Ciao Turi, testimone gentile di un’epoca ostile

di Sandro Moiso

Non so in che modo e quando dovrò dare l’addio al mondo. E’ certo che sarà annullata per sempre la mia esistenza e insieme il mio bisogno di sapere che le ha dato un senso; e di tentare di operare per un futuro sociale comunista […] Sul nostro pianeta, un piccolo punto dell’universo, una volta apparsa spontaneamente dalla materia inorganica quella organica – che chiamiamo vita – la morte non la decide nessun esser sovraumano. La morte stessa invece è programmata, nel corso dell’evoluzione, dallo stesso formarsi e delimitarsi della specie che, nel perseguire il tentativo ostinato di eternarsi, sacrifica senza riguardo alcuno, i suoi stessi individui. (Salvatore Libertino Padellaro, 7 settembre 2017)

Nella notte tra il 22 e il 23 novembre è scomparso, a Roma, a causa di un problema cardiaco che lo accompagnava da tempo, Salvatore Libertino Padellaro, meglio conosciuto come Turi. Compagno e bordighista storico, difensore di una gran parte del pensiero dello stesso Bordiga ma, spesso, in lotta con le frange più settarie della stessa corrente, per anni si era dedicato al tentativo di ricostruire, se non il Partito, almeno l’idea di Partito. Indicando nel percorso seguito da Marx ed Engels, dalla Lega dei Comunisti al Manifesto fino all’esperienza della Prima Internazionale, una possibile via da seguire in tempi difficili di controrivoluzione e sconfitta del movimento operaio e di classe.

Nato a Piazza Armerina nel 1930, ancor giovane aveva iniziato a collaborare con i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) formatisi, sulle tesi esposte da Pier Carlo Masini e Arrigo Cervetto, sostanzialmente nell’ambito del documento politico della Conferenza nazionale convocata dal Gruppo d’iniziativa per un movimento «orientato e federato» svoltosi a Pontedecimo, in provincia di Genova, dal 24 al 25 febbraio 1951.

Tra gli osservatori che partecipano alla Conferenza di Genova-Pontedecimo vanno segnalati Bruno Maffi, rappresentante del Partito comunista internazionalista; Livio Maitan e Sergio Guerrieri dei Gruppi comunisti rivoluzionari IV Internazionale. La presenza di queste organizzazioni a una riunione di anarchici rappresenta una novità. […] I bordighisti all’epoca rappresentano una delle «dissidenze» storiche del comunismo italiano, nel loro costituirsi in formazione politica distinta durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, avevano sempre cercato di rivendicare la continuità con l’esperienza del Partito comunista d’Italia fondato a Livorno nel 1921. Questo richiamo alle radici non era casuale, e non riguardava solo anagraficamente la storia di alcuni dei principali militanti e teorici – tra cui lo stesso Amadeo Bordiga, primo segretario e fondatore del PCd’I –, ma soprattutto era di natura politico ideologica. La scelta nella propria denominazione dell’aggettivo «internazionalista», testimoniava la rivendicazione della vera essenza del comunismo rivoluzionario in contrapposizione al modello staliniano e togliattiano del partito, che faceva del nazionalismo la propria bandiera. La loro presenza alla Conferenza nazionale del gruppo de «L’Impulso» era dettata soprattutto dai buoni rapporti personali che negli anni Masini aveva mantenuto con quest’area politica e dalla quale traeva alcune riflessioni teoriche, specialmente quelle riguardanti l’analisi di Bordiga sullo Stato e la scelta internazionalista che l’intellettuale toscano stesso aveva condiviso durante l’ultima guerra”1.

La preoccupazione maggiore di Masini non fu però soltanto quella di costruire un’organizzazione che in una situazione controrivoluzionaria non avesse altro scopo che quello di illustrare, documentare e descrivere la crisi, non solo economica ma soprattutto politica del movimento proletario, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria. Ma anche quella di chiarire che nel momento in cui il lavoro politico fosse venuto

a combaciare con la realtà rivoluzionaria, in questa si dissolve e scompare come movimento. Guai se l’organizzazione politica sopravvivesse di un attimo! Guai se anche i gruppi anarchici di fabbrica non si bruciassero ipso facto nel nuovo spazio umano delle assemblee. Avremmo allora una mostruosa dittatura, chiusa e tirannica quanto altre mai. L’alba della rivoluzione deve coincidere col tramonto dei suoi annunziatori2.

Quell’avventura politica sarebbe durata fino al 19573, in uno dei periodi più burrascosi e difficili per il movimento operaio non soltanto italiano; segnato dalla fine apparente dello stalinismo, dalla rivolta operaia “rimossa” di Berlino Est del 1953 e dalla repressione sovietica dell’insurrezione dei consigli ungheresi del 1956. E fu intorno a quello stesso anno che Turi aderì a «il Programma Comunista» e al Partito Comunista Internazionale, la frazione bordighista formatasi dopo la scissione tra la corrente di Amadeo Bordiga e quella di Onorato Damen all’interno del Partito Comunista Internazionalista nel 1952.

