una città come Roma, oggi è difficile dire se questi luoghi, sottratti alla speculazione edilizia e destinati alla socialità, abbiano le stesse funzioni politiche ipotizzate nel passato. Di certo sono un argine alla crescente alienazione urbana del produci-consuma-crepa. Organizzano presentazioni di libri, iniziative culturali, corsi d’italiano, d’inglese, di yoga, laboratori di cucina, ripetizioni, gruppi di acquisto solidale; mettono a disposizione luoghi di coworking, di studio per gli studenti, spazi per le riunioni delle associazioni della società civile; recuperano le memorie storiche dei territori creando immaginari condivisi.

Scup – Sport e cultura popolare è uno di questi luoghi. Sorge in un vecchio magazzino ortofrutticolo in via della Stazione Tuscolana 84. Lo avevo visitato lo scorso dicembre quando rischiava lo sgombro. Poi la mobilitazione degli attivisti e delle attiviste aveva ottenuto una proroga per trovare una soluzione senza disperdere la ricchezza sociale e umana di questa esperienza. Adesso si trova nuovamente in una situazione d’emergenza: il 31 ottobre è la nuova data entro la quale i locali dovrebbero essere restituiti alla proprietà.


Il 14 ottobre si è svolto un incontro con le istituzioni che hanno ipotizzato una soluzione transitoria di trasloco in altri quartieri della periferia romana. «Pensare che un’esperienza come Scup possa essere trasportata in un altro quartiere senza distruggere i legami sociali creati con il territorio negli anni – afferma Sofia – la dice lunga sulla mancanza di comprensione del lavoro che svolgiamo.» Gli attivisti e gli abitanti del quartiere sono riuniti in circolo, una bambina gioca per terra silenziosa. «Qualcuno mi deve spiegare perché si cerca di confinare gli spazi sociali sempre e unicamente in quartieri periferici, difficilmente raggiungibili». Chi parla è Mohammed della Rete G2: «Sembra quasi che si voglia marginalizzare i soggetti che li animano.» Interviene Giuseppe di CAIO: «Con la Delibera di approvazione del nuovo “Regolamento sull’utilizzo dei beni immobili di Roma Capitale per finalità d’interessa generale”, la Giunta di Roma Capitale ci tratta alla stregua di aziende private in concorrenza fra loro per l’aggiudicazione degli spazi. Tuttavia occupare edifici abbandonati e rigenerarli, realizzando luoghi di cultura, socialità, sport e partecipazione, è previsto dall’articolo 42 della Costituzione». Si tratta di un passaggio in cui la legge fondamentale cerca di armonizzare il diritto alla proprietà privata con gli interessi generali della società. Veronica di Libera dichiara apertamente di fare un intervento di pancia: «La città sta diventando un deserto per chi non si riconosce nelle logiche commerciali». Scatta l’applauso. Alessandro di Esc, un’altra realtà romana sotto attacco, si chiede se una vertenza per una nuova versione del regolamento possa essere un grimaldello capace di rilanciare la lotta contro la falsa rigenerazione urbana. Si riferisce alle politiche di gentrificazione e di messa a profitto delle stesse esperienze sociali attraverso la concorrenza dei soggetti commerciali.

Secondo alcuni attivisti, i punti più pericolosi sono quelli che prevedono: l’assegnazione in concessione a canone ridotto al 20% alle startup, parificando organizzazioni for profit e realtà che perseguono interessi rilevanti per la collettività; la possibilità di assegnazione dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile a soggetti commerciali; il passaggio dei beni dal patrimonio indisponibile al patrimonio disponibile nel caso in cui l’attività svolta dal soggetto commerciale sia talmente lontana dal perseguimento del pubblico interesse da rendere illegittima l’assegnazione di un bene in regime di patrimonio indisponibile; l’assegnazione temporanea in regime transitorio solo a condizione che siano saldati i canoni arretrati, senza prevedere esplicitamente l’annullamento in autotutela degli atti amministrativi illegittimi.

Molti interventi portano la solidarietà di altri spazi come la Casa delle donne Lucha y Siesta, il Csoat “Auro e Marco”, la Laboratoria Ecologista “Berta Cáceres”, Black Lives Matter di Roma. In rete gira un appello che è possibile firmare, ma la promessa più concreta che emerge da quel circolo di persone è di non mollare. Io me ne sto seduto in fondo. Osservo i volti e non colgo alcun segno di rassegnazione.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento