Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org
Ebbene sì, parliamo del grande totem, la “proprietà privata”, infrangendo un grande tabù.
Che la proprietà fosse un furto già lo scrisse Proudhon nel 1840, riferendosi ai grandi proprietari terrieri ed ai capitalisti di allora.
Se potessimo obiettivamente misurare la concentrazione delle ricchezze in Europa e nel mondo negli ultimi 2 o 3 secoli (indice di Gini), quale trend osserveremmo visti gli sconvolgimenti economici prodotti dalle rivoluzioni industriali e sociali nella storia moderna, compresa la travolgente controreazione neoliberista degli ultimi decenni? Temo che dovremmo aspettarci un trend di crescita delle sperequazioni economiche, come in effetti si può osservare in innumerevoli casi locali, nonostante un generale miglioramento medio delle condizioni di vita grazie anche ai progressi tecnologici, almeno tra i popoli privilegiati del pianeta. Non si confonda il valore opinabile della ricchezza di ciascuno con la distribuzione misurabile della stessa tra gli umani.
Teniamo anche in considerazione che la popolazione mondiale è aumentata di 8 volte negli ultimi 2 secoli, e la potenza tecnologica è cresciuta molto di più, anche come capacità di produrre beni di consumo di massa, che rappresentano un’enorme ricchezza distribuita. Non è perciò difficile intuire perché le proprietà private accumulate da un’esigua minoranza di persone fisiche, che in una qualche forma controllano la catena di produzione e distribuzione dei consumi di massa, siano schizzate alle stelle, in una folle corsa che è ben lungi dal mostrare segni di rallentamento, anzi è in piena crescita esponenziale.
Il “non rubare” è una delle prime leggi morali, laiche e religiose, delle società civili, con tanto di codici penali che trattano in modo differenziato il reato di furto a seconda delle sue varianti di specie. Tali codici condannando l’insano gesto in linea di principio, senza tuttavia operare significative distinzioni che tengano conto ad esempio del valore rubato e delle condizioni sociali del reo e della sua vittima. Ma cosa assai più grave senza contemplare i furti più subdoli e nascosti, laddove le vittime non si rendono neppure conto del maltolto, che appare talvolta come conseguenza logica di un contratto legale per quanto illegittimo, sottoscritto incautamente o per forza, o il più delle volte neppure sottoscritto e del tutto ignorato dalla vittima.
In altri termini il potere costituito tutela la proprietà privata distinguendo per gravità alcuni modi di appropriazione indebita, cioè contraria alla legge per definizione, senza però esaurire il campo vasto e sfuggente delle mille possibili forme d’illegittimità nell’atto di appropriazione.
In effetti i confini sfumati tra appropriazione di beni legittima e indebita andrebbero meglio indagati dal diritto, anche alla luce delle molteplici opportunità economiche offerte dall’uso delle nuove tecnologie.
Ad esempio le leggi vigenti consentono la libera speculazione finanziaria ma puniscono i reati di insider trading ed aggiotaggio, che sono azioni di contorno alla speculazione stessa. Al contempo però ignorano altre forme di speculazione sleale anche più efficaci, in grado di alterare l’economia generale, come l’high frequency trading e il trading automatizzato tramite intelligenza artificiale, o più semplicemente la vecchia ma sempre efficace supremazia nella capacità di controllo del gioco d’azzardo da parte del banco rispetto ai piccoli giocatori occasionali, che favorisce enormemente il banco, cioè la banca che gestisce i mercati finanziari. Una capacità di manipolazione notevolmente ampliata dall’esplosione di nuovi prodotti finanziari derivati e strutturati, talvolta così complessi da essere incomprensibili agli stessi funzionari della banca che li propone, e li gestisce nel contesto di speciali mercati non regolamentati.
Ma non c’è solo il mondo della finanza a fare un’enorme differenza col passato nelle tecniche di appropriazione privata di grandi ricchezze.
Guardiamo ad es. all’esplosione del settore Hihg Tech anche solo nel campo dell’informatica.
Sono nate dal nulla grandi e fiorenti società come Google, Microsoft, Apple, Facebook, YouTube, Twitter, Amazon, airbnb, ecc. ecc. Tutte finalizzate a consumi di massa globali e generalmente facenti capo ad una singola persona fisica, divenuta plurimiliardaria e dotata di capacità decisionali strategiche. Non stiamo ora ad indagare l’entità dei meriti/demeriti di tali figure geniali, o la vera natura delle loro posizioni di potere all’interno dell’elite dominante, quanto piuttosto le opportunità di creare e concentrare enormi ricchezze in tempi brevi, a fronte delle enormi masse di utenti che tendono invece ad impoverirsi. E parallelamente la realizzazione di strumenti tecnologici di controllo sulle abitudini e i gusti di tali masse umane, dalle quali estrarre crescenti ricchezze, anche orientandole secondo convenienza tramite l’illusione di nuove libertà d’azione più o meno virtuali, mentre, per altra via indiretta, vengono in realtà sottratte loro le libertà fondamentali.
Si possono estendere esemplificazioni simili negli esiti finali a tutti i settori che comportano consumi di massa, con dinamiche anche più inquietanti come ad es. nell’industria sanitaria e militare per i nefasti effetti collaterali che comportano, o nel campo dell’istruzione, dell’informazione e dell’intrattenimento per la potenza che dimostrano nel plasmare il consumatore “ideale”, quello obbediente e passivo che digerisce tutto, qualsiasi cosa gli si propini nel modo più opportuno.
