di Sandro Moiso
Alexander V. Shubin, Nestor Machno. Bandiera nera sull’Ucraina, elèuthera editrice, Milano, vuova edizione 2022, pp. 232, euro17,00
Adesso, dopo che le truppe russe si sono ritirate e attestate sulla riva orientale del Dnepr, di fronte a Kherson, e che la guerra unisce i suoi effetti al freddo e alla fame per la popolazione civile, è giunto il momento di formulare un giudizio politico spassionato sulla realtà della “resistenza” ucraina, propagandisticamente e troppo spesso romanticamente sbandierata come eroica e popolare. Così, mettendo a disposizione dei lettori un possibile termina di paragone storico, può rivelarsi utile il volume appena ristampato da elèuthera (che lo aveva già proposto al pubblico italiano nel 2012) in cui Alexander Vladlenovich Shubin analizza e descrive nel dettaglio le vicende della machnovščina ucraina tra il 1917 e il 1921.
L’autore (n. 1965) insegna Storia in due università di Mosca: l’Accademia delle Scienze dove, dal 2003, dirige il Centro di studi storici, e, dal 2007, l’Università Statale per gli Studi Umanistici, dove ha condotto approfondite ricerche per riportare alla luce la storia dei movimenti di opposizione al bolscevismo, con particolare attenzione a quelli di matrice libertaria. In tale contesto di ricerca va dunque inquadrato questo testo dedito alla ricostruzione delle vicende legate alla figura di Nestor Machno e alle insurrezioni contadine che si svilupparono in Ucraina nel periodo compreso tra la Rivoluzione d’Ottobre e la fine della Guerra Civile. Come scrive lo stesso Shubin nella Premessa:
Il movimento machnovista ucraino, poco studiato dalla storiografia mondiale, è stato uno degli episodi più importanti della rivoluzione e della guerra civile esplosa nel 1917 nell’ex impero russo. Negli anni tra il 1917 e il 1921, i contadini e gli operai che vivevano tra il Dnepr e il bacino del Don tentarono di costruire la propria vita a partire dai propri desideri, combattendo contro le forze controrivoluzionarie e i nazionalisti ucraini, e cercando al contempo di non sottomettersi al nuovo potere comunista. Non sorprende che l’iniziale alleanza tattica con i comunisti si sia poi conclusa con uno scontro militare, durante il quale l’esercito insurrezionale machnovista si batté impugnando la bandiera nera dell’anarchia. Alla guida di questa armata contadina c’era Nestor Ivanovic Machno, uno stratega geniale che fino al 1918 non aveva preso parte ad alcuna guerra, ma che in seguito si ritrovò al posto giusto nel momento giusto. Nei brevi momenti di tregua, i machnovisti provarono a costruire una nuova società basata sull’autogestione, e nonostante questo movimento sia sopravvissuto soltanto fino al 1921, ha rappresentato comunque uno degli esempi più vividi del desiderio di liberazione sociale e politica che ha caratterizzato quell’epoca1.
Basterebbero le parole «tra il 1917 e il 1921, i contadini e gli operai che vivevano tra il Dnepr e il bacino del Don tentarono di costruire la propria vita a partire dai propri desideri, combattendo contro le forze controrivoluzionarie e i nazionalisti ucraini» a marcare già tutta la differenza tra quella espressione diretta della volontà di classe e popolare e l’attuale “resistenza”, ma occorre ancora procedere con ordine per verifica la validità di tale assunto.
L’area che vide protagonista il movimento machnovista è principalmente la regione compresa tra il Mar d’Azov a sud, la riva sinistra del Dnepr a ovest e il bacino carbonifero del Don a est. Ma i machnovisti agirono anche sulla riva destra del Dnepr, soprattutto nella regione di Ekaterinoslav (ora Dnepropetrovsk), e a nord in quelle di Poltava e Cernigov [in ucraino Cernihiv – N.d.T.]. Il cuore della rivolta era la cittadina di Guljaj Pole nella provincia di Aleksandrovsk (l’attuale Zaporozhye). La storia di questi luoghi è legata a quella dei cosacchi e alla loro cultura rurale e nomade, anche se ai primi del Novecento nella provincia di Aleksandrovsk i cosacchi erano ormai solo un ricordo. […] L’economia rurale in quelle zone era piuttosto rappresentata dai pomesiki, ovvero dai grandi proprietari terrieri, e quando la riforma agraria del governo di Pëtr Stolypin tentò di abolire le tradizionali terre comuni, la maggiore resistenza la incontrò proprio nel governatorato di Ekaterinoslav. Dal punto di vista agricolo e industriale, l’area di azione del futuro movimento machnovista era una delle regioni più sviluppate dell’impero russo, grazie alla vicinanza dei porti e a una rete ferroviaria che aveva favorito lo sviluppo del mercato del grano.
