Qatar, il miraggio ecosostenibile di un Mondiale nel deserto

È il primo in Medio oriente. Il primo, nella secolare storia della Coppa del mondo, a disputarsi nel deserto e non in estate. Ma c’è un altro primato che rende il Mondiale in Qatar speciale, a detta della Fifa, le Nazioni Unite del calcio, e del Paese ospitante: sarà il primo «a impatto zero». Con questa espressione gli organizzatori sostengono che le emissioni inquinanti di gas serra – ovvero principalmente biossido di carbonio (CO2), metano e protossido di azoto – prodotte durante la fase di costruzione degli impianti, di svolgimento del torneo e di smaltimento di alcune strutture a fine manifestazione saranno compensate finanziando progetti eco-sostenibili in giro per il mondo.

L’inchiesta di IrpiMedia e Placemarks[1] (clicca qui per leggere articolo originale, completo di immagini, mappe e infografiche), svolta attraverso una serie di rilievi satellitari, mostra l’impatto che il maxi-evento ha già avuto sul territorio: negli ultimi dieci anni sono stati asfaltati e cementificati almeno otto milioni di metri quadrati – l’equivalente di 1.140 campi di calcio – per realizzare stadi, strade, parcheggi e linee metropolitane funzionali allo svolgimento del torneo. Nemmeno la previsione sulle emissioni inquinanti torna: secondo il centro di ricerca Carbon Market Watch «affermare che un evento del genere sia a impatto zero non è credibile» a causa delle stime «fuorvianti» di Fifa e Qatar circa la quantità di anidride carbonica emessa e del modo in cui gli organizzatori prevedono di compensarla.

Trentadue squadre in gara, otto stadi distribuiti su cinque città, 64 incontri da disputarsi in 28 giorni: sono i numeri di un torneo che gli organizzatori stimano accoglierà 1,2 milioni di spettatori. Un numero importante considerata l’area geografica ma che, se confermato, rappresenterebbe il record negativo della competizione degli ultimi 60 anni, su cui ha influito il boicottaggio a livello globale in corso da mesi per le sistematiche violazioni dei diritti umani all’interno del Paese nonché per le morti sospette e le condizioni di vita degli operai stranieri che hanno costruito le infrastrutture.

La promessa del primo Mondiale green si ripete a intervalli regolari dal dicembre 2010 quando il Qatar, a sorpresa di molti, si è aggiudicato il diritto di organizzare l’evento sportivo più seguito al mondo. Un articolo pubblicato sul sito ufficiale dei Mondiali nel settembre 2021 (in una pagina ora non più disponibile ma reperibile qui) delineava tre macro strategie per raggiungere l’obiettivo: primo, il basso impatto ambientale generato dalla costruzione degli stadi utilizzando tecniche all’avanguardia per la protezione dell’ambiente; secondo, compensare l’anidride carbonica emessa con progetti energetici sostenibili finanziati da Fifa e Qatar; infine, la natura “compatta” del torneo, con tifosi e squadre che avrebbero evitato lunghi trasferimenti aerei interni a causa della prossimità degli stadi, tutti raggiungibili nel raggio di 18 chilometri (ad eccezione di uno distante circa 35 chilometri), riducendo così i consumi.

Stadi e consumo di suolo

Le partite del Mondiale in Qatar si disputeranno in otto stadi, uno solo dei quali era pre esistente. Gli altri sette sono quindi stati costruiti da zero, di cui uno – il 974 – è il primo impianto smontabile della storia, realizzato completamente con moduli prefabbricati che potranno essere spostati e montati altrove.

Nel rapporto della Fifa sulle emissioni di gas serra previste, Fifa e Qatar hanno quantificato un totale di 3,6 milioni di tonnellate di gas serra rilasciate nell’atmosfera dalla prima fase di realizzazione fino al disallestimento dell’intera competizione. Di queste emissioni, 893 mila sarebbero generate per la costruzione degli stadi permanenti, di quello decomponibile e della rimozione di parte delle gradinate di quasi tutte le strutture a torneo concluso. Nel complesso, dunque, questa voce impatterebbe per il 25% sul totale delle emissioni.