La cosa più agghiacciante è che tutte queste forme di creazione ed estrazione concentrata di ricchezza diventano rapidamente sinergiche tra loro, condividendo lo scopo ultimo fino a formare un sistema unico, e di conseguenza totalitario nei modi e nelle forme reali, per quanto ammantate da bei principi solo apparenti, secondo propaganda e pensiero unico che non ammette contraddittorio, censurato ove necessario per non turbare il sonno delle masse ipnotizzate.
Questa è l’unica strategia che può esprimere un tale sistema avariato, quella dell’autoconservazione, radicalizzando i suoi metodi violenti e disumani fino ad un punto di rottura, che dipende solo da noi, dal nostro giudizio che c’impone di dire “basta!”, individualmente e poi collettivamente.
Loro hanno la forza e i numeri dei soldi morti creati dal nulla, noi abbiamo la forza e i numeri delle persone vive con la loro storia, non possiamo perdere la partita.
Questo multiforme processo di estrazione di ricchezza dal basso verso l’alto, in una concezione piramidale della società, non identifica classi sociali ben caratterizzate come in passato, bensì strati orizzontali distinti per capacità di spesa, inversamente proporzionale alla popolosità di ciascuno strato. Tali fasce reddituali sono composte da personalità variegate, che non si riconoscono come appartenenti ad una classe sociale univoca ben identificabile, poiché oltre al livello strettamente economico non condividono necessariamente altre peculiarità esistenziali e culturali, se non il senso di alienazione e di solitudine indotti dal sistema consumistico. Perciò stentano ad unirsi nell’azione, anche quando individualmente maturano il bisogno di reagire, raggiungendo percentuali significative. E poi reagire come, con quali forze rispetto alla schiacciante forza “fisica” compatta di un sistema siffatto, trasversale agli stessi Stati? La nostra forza disponibile in quantità sufficiente è quella della ragione. Una forza che non conosce steccati ne tabù, quando si basa su fatti reali.
Facciamo un esempietto comparativo teorico, schematizzato all’osso, oltre l’ingenuo. Immaginiamo due navi nella tempesta, una di pirati abituati a vivere di rapine e l’altra di brava gente abituata a vivere del proprio lavoro. Entrambe le navi naufragano sulle coste di due isole deserte ma ospitali, l’isola A e l’isola B, ben separate tra loro, nel cuore di un oceano impraticabile da piccole imbarcazioni rudimentali. Che accadrà dopo un tempo abbastanza lungo?
Nell’isola A i pirati si organizzano al meglio per soddisfare i propri bisogni, creando fattorie, ognuna dedicata alla produzione di un diverso genere di beni e servizi utili a tutti. Il capitano controlla tutta l’isola, assicurando scambi reciproci dei prodotti delle fattorie, in modo che ciascuno abbia un po’ di tutto ciò che gli occorre per vivere. In ognuna di queste fattorie, dopo feroci lotte interne, s’impone un capo che mantiene l’ordine con la forza, ma si prende la metà delle ricchezze prodotte e scambiate con le altre fattorie. In realtà un decimo del proprio tesoretto lo deve conferire al capitano, come fanno anche gli altri capi-fattoria. Alla fine chi lavora e produce con fatica stenta a campare, mentre il capitano e i suoi capi-fattoria vivono nel lusso privatistico e passano il tempo a consolidare la loro forza dominante sui mercati e sulla marmaglia.
Nell’isola B si organizzano anche loro per fattorie, ma si scambiano ordinatamente merci e servizi nel mercato generale aperto a tutti, dove nessun intermediario si prende la tangente e non c’è bisogno di imporre alcunché con la forza, salvo casi di trasgressione veramente sporadici. Alla fine vivono tutti dignitosamente e serenamente, in un’economia cooperativa prima che competitiva, dove l’unico intermediario, ove fosse funzionalmente necessario, è interpretato da una funzione pubblica dedicata, senza scopo di lucro.
In entrambi i casi è tutto legale, cambiano solo i codici della legge locale.
Nell’esempio del pianeta Terra pirati e brava gente vivono invece mescolati, e abbiamo visto come è andata a finire. Eppure la brava gente è il 99,99% della popolazione totale. O meglio lo sarebbe se non dominasse la forza corruttrice dei pirati che hanno conquistato con l’astuzia, l’inganno e la violenza i vertici del potere.
E’ una guerra culturale e spirituale, tra ideologie pessimistiche e violente, del tipo “homo homini lupus” e ideologie ottimistiche e pacifiche, dove prevale l’amore per sé stessi, per il prossimo e per la natura.
E’ così difficile da capire da che parte è giusto ed è meglio stare? Teniamo conto però che questo braccio di ferro tra un passato istintuale aggressivo e un futuro animico collaborativo è una guerra che si combatte nelle profondità di ogni essere umano da millenni, con alterne fortune ma con una tendenza evolutiva netta, che però richiede in questo rischiosissimo frangente storico un particolare sforzo finale per non soccombere ad una fine della storia veramente ingloriosa, direi offensiva per gli antenati, oltre che per la nostra stessa natura umana che ci ha condotti fin qui, ad un passo dalla salvezza in una nuova era di luce.
Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org
29.10.2022
Alberto Conti. Laureato in Fisica all’Università Statale di Milano, docente matematica e fisica, sviluppatore software gestionale, istruttore SAP, libero pensatore, collaboratore di Giulietto Chiesa, padre di famiglia, appassionato di filosofia, psicologia, economia politica, montagna, fotografia, fai da te creativo, sempre col gusto alla risoluzione dei problemi.