Italia, paese famoso in tutto il mondo per il suo cibo sopraffino ma soprattutto per la pasta e la pizza, che credo siano i piatti più conosciuti in assoluto a livello planetario.
L’orgoglio nazionale, il nostro tratto distintivo; poi però vai a vedere i paesi di origine del grano di marche di pasta italiane anche prestigiose e leggi improbabili nomi di paesi a migliaia di chilometri da qui. Ma come è possibile che l’orgoglio italiano sia un prodotto estero? È il mercato bellezza!
Costa meno fare arrivare il grano da chissà dove (e prodotto chissà come) piuttosto che produrlo noi. Quindi pizza e pasta sono in parte un orgoglio semmai internazionale, per cui se per qualche motivo non ci arrivano i rifornimenti dall’estero, addio ai nostri due più beneamati piatti.
Questo avviene perché, nella follia del mercato, l’agricoltura non è il mezzo di sostentamento che ci permette di vivere ma solo ed esclusivamente una merce che è sottoposta a schizofreniche leggi dove, se c’è una crisi internazionale come quella attuale fra Russia e Ucraina, mezzo mondo trema perché gli arrivano molti meno cereali prodotti ed esportati da questi due paesi.
E ciò accade perché nei vari paesi dove si potrebbe produrre cibo, conviene invece comprarlo a migliaia di chilometri di distanza. Sarà un sistema assurdo?
Ad assurdità si aggiunge assurdità se si pensa che una notevole parte dei cereali importati e prodotti serve a sfamare animali in una catena alimentare che è quanto di più inefficiente si possa concepire. In questo quadro negli ultimi periodi abbiamo sentito parlare molto di sovranità, anche alimentare. Un termine, quello della sovranità, che piace, peccato che nel concreto non si sappia nemmeno cosa significhi. Se poi ne parlano dei politici, oltre a non sapere di cosa parlano, non sarebbero mai in grado di realizzarlo, legati come sono mani e piedi alle varie multinazionali e lobby di riferimento.
Ma analizziamo la situazione specificamente se si volesse davvero puntare a una certa sovranità alimentare, senza dire solo stupidaggini sul tema. Attualmente poco più del 3% degli occupati è nel settore agricolo, cioè oltre un milione di persone che lavorano in un settore quasi tutto dipendente dalla chimica, quindi dai combustibili fossili. Già questo fa capire quanto la nostra sovranità sia un miraggio. Inoltre essere dipendenti dalle fonti fossili per il cibo significa essere debolissimi e in costante pericolo di scarsità di approvvigionamenti. Dati del genere dovrebbero fare correre subito a farsi un orto. Per avere poi una sovranità alimentare di una certa entità, come minimo dovremmo ritornare agli anni Sessanta, quando gli occupati erano dieci volte di più, quindi una decina di milioni di persone. Allora sì che si potrebbe parlare di sovranità alimentare e relativa sicurezza che il paese non piombi nella fame alla prima crisi internazionale.
Ma ce la vedete voi la politica (qualsiasi schieramento o partito) che incentiva il ritorno alle campagne? Ce la vedete voi la gente che in massa ritorna alla natura e si mette a coltivare nei più svariati modi alternativi ed efficaci rispetto a quelli fallimentari, inefficaci e inquinanti della chimica?
Diciamo che è assai improbabile ma inevitabile, se non altro per non dover tremare ogni volta che all’estero chi ha in mano la nostra vita e le nostre sorti chiuda i rubinetti di questo e quello.
Che mezzo mondo, Italia compresa, dipenda per una parte non indifferente del proprio cibo da uno o due paesi dimostra ancora una volta come il “progresso” sia una favoletta assai male raccontata e che non sta in piedi in nessun modo. Come può essere infatti credibile e sostenibile un sistema che permette che quasi un miliardo di persone faccia ancora la fame, mentre una cifra doppia di persone è sovrappeso o obesa e gli sprechi di cibo sono enormi? Il vero progresso e la vera sovranità iniziano dalle comunità che si saranno sapute organizzare e che reggeranno al crollo inevitabile di un sistema autodistruttivo, senza senso e senza valori.
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