La spiegazione sta nell’approccio utilizzato dalla Fifa per il calcolo della produzione di CO2. Immaginando che la durata degli impianti sia di circa 60 anni gli organizzatori hanno spalmato le emissioni prodotte durante la fase costruttiva sull’intero periodo attribuendo successivamente alla Coppa del mondo solo l’equivalente di un mese di emissioni; praticamente quasi nulla.

Una scelta metodologica che Gilles Dufresne, capo ricercatore di Carbon Market Watch, associazione non profit che si occupa di mercato dell’energia, definisce «illogica». Lo stadio 974 e le gradinate di alcuni stadi verranno, sostengono gli organizzatori, smontate a fine torneo per essere assemblate altrove. È plausibile che questa caratteristica abbia influito sul calcolo, molto al ribasso, sulla stima delle emissioni attribuite agli stadi ma i documenti ufficiali non offrono spiegazioni a riguardo.

La cementificazione seguita alla costruzione di mastodontiche infrastrutture si è resa ancora più evidente da parcheggi immensi adiacenti agli stadi, insieme a centrali elettriche che renderanno possibile il condizionamento dell’aria, sia per gli spettatori sia per i giocatori.

L’analisi di IrpiMedia e Placemarks rivela che per i nuovi stadi e gli edifici o piazze di pertinenza sono stati cementificati circa 1,4 milioni di metri quadrati. Il più impattante da questo punto di vista è lo stadio di Al Bayt che occupa una superficie di 440 mila metri quadrati ed è circondato da ben 1,2 milioni di metri quadrati di nuove aree dedicate ai parcheggi.

Tutto ciò senza contare la già considerevole impronta ecologica pre-Mondiale: il Qatar è infatti il Paese al mondo con la più alta emissione di anidride carbonica pro-capite (vedi grafico) e registra tra i più alti consumi di acqua per abitante, mentre il 99% dell’elettricità utilizzata è generata da combustibili fossili.

La questione delle strutture decomponibili coinvolge anche i fan village, strutture realizzate per accogliere una parte degli spettatori in arrivo (uno dei quali, vicino all’aeroporto, con una capacità massima di 12 mila posti). La dimensione e le strutture ricettive del piccolo Paese del Golfo non consentono di accomodare 1,2 milioni di persone senza predisporre impianti alternativi. Sette fan village sono quindi dislocati sull’intero territorio, fatti di campi tendati (dai 400 ai 200 dollari a notte a seconda delle caratteristiche), villaggi di container e case mobili. Per risolvere la questione ospitalità è stata anche stretta una partnership con MSC Crociere la quale metterà a disposizione le motonavi “Poesia” e “World Europa” per un totale di 3.898 cabine disponibili.

Il gran bazar dei crediti di carbonio

Per raggiungere l’impatto zero, gli organizzatori dichiarano di voler compensare le 3,6 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra con altrettanti crediti di carbonio. Questo meccanismo finanziario funziona affidandosi ad appositi enti certificatori che registrano lo sviluppo di progetti eco-sostenibili nel mondo attraverso cui si prevede di “inquinare meno”.

Per tentare di dimostrare un impatto ambientale zero serve prima di tutto una stima quanto più dettagliata e precisa possibile delle emissioni inquinanti. «Nessuna dichiarazione di impatto zero è credibile senza che si faccia il massimo per ridurre tutte quelle emissioni che possono essere ridotte», spiega Dufresne. Infine, di fondamentale importanza è finanziare progetti ecosostenibili attraverso l’emissione di crediti di carbonio nonché dimostrare che questi progetti non sarebbero stati realizzati altrimenti. Gran parte della tesi di Fifa e Qatar per un Mondiale green ruota attorno all’acquisto di milioni di crediti.

Per “rastrellarne” il numero necessario, gli organizzatori hanno stretto un accordo con il centro di ricerca qatarino Gulf Organisation for Research and Development (Gord) e creato uno standard ad hoc per il mercato dei crediti: il Global Carbon Council (Gcc), il primo ente certificatore nel mercato del Golfo. Al momento della pubblicazione di questo articolo, sul sito web della Gcc risultano 587 progetti in attesa dei quali solo cinque sono stati già “approvati”, per un totale provvisorio di 540 mila crediti, ben lontani dai 3,6 milioni necessari. Ma non è una mera questione di quantità.

