di Gioacchino Toni
Il supereroismo nella cultura di massa, con il suo portato di paradigmi ideologici e apparati normativi e comportamentali è stato indubbiamente a lungo rivolto al solo universo maschile. I supereroi della Golden Age, con tutte le loro virtù ed eccellenze, sono stati per parecchio tempo predisposti all’identificazione da parte di uomini desiderosi di riscatto, tanto che si trattasse, negli Stati Uniti dei primi anni Quaranta, di supereroi come Capitan America intenti, patriotticamente, a combattere lontano da casa, o come Superman e Batman, occupati a fronteggiare il crimine in patria. Solitamente si è trattato di esseri umani dotati di una mission non di per sé già dotati di superpoteri; questi ultimi sono stati frequentemente acquisiti grazie a qualche imprevisto con cui si sono trovati, “destinati”, a fare i conti.
L’immaginario dei primi decenni del Novecento, sostiene Francesco Milo Cordeschi, Wonder Woman. Un’Amazzone tra noi (Armillaria 2021), era già disseminato da numerose figurazioni femminili, pur trattandosi spesso di donne incarnanti ruoli di sante o streghe. Pian piano le figure femminili si sono appropriate di elementi sino ad allora prettamente mascolini senza che ciò pregiudicasse la loro immagine di femminilità, almeno così come si era andata delineando nel tempo in un immaginario comunque strutturato al maschile.
Ad inizio Novecento il racconto di Max Eastman, Child of the Amazons, and Other Poems (1913), offre un richiamo esplicito all’universo amazzone narrando il difficile rapporto tra un uomo e un’Amazzone. Poco dopo il romanzo di Ines Hayes Irwin, Angel Island (1914), si è concentrato sull’incontro di cinque naufraghi con donne «superumanamente belle» abitanti dell’isola su cui sono approdati. «A metà del ‘900 il terreno è fertile: gli uomini, i piccoli Capitan America del mondo anglofono, stanno per imbracciare le armi e combattere un nemico fisico, reale; alle donne spettano nuove forme di aggregazione e rappresentanza».
Sulle pagine di “All-Star Comics” nel 1941 fa la sua comparsa Supreme – The Wonder Woman, poi semplicemente Wonder Woman, destinata fino al 1951 a essere il personaggio di maggior rilievo del mensile “Sensation Comics”. Insomma, si può dire che, finalmente, una donna ha «fatto irruzione nella Terra degli Uomini».
Nell’album di esordio la nuova eroina viene presentata attraverso il fortuito incontro che viene ad avere con un giovane e intrepido aviatore dell’esercito statunitense che, in avaria, precipita su un’isola abitata da amazzoni. Un rappresentante della Terra degli Uomini viene a contatto con l’isola delle Amazzoni chiamata Paradiso, curiosamente situata nell’inesplorato Triangolo del Diavolo, quasi a suggerire la presenza di un paradiso (al femminile) in quell’universo indicato (dagli uomini) come diabolico in quanto a loro sconosciuto.
Innamoratasi dell’aviatore, la principessa delle Amazzoni, non esiterà ad abbandonare il suo paradiso per seguire il giovane nella Terra degli Uomini e lo fa con un costume che riprende i colori e i simboli statunitensi segnalando così l’adesione ai suoi valori che si appresta a servire. «Tenacia, empatia, misericordia, prestanza fisica e senso di giustizia: l’equipaggiamento della nostra Wonder Woman riscatta senz’altro anni di incondizionata eccellenza supereroistica maschile. È comunque paradossale che ciascuna delle sue virtù, alla resa dei conti, venga messa al servizio di un bisogno maschile: la guerra». Per diversi episodi la nuova eroina finisce per dare il suo sostegno alle avventure spionistiche dell’aviatore.
«La bizzarra fusione tra modernità e canone è già insita nelle atmosfere dei primi episodi di Wonder Woman. L’isola Paradiso ne è l’indubbia riprova grafica: un’utopia femminista, vagamente debitrice dell’immaginario alla Herland, in cui alcune delle donne più celebrate della tradizione occidentale, le Amazzoni, forgiano un idillio di coesione sociale e sviluppo scientifico. Paradiso è una Terradilei eccentrica. È un’eclettica manifestazione topografica del femminismo della prima ondata. Il suo assetto sociale sembra ammiccare a molte linee programmatiche di pensatrici come Sanger: democrazia diretta, economia sostenibile, razionalizzazione delle risorse primarie e controllo delle nascite».
Wonder Woman, a differenza dei supereroi maschili, non ha alcun passato burrascoso, né ha subito traumi particolari; le sue abilità sono ontologiche. «La sua forza sono le sue scelte. Prima fra queste c’è il suo espatrio volontario: il passaggio da una dimensione deistica, iperurania e privilegiata, alla fragile umanità. Diana non fugge da un mondo in rovina. Nella sua isola prospera una rigogliosa vegetazione e diverse risorse naturali, non esiste indigenza né malattia, nessun odio, nessuna guerra». Quello che sta compiendo sembra piuttosto un viaggio, il viaggio di un’eroina.
