«In piena Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR), campagna internazionale promossa dalla Commissione Europea, ecco che si avvicina inesorabile il giorno che ne rappresenta l’antitesi: il Black Friday. Un’usanza che arriva direttamente dagli Stati Uniti che prevede incredibili sconti, offerte speciali, gara all’acquisto e montagne di soldi spesi per lo più in grandi negozi e siti di e-commerce, aperti 24 ore su 24, riforniti di qualsiasi merce. Come ogni anno questo evento si appresta a registrare numeri da capogiro». E peraltro «le offerte, vere o fasulle che siano, coprono l’intero arco della settimana»: così interviene il Movimento della Decrescita Felice in merito al venerdì degli acquisti sfrenati.
«Il Black Friday è accompagnato dal Cyber Monday, iniziativa analoga ma dedicata ai prodotti di elettronica prevista per il lunedì successivo. Le vendite di questo Black Friday dovrebbero diminuire a causa della crisi del costo della vita. Tuttavia, i numeri sono impressionanti: nel 2021, 88 milioni di consumatori hanno effettuato acquisti online, mentre nel 2020 le vendite avevano raggiunto il livello record di 9 miliardi di dollari. La “cultura dell’iper sconto” spinge i marchi a produrre più merce di quella che servirebbe, perché scommettono che saranno in grado di farcela comprare con queste giornate promozionali – scrive il Movimento in una nota – Ma quanti di questi acquisti sono realmente necessari? Davvero pochi. Il Black Friday non fa che incentivare gli acquisti compulsivi che generano patologie diffuse come la dipendenza dallo shopping: la gioia dell’acquisto viene subito superata da una nuova insoddisfazione, dalla smania di comprare di nuovo. Decenni di strategie di marketing ci sussurrano di spendere ancora, soprattutto in questa giornata; questo non fa altro che incentivare lo spreco: indumenti indossati per meno di una stagione vengono cestinati senza motivo, la corsa al saldo, allo sconto e all’acquisto online è ormai abitudine diffusa».
«A questa filosofia ben si adeguano le tante industrie di fast fashion che negli ultimi anni stanno nascendo come funghi: prima fra tutte il colosso Shein che propone capi a prezzi bassissimi, quasi come le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti – si legge ancora nella nota – Infatti, ciò che è emerso dall’investigazione realizzata dalla reporter Iman Amrani “Untold: Inside the Shein Machine” è sconcertante: la manodopera del marchio lavora fino a 18 ore al giorno per cucire almeno 500 capi, per una paga mensile di circa 4000 yuan, (intorno ai 550 euro) che equivale a 4 centesimi per ogni indumento cucito. Relazioni inique, sfruttamento e violazione dei diritti sono causa di una crescente sproporzione tra prezzi e valore reale dei beni e chi ci guadagna è sempre il marchio che si appropria di oltre il 60% del prezzo finale. L’impossibilità di competere con questi ritmi ha costretto tantissime piccole e medie imprese a chiudere; basti pensare che in Italia circa 300 piccole librerie hanno chiuso bottega nello stesso tempo in cui l’e-commerce ha macinato un più 10% di fatturato. Le conseguenze sociali ed economiche sono tragiche, soprattutto per un Paese come l’Italia che vive ancora di piccola e media impresa: non si parla solo di qualità del lavoro o soddisfazione professionale ma anche di estetica territoriale e cura dell’ambiente».
«Un altro fattore imprescindibile è infatti l’impatto ambientale: basti pensare che per produrre un paio di jeans vengono utilizzati oltre 7mila litri di acqua e che più del 60% delle fibre dei tessuti che compriamo da queste catene sono sintetiche, cioè derivano da combustibili fossili – scrive ancora il Movimento della Decrescita – Ma ciò che impatta maggiormente sull’ambiente è l’utilizzo di pesticidi che inquinano i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche o l’applicazione di coloranti tossici per tingere i tessuti. Anche gli involucri utilizzati per confezionare i capi sono difficili da smaltire e producono una grandissima quantità di plastica: ogni anno finiscono in mare 12 milioni di tonnellate di plastica utilizzata per gli imballaggi. Il Black Friday è dannoso anche per il clima: secondo i dati raccolti da Waste Managed, quest’anno gli acquisti online durante il Black Friday potrebbero provocare l’emissione di 430 mila tonnellate di gas serra. In pratica come 430 voli fra Londra e New York. L’80% degli acquisti fatti durante il Black Friday finisce poi in discarica, viene incenerito o riciclato in modo errato. Ciò si traduce in un aumento del 25% dei rifiuti solo negli Stati Uniti nel periodo che intercorre tra il Black Friday e la fine dell’anno. E allora perché non rispondere al black friday con il boicottaggio? Perché non rendere questa giornata un’opportunità per essere liberi dai bisogni indotti, dagli sprechi e dal consumo fine a se stesso? Il rifiuto di acquistare merci che non sono necessarie e danneggiano il pianeta è una scelta ponderata, fatta per proteggere la nostra serenità. Venerdì scegliamo di stare meglio! Scegliamo con consapevolezza a chi dare i nostri soldi, scegliamo di investire nel piccolo e nel locale, di finanziare economie locali, ecosostenibili, che fanno prosperare il nostro territorio e creano benessere per la comunità in cui viviamo. Con la nostra spesa facciamo politica, tutti i giorni. Tutti i giorni, con i nostri acquisti, scegliamo in che mondo e in che modo vogliamo vivere».