Nel 1961 Turi, con la famiglia, si trasferì in Algeria dove avrebbe seguito per conto del partito le vicende rivoluzionarie (e pure quelle controrivoluzionarie) di quel paese e i parte dell’Africa fino al 1969, anno in cui fu costretto a tornare in Italia a seguito dei drammatici avvenimenti che lì avevano avuto luogo4. Di quell’esperienza Turi, in una lettera dell’autunno del 2015, avrebbe scritto, a proposito dell’affermazione, contenuta in un testo critico dell’esperienza politica di Amadeo Bordiga5 sul «mancato tentativo di Programma Comunista di svolgere un ruolo significativo nella lotta anticolonialista e indipendentista dei popoli africani e asiatici»:

Si tratta come si vede del delineamento di uno scenario gigantesco… Vi si dice addirittura: “all’organizzazione fu richiesto, subito dopo la vittoria del nazionalismo algerino, un impegno concreto da esponenti del Terzo Mondo, come per esempio, dal poeta angolano Viriato da Cruz”. Chiariamo: adoperare le parole “mancato tentativo”, “ruolo significativo”, “Organizzazione” (riferita a Programma) significa ingigantire oltre i limiti ciò che esisteva in parte minima in Europa e anzi assai minima in Algeria. Sembra di leggere i fasulli e magniloquenti proclami che di tanto in tanto «Rivoluzione Comunista» rivolge a inesistenti gioventù proletarie rivoluzionarie. Chi ha militato in Programma Comunista (io aderii ai primi di febbraio 1957) deve sapere che la scissione operatasi nel Partito Comunista Internazionalista nel 1952, ridusse a pochi elementi le forze che si raggrupparono attorno a Bordiga (la maggior parte seguì le prospettive illusorie del gruppo di Damen che, nonostante le chiacchiere attivistiche, col tempo si arenò[…]). Con l’andare degli anni si realizzò un modesto miglioramento quantitativo, ma prima e dopo la morte di Amadeo, altre scissioni si sono verificate, come purtroppo i compagni tutti hanno dovuto constatare.
Vengo al gruppetto di Algeri. Questo era formato da due algerini che avevo conosciuto a Parigi, nel periodo del mio “peccato di gioventù”, quando cioè mi attivizzavo con Cervetto e Pier Carlo Masini – io avevo lasciato il PCI nel settembre del 1953. Negli anni ’50 e fino al Rapporto Krusciov, la preparazione dei giovani comunisti si faceva col solo libro edito dalla Commissione centrale del Partito comunista sovietico; di Trotzky si apprendeva che era stato un traditore e di Bordiga si aveva notizia estremamente vaga e rarefatta; in piazza s’incontravano gli anarchici molto attivi; devo agli anarchici il mio passaggio al comunismo della Sinistra Comunista perché da loro trovai «Il Programma Comunista». In seguito, grazie alla diffusione della rivista francese «Programme Communiste» si ebbe l’adesione di tre piedi neri portoghesi6 che insegnavano ad Algeri. (Tra parentesi voglio dire quanto segue: mentre Cervetto era creduto dai suoi seguaci come un rigoroso scienziato rivoluzionario leninista7, a me appariva sempre più evidente che era un attivista confusionario volontarista che, partendo dalla mitica riunione anarchica di Genova Pontedecimo del 1951, mescolava marxismo, leninismo, secondo la sua interpretazione, internazionalismo e partigianesimo; Masini invece conosceva bene Marx e aveva letto e leggeva Bordiga; era un brillante anarchico e affermava, in una interessante conversazione, che Amadeo aveva chiarito, allora, quello che si riteneva fosse l’enigma russo: la questione dell’economia, delle classi sociali, e a chi appartenesse realmente il potere di Stato. Aveva in mente un riesame della lotta tra marxisti e bakuninisti in seno alla Prima Internazionale, in vista di una parallela riunificazione ideale storica di due grandi rivoluzionari antiborghesi. Lui però restava anarchico per sentimento e ideale. Così pensava l’ultima volta che l’incontrai casualmente, tanto tempo fa).
Algeri, prima del colpo di stato di Boumedienne, era diventata la base di vari raggruppamenti africani genericamente rivoluzionari. Nel diffondere la nostra rivista venimmo in contatto con Viriato da Cruz, noto poeta angolano, e i suoi compagni: una decina in tutto. La rivista francese della Sinistra Comunista li orientò verso le nostre posizioni e loro si dettero da fare per farla circolare. Erano contro il movimento armato di Holden Roberto, foraggiato dagli americani, sia contro l’MPLA controllato dai russi. Insomma, erano dei simpatizzanti, non nostri militanti. Ovviamente avevo informato il Centro di Milano nella persona di Bruno Maffi. Dopo circa una decina di mesi di contatti e di chiarificazioni, Viriato mi chiese se, a Parigi, potevamo dare un sostegno concreto a due loro organizzati. Io non promisi