Si è tenuta in Egitto la COP27, conferenza annuale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Come palcoscenico della Conference of the parties è stata eletta Sharm el-Sheikh un non-luogo costellato di resort, centri commerciali, autostrade, che per l’occasione ha spolverato una rappresentazione di se stessa in salsa green. Riportiamo un’intervista a Héctor Santorum di Juventud Activa Saharaoui, che insieme ad altri attivisti ha contestato COP27, principalmente denunciando le multinazionali che hanno come scopo quello di arricchirsi a scapito dei diritti umani, che non vengono rispettati.
Fiorella Zenobio: Quali sono state le principali motivazioni che vi hanno portato a partecipare alla COP27?
Héctor Santorum: Ci sono degli obiettivi, innanzitutto portare la causa saharawi al vertice, dare visibilità alle problematiche. In 27 anni, il popolo saharawi non era mai stato rappresentato. Il secondo è denunciare i progetti del Marocco nei territori saharawi occupati, che sono in attesa di decolonizzazione da più di cinquant’anni, da quando nel 1956 le Nazioni Unite hanno creato la lista di territori non autonomi. Il terzo è tentare di fare pressione diplomatica, esigere uno spazio per i saharawi e infine denunciare le multinazionali che hanno come scopo quello di arricchirsi a scapito dei diritti umani, che non vengono rispettati.
FZ: Quali sono le vostre valutazioni su questa esperienza?
HS: Da un lato abbiamo avuto il supporto di 130 organizzazioni di diversa natura, collettivi che appoggiano la causa come Ecologistas en Acción e Amigos de la Tierra, organizzazioni saharawi come Saharawis Against the Plunder (SAP), tra tante altre. Dall’altro lato l’esperienza è iniziata male. Era programmata la proiezione di un video nel Children and Youth Pavilion, nella “blue zone”, ma hanno posto un veto nonostante fosse un video già autocensurato, dato che si conosceva la realtà del padiglione della gioventù e del vertice in generale e si sapeva a priori che ci sarebbero state delle difficoltà. Su dodici video proposti hanno posto il veto su sette, sostenendo che fossero “troppo politici”. Il video però non menziona aziende, espone unicamente la situazione dei campi per rifugiati, indicando il ruolo di Marocco e Spagna, e delle condizioni climatiche. In sostanza, siamo stati censurati nonostante la nostra flessibilità. Infatti, ci siamo offerti di rivedere il video e giungere a un compromesso riguardo ai punti che reputassero polemici, per autocensurare ancora di più; tuttavia non c’è stata risposta. Le persone del padiglione sono il tipico esempio di attivisti climatici che hanno conoscenze unicamente riguardo al cambiamento climatico e non sanno nient’altro. Nonostante la censura, siamo andati avanti raggiungendo delle vittorie, portando la causa al vertice, arrivando alla conferenza e lavorandoci nel miglior modo possibile, creando contatti, reti e dando visibilità a livello mediatico; sempre con il timore di qualche tipo di rappresaglia visto il non riconoscimento da parte dell’Egitto e le sue strette relazioni con il Marocco. Di fronte alle difficoltà, ogni ostacolo è stato trasformato in un’opportunità. Le avversità si denunciano e si fanno vedere al mondo.
FZ: Che ruolo hanno le multinazionali europee nel Sahara Occidentale?
HS: Le compagnie fanno sì che l’occupazione produca profitti e che si perpetui, sia per il proprio guadagno sia per quello dei governi. Se bloccassero i rifornimenti di petrolio al Marocco diminuirebbero drasticamente le sue risorse e l’occupazione non durerebbe più di qualche giorno, perché il Marocco non sarebbe in grado di sostenere i costi ingenti della militarizzazione che al momento si finanzia tramite l’estrattivismo. Il Marocco non ha riserve di petrolio. L’occupazione del Sahara Occidentale continua non solo per nazionalismo ma anche perché è profittevole e quindi la sua liberazione incontrerebbe grandi resistenze. Il ruolo delle multinazionali europee è da un lato supportare l’occupazione, dall’altro ottimizzare il furto di risorse e lo sfruttamento della regione. Sono complici della decisione del Marocco di fare del Sahara Occidentale un proprio territorio, perché se un’azienda va in un territorio occupato di fatto sostiene quella visione coloniale.
FZ: Quanto è stato evidente il divario tra l’apertura e la dedizione predicate e l’azione concreta ed effettiva?
