Aborto e obiezione: un problema sanitario, giuridico e politico

Il tema del diritto all’aborto è un oggi più attuale che mai, soprattutto dopo l’ascesa di Giorgia Meloni a premier e la nomina di Eugenia Roccella a ministra per la Famiglia, le pari opportunità e la natalità. La ministra ha infatti esplicite e ultraconservatrici posizioni antiabortiste, omofobe e transfobiche. Diventa quindi fondamentale ed urgente continuare a parlare di questi temi: la legge 194 è stata un primo passo verso l’aborto libero, sicuro e gratuito, ma in tanti punti è limitata, e non è assolutamente sufficiente.

Uno di questi punti è sicuramente il famoso comma 9, in cui si regola la possibilità dell’obiezione di coscienza. Citando il testo:

“Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.

[…]

L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.

L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente.”

La possibilità per i ginecologi di essere obiettori di coscienza è la maggiore causa della difficoltà di accesso all’aborto in Italia. Ed è un grandissimo problema, sia per le persone con utero, sia per quei pochi medici e quelle mediche che obiettori e obiettrici non sono.

Infatti, finché negli ospedali i medici non obiettori sono uno o due per struttura (e a volte nemmeno quelli, per cui le Aziende Sanitarie devono rivolgersi ai gettonisti di altre Regioni per garantire l’IVG), questi saranno obbligati a praticare solamente, o quasi, IVG. Un lavoro necessario e fondamentale, che però consiste in un’operazione semplice e di routine, considerata poco gratificante e che non consente di formarsi su altre pratiche medico-chirurgiche. Spesso inoltre non consente avanzamento di carriera, oltre ad essere un lavoro emotivamente faticoso. Quando va male, implica doppi turni o ore e ore di straordinari, perché non ci sono altri medici che possano dare il cambio.

È incredibilmente problematico il fatto che un professionista sia messo di fronte alla scelta tra poter essere realizzato nel proprio lavoro o poter garantire un diritto fondamentale come quello dell’aborto.

L’obiezione di coscienza è un fenomeno complesso, che non si limita alla sfera religiosa cattolica, ma ha radici ampie anche nella struttura del Sistema Sanitario e in generale nella società capitalista in cui viviamo. Da yna ricerca antropologica di Silvia De Zordo, ricercatrice postdottorale all’Universita’ di Barcellona, sui motivi dell’obiezione di coscienza di ginecologi e ginecologhe, emerge che la religiosità individuale spiega solo in parte la scelta dell’obiezione di coscienza. Anzi, la maggior parte dei ginecologi intervistati ha sostenuto di non ritenere l’aborto un problema morale, ma di salute pubblica. Molti ginecologi non obiettori, inoltre, sono credenti, ma ritengono comunque l’aborto un diritto fondamentale della donna.

L’aborto è però una pratica in Italia ancora largamente stigmatizzata; questo si ripercuote non solamente sulle persone che compiono questa scelta, ma anche sui medici che praticano l’operazione in sé. In particolar modo, se nel reparto colleghi e primario sono obiettori, il dichiararsi non obiettori potrebbe portare a difficoltà e a discriminazioni. L’aborto è considerata dagli stessi operatori una pratica “sporca”.

Inoltre, in un sistema che porta la medicina ad essere sempre più difensiva, perché il pericolo di ricorsi è sempre tangibile, i professionisti tentano di evitare tutte quelle pratiche che potrebbero risultare problematiche e motivo di contestazione. Guess what?! l’IVG è proprio una di quelle, in particolare per quanto riguarda le malformazioni rilevabili dal secondo trimestre, per cui non c’è una legge chiara e specifica che regolamenti in quali casi l’aborto è legittimo o meno. Quindi, meglio abbracciare l’obiezione di coscienza.

Quali soluzioni per garantire il pieno diritto all’aborto, gratuito e sicuro?

In alcune Regioni la soluzione è stata indire concorsi per soli medici non obiettori, o affidarsi a medici “gettonisti” (medici pagati a prestazione, a chiamata, e non assunti con un regolare contratto ma ingaggiati da cooperative) molto costosi, provenienti da altre Regioni. Ma i risultati non sono stati quelli sperati: un concorso per soli medici non obiettori è esplicitamente una condanna al lavoro di abortista, si tratta di un concorso ghettizzante, e infatti nessuno o quasi si è presentato.

Una parziale soluzione sarebbe implementare l’utilizzo della pillola abortiva RU486 e l’accesso all’aborto farmacologico, pratica che però viene sempre più ostacolata da difficoltà organizzative e non. Infatti, mentre in molti altri Paesi può essere somministrata in Day Hospital o in strutture tipo i consultori, in Italia può essere utilizzata solo fino alla settima settimana e in regime di ricovero ordinario, limitazione che porta molte strutture a non offrire questo servizio. Sarebbe comunque una soluzione parziale, perché non influirebbe sul numero di medici non obiettori e sul carico di lavoro a loro assegnato, ma consentirebbe “solamente” una maggior efficienza nei reparti. In poche parole, più accessibilità all’IVG, ma sempre a discapito del lavoro di pochi medici.

Le soluzioni dovrebbero quindi essere di tipo giuridico, ed operare direttamente sul comma 9 della legge 194.

L’obiezione di coscienza in merito di aborto al giorno d’oggi non dovrebbe essere un’opzione. La soluzione non può essere aprire concorsi per soli medici non obiettori, creare albi e liste. Perché si torna al punto di partenza: pochi medici a cui viene relegato il ruolo spiacevole di “abortista”, che pian piano decidono di scegliere anche loro l’obiezione di coscienza. Così ci ritroveremo senza medici che praticano l’IVG.

L’obiezione di coscienza era un tempo un gesto ribelle, di violazione di un obbligo, com’era la leva militare. E aveva un senso nei primi anni della 194, per tutelare quei professionisti che già lavoravano all’interno di reparti e ambulatori di Ginecologia e Ostetricia, e non metterli di fronte all’obbligo di una pratica contraria ai propri principi etici. Adesso invece ricade in un dominio dove i doveri seguono una libera scelta, quella di diventare medico e di specializzarsi in ginecologia. Nessuno è obbligato a farlo. Se un medico è contrario all’aborto, non dovrebbe scegliere di diventare ginecologo e di esercitare nel pubblico. Non dovrebbe nemmeno prestarti a determinate pratiche, come le diagnosi prenatali, magari a pagamento, per poi lasciare la persona con utero abbandonata a sé stessa. Non dovrebbe essere non obiettore, ma non praticare l’IVG o, ancora peggio, fare l’obiettore nel pubblico e poi fare IVG nel privato per un costo di 3000 euro. Perché si, succede anche questo.

In molti Paesi, fra tutti la Svezia e la Finlandia, l’obiezione di coscienza non è contemplata. Questo vuol dire che è una scelta possibile, quella di eliminare la possibilità dell’obiezione di coscienza. Una scelta che non lede la libertà e la morale di nessuno, ma che consente invece di rendere piena e reale, dal punto di vista dell’aborto, l’autodeterminazione delle soggettività con utero. Forse è l’unica scelta possibile, per rendere l’aborto libero, sicuro e gratuito un vero diritto.

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