È lì che è cominciato, è qui che finisce

Per la quinta volta in quattro anni i 6,8 milioni di aventi diritto al voto sono stati chiamati alle urne per eleggere i deputati del Parlamento israeliano. Ad essere esclusi, i quasi cinque milioni di palestinesi residenti tra West Bank e la Striscia di Gaza (oltre ai nove milioni di palestinesi in diaspora), che sono allo stesso tempo i principali destinatari delle politiche razziste portate avanti dalla Knesset e dai governi che si sono succeduti.

Gli scandali giudiziari di Benjamin Netanyahu, sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio, hanno portato uno stallo all’interno della politica israeliana. Dopo dodici anni consecutivi al potere, “Bibi” si è ritrovato per uno e mezzo all’opposizione, contro un’ampia coalizione liberale e centrista, che ha incluso per la prima volta anche un partito arabo, Raam.

In pochi mesi l’improbabile alleanza è naufragata e sono state indette nuove elezioni. I partiti arabi si sono sfaldati, mentre l’estrema destra del Partito sionista religioso è cresciuta esponenzialmente. Netanyahu ha trovato nelle forze di ispirazione kahanista l’alleato che l’ha riportato al trionfo.

Il risultato è oggi definitivo: il blocco di destra ha conquistato una maggioranza sicura di 64 seggi, due in più di quanto annunciato dai primi exit polls. La coalizione di governo si ferma a 51.

Supera lo sbarramento la lista araba Hadash-Ta’al che ottiene, da indipendente, 5 seggi alla Knesset. Seguendo una lezione tutta italiana, scompare dopo 30 anni la lista di sinistra Meretz che ottiene solo il 3,14%, una manciata di voti al di sotto della soglia minima del 3,25%. Fatali per il partito guidato da Zehava Galon sono stati il distaccamento sempre più netto dalle istanze popolari e l’appello al voto utile contro Netanyahu.

Ma il vero vincitore di queste elezioni non poteva che essere che Itamar Ben-Gvir, l’ago della bilancia che ha influenzato l’esito delle elezioni e che cambierà il volto dell’Occupazione per i prossimi anni. La lista Sionismo Religioso, terzo partito con 14 seggi conquistati, rappresenta l’ala più estrema e violenta dell’elettorato israeliano.

Solo poche settimane prima, Ben-Gvir si è palesato nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, armato di pistola, invitando alla violenza contro i palestinesi che si difendevano con lanci di pietre dalle numerose aggressioni dei coloni.

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Lo stesso Ben-Gvir è residente a Hebron in una colonia illegale ed è noto alle cronache per avere appeso in casa la gigantografia del terrorista colono statunitense Brooklyn Baruch Goldstein, che nel 1994 si è reso responsabile del massacro di 29 palestinesi che pregavano nella moschea Ibrahimi.

Gli stessi Stati Uniti hanno espresso una vaga preoccupazione per il carattere estremista che i gruppi più reazionari e anti arabi daranno al nuovo governo, sebbene al tempo stesso si siano congratulati con Netanyahu per il risultato raggiunto. Nonostante la sua riluttanza iniziale, diversi commentatori sono convinti che Bibi concederà a Ben-Gvir il ministero a cui ambisce da sempre, quello della pubblica sicurezza.

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Paradossalmente, l’anno scorso, pochi giorni dopo il lancio dell’operazione Guardian of the Walls a Gaza, il commissario di polizia Kobi Shabtai aveva accusato il deputato di essere il responsabile degli scontri che sono scoppiati a Sheikh Jarrah in seguito alla decisione di trasferire il suo ufficio parlamentare proprio del quartiere palestinese costantemente sotto minaccia. Qualora le previsioni dovessero avverarsi, lo stesso Shabtai sarà tenuto a fare rapporto all’estremista contro cui aveva puntato il dito solamente pochi mesi prima.

“Non poteva essere altrimenti”. Così Gideon Levy commenta l’esito delle elezioni israeliane in un duro editoriale pubblicato giovedì 3 novembre su Haaretz.

D’altronde nessuno dovrebbe essere sorpreso. Quanto accaduto in queste elezioni è il culmine di un processo iniziato con un’invasione militare violenta e che non poteva che concludersi con un governo razzista. Dopo decenni di violenze, di incitamento all’odio contro la popolazione palestinese, la legittimazione degli insediamenti illegali ecco che l’occupazione non si deve servire di vane giustificazioni come la lotta al terrorismo ma i tempi sono maturi per abbracciare il suo lato più autentico e violento, che oggi porta il volto di Ben-Gvir.

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I risultati di queste elezioni sono visibili da subito. Nella sola giornata di ieri sono stati uccisi cinque palestinesi, tra cui un militante del movimento islamista Jihadi a Jenin. La risposta da Gaza si è concretizzata la notte tra il 3 e il 4 novembre con il lancio di quattro razzi, tutti neutralizzati dall’Iron Dome, in direzione degli insediamenti israeliani. La rappresaglia israeliana non si è fatta attendere: in pochi minuti un pesante bombardamento è stato sganciato nella zona del campo profughi di Maghazi, al centro della Striscia. Secondo una nota diffusa dall’esercito israeliano si sarebbe voluto prendere di mira un sito di Hamas.

“Israele si è svegliato all’alba di un nuovo giorno, in cui tutti i balbettii e gli eufemismi sono diventati un ricordo del passato – continua Levy –. D’ora in poi, l’occupazione è proprio questo, e lo stesso vale per la supremazia ebraica in Israele. D’ora in poi, il sionismo sarà promosso al livello di razzismo palese. Ieri è stata ufficialmente dichiarata anche la morte della Linea Verde: l’occupazione è qui, ovunque. Da molto tempo Yesha sta facendo grandi passi avanti verso Israele, con il suo nazionalismo e fondamentalismo radicati, e in tutti questi anni nessuno si è alzato per fermarlo. Ora è troppo tardi, il trasferimento è stato completato”.

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