HS: Dal momento in cui non ti basi su principi scientifici c’è un errore in partenza. In questo vertice ci sono scienziati disperati e governi che ignorano tutto quello che gli viene detto, mostrando una facciata di successo dietro alla quale non ci sono risultati positivi ma indifferenza e ancora più degrado. La COP è un teatro, finché non esploderà tutto in termini di rivendicazioni dei popoli e a livello climatico non ci sarà nessun cambiamento. I vertici in sostanza producono accordi non vincolanti e senza finanziamento. Come possono raggiungere gli obiettivi senza dedicarci fondi e se non c’è nessuna conseguenza nel caso in cui non si porti a termine ciò che è stato stabilito? Siccome da sempre il potere economico ha la priorità, la politica trascura la presa di coscienza della popolazione. Si potrebbero trovare modi per spiegare chiaramente al mondo quello che sta succedendo, ma finora non hanno impiegato né il tempo né lo sforzo necessari. Evidentemente non c’è l’effettiva volontà di cambiare le cose.
FZ: Avevate considerato a priori le difficoltà che avete riscontrato?
HS: Noi eravamo pronti a tutto. Eravamo pronti alla possibilità che i nostri compagni venissero arrestati al loro arrivo in aeroporto, eravamo pronti a un atteggiamento ostile. Dovevamo usare qualsiasi spazio per dare visibilità alla causa, non a qualsiasi prezzo, ma anche a un prezzo molto elevato. Per quanto riguarda i paesi presenti, è stato fatto il possibile per ottenere delle riunioni e alcune sono state ottenute. Secondo la nostra esperienza, ogni volta che si partecipa a un vertice la verità emerge da sola. Quando si vive una realtà come la nostra, con persone che sono in campi per rifugiati da cinquant’anni, persone divise dalle loro famiglie, persone che soffrono violazioni dei diritti umani, è impossibile che tutto ciò non venga alla luce quando ti avvicini a spazi come il vertice. Tuttavia, c’è sempre il rischio che gli altri non ci facciano caso e non si avvicinino.
Come accade nella maggior parte dei regimi colonizzatori, si instaura una narrazione di indottrinamento, a partire dal sistema scolastico, che insegna alla popolazione che i saharawi non esistono in quanto tali. Il risultato è che la popolazione è a sua volta vittima del sistema. Si produce una differenziazione tra i cittadini marocchini che sanno cos’è il Sahara e supportano il Marocco nella sua visione del territorio come proprio, che di norma sono quelli che tentano di boicottare ciò che facciamo; coloro che non sanno assolutamente niente del Sahara nonostante ce l’abbiano sotto occupazione militare; infine ci sono i cittadini marocchini che sostengono la causa, nonostante tale supporto resti perlopiù silenzioso, non traducendosi in azioni concrete.
Noi sapevamo che avremmo avuto problemi in questo vertice, ma sapevamo che già solo la nostra presenza sarebbe stata un traguardo raggiunto e che qualsiasi persona alla quale ci avvicinassimo avrebbe finito per conoscere la causa e la campagna. Siamo andati al vertice con questa mentalità, la COP27 non raggiungerà nessuno dei nostri obiettivi almeno quest’anno, ma è un’opportunità per creare contatti, per fare riunioni e per dare visibilità alla causa sapendo che ci sono i riflettori puntati.
FZ: Cosa vi aspettate alla luce di questa partecipazione?
HS: Creare più opportunità di diffusione della causa. In questi anni l’abbiamo difesa in arene dove c’era già sostegno, con una certa autoreferenzialità. Questo ha generato una chiusura su noi stessi, con l’eccezione del movimento femminista, con qui c’è stata una collaborazione molto significativa. Con la partecipazione alla COP abbiamo creato un’altra apertura e vogliamo continuare ad aprire porte per avvicinare la causa alle diverse parti del mondo. Che si sappia la situazione, che venga capita e che si arrivi a un punto in cui la popolazione abbia coscienza di ciò che accade nel Sahara e del fatto che ci sono molti modi di aiutare.
FZ: C’è qualcos’altro che vi piacerebbe condividere?
HS: Soprattutto in vista della mobilitazione italiana, è stato un piacere vedere come in questi giorni diverse città insorgono, o perlomeno si mobilitano, contro vari punti strategici di ENEL. Penso che sia un esempio perfetto di cosa significa solidarietà ed è un piacere avervi insieme a noi. A chi legge dico che l’esercizio della solidarietà è fondamentale. Anche chi fa parte del potere coloniale può ribellarvisi e fare propria la causa dell’oppresso. Questo vale per qualsiasi persona in Italia, in Spagna e in qualsiasi altra parte del mondo. Chiunque si senta vicino a questa causa è benvenuto. Siamo piuttosto soli sotto molti punti di vista, quindi è molto importante per noi contare sul supporto e la solidarietà internazionale. La situazione si sblocca attraverso la condivisione, altrimenti diventa molto difficile uscire dalla realtà dell’oppressione e dei campi per rifugiati. Esiste una questione politica alla ricerca di una soluzione.