di Matteo Bortolon, Cadtm Italia*
*articolo pubblicato su il manifesto del 29 ottobre 2022 per la rubrica Nuova finanza pubblica
La Banca Centrale Europea (Bce) il 27 ottobre ha emesso un comunicato che sembra un bollettino di guerra; viene confermato l’indirizzo restrittivo delle politiche monetarie da essa inaugurato. Ma di cosa si tratta? E qual è il contesto?
I tassi di interesse di cui tanto si parla sono il costo che la banca centrale fa pagare alle banche commerciali per le riserve, cioè per quella forma assai speciale di denaro che serve per i trasferimenti; tale «moneta speciale» gli istituti possono anche comprarsela dalle altre banche, ma la Bce fissando dei tassi che renderebbero il loro costo o troppo caro per chi le compra o troppo economico per chi le vende, di fatto dirige il loro prezzo in generale. Questo influenza ed incide sulla propensione al credito presso aziende e famiglie. Tassi molto alti la scoraggiano, quindi rallentano l’economia. Una vecchia teoria pretendeva che le banche centrali avessero la capacità di determinare la quantità generale di denaro del sistema; diminuendo la quantità sarebbe cambiato il valore del denaro (restando, presumibilmente, la quantità di beni fisici più o meno invariata). Ed invece i banchieri centrali non hanno avuto successo a combattere l’inflazione. Tale visione oggi non è più condivisa dalle stesse banche centrali. Eppure oggi Lagarde dice che deve alzare i tassi per combattere l’inflazione che tutti riconoscono che viene determinata dal rialzo dei prezzi dell’energia. In realtà un modo c’è: ammazzare l’economia «scoraggiando» il credito bancario diminuirà la domanda e quindi pure i prezzi dovrebbero subire una pressione al ribasso. Una ovvia implicazione di tutto ciò sarebbe l’aumento della disoccupazione e la conseguenza discesa dei salari.
E non è finita. Il comunicato precisa che tale rialzo (il terzo consecutivo) definisce le dinamiche future in vista di un ritorno dell’inflazione al 2%, il livello stabilito a livello istituzionale dalla Ue (che per la verità è diventato meno stringente: fino al 2021 veniva concepito dalla Bce come un soglia, poi è stato assunto come livello medio, potendo superarlo a tratti, purché poi si torni sotto; ma a fronte di un livello dell’8% tale distizione diventa ininfluente); se ciò è senza dubbio una forma di comunicazione per orientare i comportamenti attuali sbandierando un orizzonte futuro, ci sono pochi dubbi che il periodo oramai ultradecennale di politiche monetarie espansive si sia interrotto per un periodo non breve.
A ottobre è uscito, oltre al famoso e consueto World Economic Outlook (Weo) del Fondo Monetario Internazionale, il meno famoso rapporto sulla stabilità finanziaria. I toni sono abbastanza preoccupati; vi si sostiene la necessità di una lotta senza quartiere contro l’inflazione attraverso quelle stesse politiche che la medesima Bce sta intraprendendo: dichiarare in modo netto la propria determinazione per contrastarla in modo da generare delle aspettative. Ma si aggiunge, con prudenza, che occorre mantenere un delicato equilibrio onde evitare effetti destabilizzanti delle politiche restrittive. Dato che l’assetto della stabilità finanziaria risulta ulteriormente deteriorato rispetto alla situazione fotografata dal rapporto dello scorso aprile 2022.
Ciò che potrebbe al tempo stesso far diminuire l’inflazione e favorire le classi popolari e lavoratrici dovrebbe essere agire sulla meccanica stessa dei prezzi. Il gas che ad agosto era quasi a 350,00 €/KWH attualmente è sotto i 100,00. Le dinamiche di fornitura del bene reale non possono generare una oscillazione così rapida ed ampia, è chiaro che nel mercato di riferimento – la borsa olandese Ttf – ci sono dinamiche meramente speculative che amplificano il gioco della domanda e dell’offerta. Le misure in discussione – che la Ue non riesce ad approvare – si pongono inevitabilmente a valle dei processi, mentre occorrerebbe agire a monte sui meccanismi di mercato di formazione del prezzo. A pochi giorni dall’anniversario della morte di Enrico Mattei (27 ottobre 1962) andrebbe ricordata l’importanza di forti aziende di Stato nel settore energetico come l’Ene e l’Enel . Aziende pubbliche, la seconda delle quali è il più compiuto risultato di processi di nazionalizzazione.