«Diana è una principessa ribelle: regale e tenace, protagonista delle sue scelte e della sua storia. Porta Herland nella Terra degli Uomini. Li irradia del suo splendore, gli ricorda la ‘terra madre’ cui appartengono e i fantasmi da scongiurare per farvi ritorno». Si tratta, secondo Cordeschi, di uno «tra i più clamorosi sabotaggi culturali del contemporaneo. È una storia del femminismo e del femminile», tanto che la sua irruzione tra gli eroi su carta della Golden Age, destrutturò quel mondo dall’interno. «Obbligò a riflettere sul fatto che un altro eroismo era possibile: non solo perché poteva essere incarnato da una donna (fin troppo semplice come assunto), ma anche perché, per la prima volta, essere eroi, anzi, eroine poteva essere il prodotto di una scelta e non di un destino già scritto».
Eroina giunta sulla carta in apertura degli anni Quaranta del secolo scorso, quando l’Occidente si trovava a fare i conti con totalitarismi e patriottismi utili a celare contraddizioni irrisolte, il personaggio di Wonder Woman fonda le sue radici «nella rivalutazione teorica dei matriarcati, avvenuta dalla fine del XIX secolo, in cui il mito e l’immaginario delle Amazzoni tornava a essere menzionato. In questa provocatoria riproposizione, che glorificava una civiltà sorretta da donne guerriere, c’era probabilmente tutto il fervore della controstoria femminista. Le stesse Amazzoni incarnavano per i più la controstoria per eccellenza: una società strutturalmente alternativa al modello patriarcale». Inoltre, con l’arrivo della nuova eroina, sostiene Cordeschi, «la cultura di massa scopriva l’immaginario matriarcale contemporaneo che, forte ora di una visibilità su larga scala, si trovava a incassare un’inaspettata rivincita dopo lunghi anni di invisibilità».
«Come primo personaggio femminile di un format attrattivo come il supereroismo, Wonder Woman si trova a percorrere due crinali: agli uomini si presenta come una figura forte e primaria, capace di soddisfare i piaceri più reconditi e le aspettative amorose più inespresse; alle donne si propone, al contrario, come fulgente esempio di giustizia, leadership e carisma femminile. Quello tra Diana e il pubblico è un dialogo biunivoco, sottoposto a più sguardi e attenzioni. Gli eroi della Golden Age, come sappiamo, miravano a blandire trasversalmente le masse. La Donna Meraviglia di Marston e del disegnatore Peter è tra i primi esempi di quella stagione a tener conto dell’eterogeneità del pubblico; la sua influenza popolare interloquisce, cioè, con realtà ben definite e non più generiche: su tutte, come è ovvio, ci sono le donne nella società americana moderna durante il conflitto mondiale. I singoli albi non mancano inoltre di elementi figurativamente allusivi, spavaldi e non troppo curanti dell’autocensura». Altro elemento importante di alterità introdotti dall’eroina nella Golden Age è la sisterhood, il senso di sorellanza che traspare in diversi episodi.
Prima ancora che un’icona, sostiene Cordeschi, «Wonder Woman è una personalità dai forti connotati politici. Quest’aspetto, a mio avviso fondamentale, designa appieno la sua verve rivoluzionaria. Molte sue storie hanno come perno la ridiscussione dello spazio sociale. L’antinomia tra pubblico e privato aveva definito, per decenni, il binarismo di genere e l’isolamento della donna». A didderenza di quanto suggerisce l’immaginario “privato” di molte soap opera, per restare nell’ambito della cultura popolare, con «l’avvento della Guerriera Amazzone, il banco salta. Le donne esondano nel pubblico. Coese, possono adesso occupare nuovi luoghi di aggregazione e confronto. Possono essere presenti al loro tempo, protagoniste della loro storia».
Se il ruolo da pioniera del lesbismo e della cultura fetish di Wonder Woman «era già noto dalle sue prime avventure. Con l’ondata repressiva del dopoguerra, e l’imminente ritorno in patria degli uomini, la sua presenza comincia però ad essere più scomoda di quanto già non fosse», tanto da suggerire all’eroina di limitarsi maggiormente alla sfera privata.
Il volume ricostruisce dunque lo sviluppo del personaggio che ha dovuto fare i conti con gli attacchi più reazionari, soprattutto negli anni Cinquanta, al filone supereroistico e più in generale ai fumetti e, in epoca ancora più recente, con le trasformazioni dell’universo fumettistico che, nel corso degli anni Ottanta, da intrattenimento genuinamente popolare e per i lettori più piccoli è sembrato traslare verso lettori adulti e sofisticati.
Tra tentativi di riprendere il discorso interrotto, recuperando le origini dell’Amazzone, alla luce della ridefinizione del femminile nella società contemporanea, e interferenze hollywoodiane, il volume giunge a ricostruire anche la storia di Wonder Woman a cavallo del cambio di millennio cercando di recuperare quanto di eversivo ha saputo portare nell’immaginario occidentale ancora largamente mascolino.
«In fondo l’atto detonante di Wonder Woman fu proprio questo: cambiare prospettiva, ribaltare lo sguardo. Ottant’anni di storia non sono bastati a esaurire l’enorme complessità di un personaggio stratificato, dotato di più anime, pregno delle antinomie caratteristiche del ‘900 e del contemporaneo; un’eroina che, nella sua longevità anagrafica, continua a dialogare col presente, proponendo del passato il suo spirito più animoso: il conflitto (narrazioni e contronarrazioni che si battagliano, sintetizzano nuove visioni e destrutturano qualsiasi codice normato); i femminismi, d’altronde, questo sono stati, e questo sono».