«La maggior parte dei progetti in lista di attesa non soddisfa il criterio di “addizionalità”- spiega Dufresne – sono cioè già avviati a prescindere dal fatto che siano in grado di emettere crediti di carbonio».

La stragrande maggioranza di progetti simili non è più accolta da due dei più noti standard per il mercato dei crediti – Verra e Gold Standard – poiché sono giudicati irrilevanti nel compensare le emissioni di gas serra. Fifa e Qatar hanno aggirato il problema creando un proprio sistema di crediti, «il che va contro ogni logica dell’avere una parte terza a garanzia della qualità dei crediti stessi», aggiunge Dufresne. La Fifa ha annunciato che attraverso la Gcc emetterà 1,8 milioni di crediti, dell’altra metà non vi è però nemmeno traccia.

Stadi vicini, tifosi lontani

Ulteriore punto di forza a favore di una competizione a impatto zero, a detta degli organizzatori, è la natura compatta dell’evento. La distribuzione degli stadi in soli 18 chilometri di raggio dovrebbe favorire un minore utilizzo del mezzo aereo a beneficio di un minore impatto dei trasporti sull’ambiente. «L’idea di un torneo “compatto” è in linea teorica interessante dal punto di vista delle emissioni – spiega Gilles Dufresne – ma il rischio è che si ritorca contro dal punto di vista logistico e delle strutture ricettive».

Degli spettatori attesi, la Fifa stima che 750 mila arriveranno via aerea. Secondo gli organizzatori, con il 52% del totale la voce “viaggi” sarà quella più rilevante in fatto di emissioni. «In questo contesto, comunicare che il torneo sarà a impatto zero significa ingannare il pubblico e generare in loro l’impressione che viaggiare in aereo non avrà effetti sul clima, il che è falso».

Compensare il settore aviazione è particolarmente complicato. Il sistema attivo al momento nella maggior parte delle compagnie aeree prevede l’acquisto facoltativo di crediti di carbonio da parte dell’utente nel momento dell’acquisto del biglietto.

«In teoria potrebbe anche funzionare ma in realtà la compensazione di questi crediti è di bassa qualità, inoltre è poco praticabile», spiega Dufresne. «Il rischio di un sistema simile è che rompe l’incentivo a volare meno, che di fatto è l’unico vero modo per diminuire significativamente l’impatto ambientale dell’industria aerea».

Il vivaio dei miracoli

IrpiMedia e Placemarks hanno individuato l’immenso vivaio a pochi chilometri a nord di Doha che secondo Fifa e Qatar «contribuirà ad assorbire migliaia di tonnellate di anidride carbonica all’anno». Dai nostri calcoli, copre un’area di circa 74 ettari (740 mila metri quadrati, l’equivalente di 124 campi di calcio) e sorge a ridosso di un impianto di depurazione che, secondo gli organizzatori, servirà anche per irrigare erba e piante lì coltivate. Il manto erboso sarà utilizzato per rizollare i terreni di gioco e di allenamento, mentre le piante andranno a decorare le aree adiacenti agli stadi. Fifa e Qatar sostengono che la struttura sia parte integrante nella mitigazione dell’impatto ambientale del torneo.

I ricercatori di Carbon Market Watch non sono dello stesso avviso. Nel loro report dello scorso maggio, scrivono: «L’anidride carbonica deve essere immagazzinata per almeno 200-300 anni prima di poter dichiarare che la sua rimozione dall’atmosfera contribuisca alla mitigazione ambientale. È evidente che nel caso del vivaio le piante e l’erba che ne fanno parte, non vivranno tanto a lungo, considerato l’uso che ne sarà fatto e l’acqua necessaria per il loro mantenimento».

