Nel corso della terza giornata della Carovana radiofonica di Gemini Network, allo S.P.A. Arrow di Cosenza, tra le varie realtà che hanno dato voce a lotte e istanze sul tema del diritto alla salute, abbiamo avuto modo di conoscere il collettivo Le Lampare. Si tratta un movimento nato a seguito della chiusura dell’ospedale di Cariati e che si interessa in particolare di salute e ambiente. Fa parte di una rete di collettivi che si muovono in Calabria a difesa dei beni comuni, del lavoro, dell’ambiente e della sanità pubblica. Sono noti in particolare per aver occupato l’ospedale di Cariati dal novembre 2020 a luglio 2021. Abbiamo intervistato Mimmo Formaro, attivista de Le Lampare, proprio in merito all’occupazione dell’ospedale.
Cosa vi ha spinto ad occupare l’ospedale di Cariati?
Per comprendere questa scelta è necessario fare un excursus sulla situazione sanitaria in Calabria. Nel 2010 venne chiuso l’ospedale di Cariati, insieme ad altri 18 ospedali calabresi, su decisione dell’allora commissario e presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, a seguito del commissariamento del servizio sanitario calabrese. Tra le drammatiche conseguenze vi fu quella di lasciare un territorio molto vasto (alto crotonese, basso Jonio Cosentino e l’entroterra della Sila Greca) completamente scoperto dal servizio del pronto soccorso.
Gli ospedali più vicini in caso di emergenze rimanevano quello a Rossano e quello di Crotone, che per poter essere raggiunti richiedono l’attraversamento della statale 106, strada tristemente nota per la quantità di incidenti stradali e che per questo prende il nome di “strada delle morte”. Inoltre la chiusura dell’ospedale di Cariati ha avuto come effetto un’estrema sofferenza delle strutture rimaste aperte e un ingiusto ingrossamento delle maglie della sanità privata.
Altra premessa necessaria per capire a pieno la decisione presa è che la nostra zona ha un grave deficit sanitario su tre fronti: medicina di prevenzione, di territorio e ospedaliera. Lo smantellamento degli ospedali era stato compiuto promettendo un incremento della medicina di territorio. Nella realtà dei fatti ciò non è avvenuto, e l’unico risultato è stato quello di limitare la medicina di emergenza. Il diritto alla sanità pubblica che dovrebbe essere garantito a tutti i cittadini italiani, nella sostanza non esiste. In caso di emergenza c’è il rischio di dover percorrere una distanza di 50 chilometri per raggiungere il primo pronto soccorso.
Con l’arrivo della pandemia è tornata all’attenzione pubblica la devastante situazione della sanità in Calabria. Siamo stati costretti, durante la seconda ondata di Covid19, alla zona rossa non per numero di contagi ma per la mancanza di posti letto a disposizione in terapia intensiva. Come ovvia conseguenza stava crescendo il dissenso e, sentendo l’esigenza di dare un segnale forte abbiamo deciso, come attivisti de Le Lampare, di occupare un’ala dismessa dell’ospedale di Cariati nel novembre 2020. Stiamo parlando di una ex sala riunioni, totalmente inutilizzata, scelta proprio per non intralciare i pochi servizi ambulatoriali ancora funzionanti.
Dopo anni passati a cercare di trovare soluzioni con le istituzioni era arrivato il momento di organizzare una lotta dal basso affinché venisse ridata vita all’ospedale di Cariati (per inciso, si parla di una struttura di 13mila metri quadrati, che quando era operante contava più di 100 posti letto) con la priorità assoluta della riapertura del pronto soccorso e della medicina di emergenza.
Che effetti ha avuto l’occupazione dell’ospedale di Cariati?
L’occupazione ha portato grandissima visibilità, essendo una delle prime occupazioni di una struttura ospedaliera nel mondo. Abbiamo avuto l’attenzione della stampa, di ricercatori e personaggi di spicco come Gino Strada e Roger Waters. La vicenda è narrata anche nel documentario “C’era una volta in Italia -Giacarta sta arrivando” di Federico Greco e Mirko Melchiorre, in uscita prossimamente. Ciò è stato possibile anche grazie all’aiuto di Radio Ciroma che ha narrato la cronistoria dell’occupazione.
L’effetto primario è stato innanzitutto sociale: abbiamo creato una piazza in territori in cui la socialità è difficile. Venivano a trovarci gli anziani del paese e anche con loro abbiamo aperto un dibattito sulla disastrosa condizione sanitaria, abbiamo raccolto le loro testimonianze e ascoltato le loro esigenze. Inizialmente eravamo pochi giovani impavidi, appartenenti al movimento Le Lampare. Di seguito si sono uniti ex lavoratori del reparto sanitario che sono stati fondamentali per gli aspetti tecnici.
Il secondo effetto è stato quello politico. Grazie all’enorme interesse mediatico per l’occupazione è stato possibile sedersi ai tavoli con le istituzioni. Abbiamo avuto modo di incontrare il Presidente della Regione e i commissari regionali, aprendo una nuova fase: la struttura ha ottenuto dei servizi in più, come 10 posti in Rsa, è stato assunto nuovo personale e siamo riusciti a far arrivare strumentazioni importanti come una TAC (infatti quando l’ospedale di Cariati era funzionante, non era fornito di attrezzature per TAC).
Quali scenari si aprono a seguito dell’occupazione?
A luglio 2021 è finita l’occupazione affinché l’ex sala riunioni venisse adibita ad ambulatorio per l’esecuzione dei tamponi. La prossima tappa importante sarà l’arrivo di un decreto regionale che dovrebbe consentire il reinserimento dell’ospedale di Cariati nella rete ospedaliera regionale per acuti, al fine di avere un Pronto Soccorso 24 ore su 24.
Al di là del risultato, il caso Cariati può essere rappresentativo di una lotta collettiva, non limitata al nostro territorio, che metta in crisi la logica che porta a tagliare fondi alla sanità pubblica.