[…] Nelle province di Ekaterinoslav e della Tauride si produceva il 24,4% delle macchine agricole del paese (a Mosca solo il 10%). Una parte significativa dell’industria di Ekaterinoslav era dislocata su tutto il territorio: piccole città e villaggi di grandi dimensioni erano diventati dei veri e propri complessi agro-industriali. A Guljaj Pole, futura capitale del movimento machnovista, c’erano una fonderia e due mulini a vapore, e nel distretto c’erano dodici fabbriche di piastrelle e mattoni. Tutto ciò contribuiva non solo alla produzione ma anche al rafforzamento del legame tra contadini e operai. Molti contadini andavano a cercare lavoro nelle vicinanze dei grandi centri industriali, sicuri che in caso di crisi sarebbero potuti rientrare nei villaggi di origine, e nei villaggi non c’era carenza di prodotti industriali grazie alla vicinanza di numerose fabbriche. Erano le grandi città a essere percepite dai contadini come un mondo estraneo e distante di cui non avvertivano alcun bisogno. Quanto al nazionalismo, mentre nel nord dell’Ucraina era solidamente radicato nell’economia autocratica che caratterizzava quell’area, nella regione del Mar d’Azov stentava invece a trovare una sua base sociale. È in questo contesto che sarebbe nato uno dei più grandi movimenti contadini della storia europea, che tuttavia sarà strettamente legato al movimento operaio, tanto da avere nelle sue fila anche leader operai, tra i quali lo stesso Machno che in gioventù aveva lavorato in una fonderia di ghisa2.
La Russia era stata fin dal XVI-XVII secolo teatro di rivolte, contadine e cosacche, che si erano rivolte sia contro il governo degli czar che nei confronti dei dominatori polacchi di una parte dell’attuale territorio ucraino. Rivolte rese celebri attraverso la letteratura russa dell’Ottocento sia dal racconto Taras Bul’ba scritto da Nikolaj Gogol’ nel 1834 che dal romanzo La figlia del capitano, pubblicato da Aleksandr Sergeevič Puškin nel 1836, oltre che dal poema Pugacev di Sergej Aleksandrovic Esenin scritto negli anni ’20 del Novecento, ma che ancor prima di ciò avevano lasciato un segno, seppur disordinato dal punto di vista dei contenuti, nella memoria collettiva3.
Invece come si sottolinea nel testo di Shubin quella capeggiata da Nestor Machno, nato a Guljaj Pole da una famiglia di ex-servi della gleba nel 1888 e morto in esilio a Parigi nel 1934, era riuscita a unificare sia i contadini poveri che gli operai delle regioni interessate dimostrando, nonostante fosse stata alla fine schiacciata dall’Armata Rossa, che la rivoluzione russa avrebbe potuto prendere una ben diversa piega da quella sviluppatasi con l’industrializzazione forzata e la repressione delle istanze delle comunità di villaggio e dei consigli operai.
E’ qui che sta tutta la differenza tra una guerra condotta in nome degli interessi di classe e nel tentativo di realizzare una società più giusta e l’attuale guerra condotta da Zelensky in nome del nazionalismo oligarchico più bieco e degli interessi dell’imperialismo occidentale. Senza voler con ciò voler giustificare in alcun modo la propaganda russa sulla guerra in corso.
In fin dei conti anche la rivolta e la guerra machnovista era nata ed era guidata da un bandito che, prima di acquisire una più ampia coscienza di classe e del ruolo che le masse contadine e operaie potevano rivestire nell’ambito della Rivoluzione della guerra civile, aveva assaltato banche per finanziare un piccolo gruppo terroristico e aveva rischiato, proprio per questo motivo, di finire sulla forca. Ma i risvolti di quella lotta, durata alcuni anni, sia contro le armate bianche, in alleanza con quelle rosse nella prima fase, e poi in seguito solo contro le seconde, riguardavano solo e sempre una rivoluzione sociale e il tentativo di dar la scalata al cielo. Proprio in quelle aree in cui oggi è solcato soltanto da droni, missili, aviogetti, proiettili di cannoni, tutti irrimediabilmente destinati a far trionfare una delle due parti fortemente segnate dal nazionalismo e dagli interessi del capitale.
Ecco allora che leggere e studiare questo ennesimo bel libro pubblicato da elèuthera può dunque servire a spalancare gli occhi del lettore che fosse ancora distratto dalle chimere di una propaganda che, con la scusa della “resistenza”, ci invita soltanto ad appoggiare la guerra imperialista. E null’altro.