Acqua dolce a caro prezzo

L’organizzazione del mondiale impatterà anche sul già fragile equilibrio idrico del Paese. L’acqua è un problema cronico per l’intera regione al quale si sopperisce attraverso la rimozione della componente salina dall’acqua di mare. Secondo una ricerca dell’Università del Qatar, il 99% dell’acqua dolce utilizzata nel Golfo Persico è “prodotta” da centrali di dissalazione. Il processo è uno tra i più inquinanti per i mari, dove vengono riversati salamoia, metalli pesanti e cloruri vari che nuocciono alle barriere coralline e agli organismi marini. Il Qatar al momento conta 12 dissalatori, la maggior parte dei quali è alimentata a combustibili fossili.

Per avere un’idea della capacità energivora di questi impianti, una ricerca datata 2012 stima siano necessari 300.000 barili di petrolio giornalieri per alimentare le 30 centrali dell’Arabia Saudita.

Inoltre la Coppa del mondo non farà che aumentare il bisogno di acqua. La Reuters ha stimato che ne serviranno 10 mila litri al giorno per il mantenimento del manto erboso di ciascuno stadio, senza contare gli ulteriori 130 campi di calcio dislocati nei centri di allenamento che accoglieranno le 32 compagini nazionali in gara e dell’acqua necessaria per mantenere in maniera impeccabile gli innumerevoli giardini, le aree verdi e le fontane dislocate lungo tutte le principali aree urbane.

Il governo qatarino negli ultimi trent’anni ha approvato una serie di misure per cercare di migliorare la gestione idrica eppure il Paese continua ad avere uno dei consumi pro-capite di acqua più alti al mondo: 557 litri al giorno per ogni residente dove, a puro titolo comparativo, la Francia ne consuma 164, l’Australia 290. Ad oggi il fabbisogno idrico del Qatar è assicurato da falde (24%), dissalatori (61%) e riuso (15%).

Sole poco sfruttato

Pensando al peso che i combustibili fossili – gas in primis – hanno avuto nel vorticoso sviluppo economico del Qatar dal 1970 ad oggi (con un reddito pro-capite passato da 2.756 dollari a oltre 61 mila) appare evidente come – nonostante le grandi potenzialità – il settore dell’energia solare sia rimasto pressoché fermo in questi anni. Ci sono voluti i Mondiali di calcio e, forse, anche la necessità di mostrare un volto più verde, perché le autorità qatarine lanciassero la costruzione del primo impianto di produzione di energia solare del Paese che è stato inaugurato lo scorso 18 ottobre alla presenza dell’emiro.

A realizzarlo un consorzio pubblico-privato che vede la francese Total e la giapponese Marubeni al fianco di due agenzie governative. L’impianto di Al Kharsaah con i suoi 1,8 milioni di pannelli si estende su una superficie di dieci chilometri quadrati in pieno deserto a circa 80 chilometri a ovest di Doha ed ha una capacità di 800 MWp. Una volta a pieno regime l’impianto – affermano i costruttori – potrà coprire nelle fasi di picco produttivo fino al 10% della domanda interna di energia.

Seguendo quest’onda nello scorso mese di agosto il governo del Qatar ha annunciato la costruzione di due nuovi impianti. Bisogna però notare come, prima dell’entrata in funzione dell’impianto di Al Kharsaah, dunque per tutta la fase di preparazione dei mondiali, le energie rinnovabili coprivano meno dell’1% del fabbisogno e la potenza di energia solare installata era di soli 5 MW.

Il Qatar intende utilizzare l’energia solare per alimentare i sistemi di condizionamento all’interno di sette stadi (lo stadio 974 prevede un sistema di ventilazione naturale).

Gilles Dufresne rimane scettico sul tema, affermando che l’energia prodotta dalla solar farm è indirizzata verso una rete elettrica la quale a sua volta alimenta gli stadi: «Non è un elemento rivoluzionario – conclude Dufresne – e dichiarare che un evento simile sia a impatto zero equivale essenzialmente a fare greenwashing». Che la giovane industria delle rinnovabili qatarina possa produrre energia a sufficienza per tutti i partecipanti è un miraggio tanto quanto l’idea di un maxi evento senza emissioni.


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