nulla, però dissi che ne avrei discusso con i compagni parigini e italiani in occasione della riunione di Marsiglia che si tenne nel luglio del 1964. A Marsiglia, la sera dopo cena e ovviamente dopo la riunione di partito, presenti: Bruno, Giuliano, Elio, Calogero, Oscar (Camatte) (questi due ancora viventi), Roger (Dangeville), Daniel e ancora non mi ricordo chi, ne parlammo. La conclusione fu negativa: non per insipienza, né tanto meno perché non si voleva dare un aiuto agli angolani, ma perché non si poteva. A Parigi c’erano 4 o 5 militanti, tutti in condizioni di difficoltà per un motivo o un altro (ma ad Algeri gli angolani furono, nei limiti del possibile, aiutati; si riuscì, per esempio, anche a dar loro un appartamento per riunirsi. Fatto questo assai difficile: avere un alloggio allora era pressoché impossibile giacché le popolazioni dell’interno si erano riversate, occupando gli immobili vuoti, nella capitale dove c’era da mangiare anche gratuitamente: donazioni francesi, italiane, americane, russe, cinesi, cubane) […] Si trattava quindi di una richiesta di un semplice concreto appoggio da parte degli angolani e non di una sbandierata richiesta ufficiale politica, non voluta o non saputa sfruttare politicamente da “Programma Comunista”.
[…] Tornato ad Algeri riferii di come stavano le cose. Gli angolani, per un certo tempo, continuarono a diffondere la nostra rivista; ma un raggruppamento politico fuori dal suo paese ha bisogno di cibo, di rifugio, di soldi e di armi. Noi non potevamo far fronte a simili esigenze ed emergenze ed essi evidentemente si resero conto della inconsistenza delle nostre forze. Così una sera ad una mangiata collettiva di cous cous e ad una discussione accalorata, presenti due cinesi, Viriato, molto imbarazzato, fece un attacco pubblico a me e alle nostre posizioni politiche considerate ora pseudo-rivoluzionarie. Capita la situazione della presenza cinese, io replicai con non molta calma; sua moglie si mise a piangere. Si sciolse confusamente la serata. Qualche mese dopo appresi che Viriato era andato a Pechino dove visse ancora per alcuni anni.
Approfitto per dire ancora alcune cose. I vari gruppi trotzkisti appoggiarono concretamente la lotta di liberazione algerina. Con l’indipendenza fu pubblicato un loro giornale: “SOUS LE DRAPEAU DU SOCIALISME”. Il milione di francesi “pieds noirs”, proprietari dell’industria, della terra, dell’agricoltura, del commercio e dei servizi, in pochi giorni, abbandonarono tutte le loro proprietà e attività private e pubbliche; allora essi, con altri piccoli raggruppamenti di sinistra francesi ed europei, organizzarono le piccole e anche alcune medie realtà economiche abbandonate, dando luogo alla formazione di comitati di gestione. L’industria però si fermò per tutto l’anno 1962 e più oltre. Solo la scuola rimase attiva in mano al nuovo Stato con, per i primi tre anni, ancora le regole e i programmi francesi; ma vi erano moltissimi scolari (merito del governo benbellista) e pochissimi insegnanti. Questi vennero poi dalla sinistra francese, dai cubani, da argentini, dai russi (per le materie tecniche e scientifiche) e da alcuni individui simpatizzanti (me compreso che inoltrai al Ministero dell’Educazione una domanda d’insegnamento per il francese e l’italiano che fu subito accolta: dovetti però infine insegnare un po’ di tutto, motivo per cui non ho studiato mai tanto in vita mia come nel periodo che sono rimasto in Algeria). Dopo il colpo di Stato di Boumedienne che rovesciò il governo “socialista” di Ben Bella, la lodevole opera organizzativa trotzkista cominciò ad essere criticata e malvista dai nuovi padroni: i trotzkisti dovettero man mano mollare i comitati stessi che avevano organizzato e ritornare nei loro paesi da cui erano venuti e alcuni finirono in galera. Ci fu ad esempio, un comitato di gestione di una zona agricola vicino ad Algeri, Birtouta, che fu sciolto dalla polizia governativa. Mi pare fosse tra la metà di maggio e giugno del 1966. C’era stata un’abbondante raccolta di produzione orto-frutticola; i membri del comitato si riunirono e decisero di distribuirla gratuitamente alla popolazione, lasciandone giudiziosamente una parte per la riserva. Uno del comitato avvisò il dirigente dell’Agricoltura della capitale, il quale inviò subito dei poliziotti che fermarono la distribuzione dei prodotti. Il motivo: la distribuzione è una provocazione: ma che siamo pazzi? Mandiamo in malora il mercato?! Due argentini del comitato furono arrestati e “trattati per le feste” in prigione. Il nostro piccolo gruppetto continuò cautamente la diffusione della rivista e quando scoppiò la “Guerra dei Sei giorni” tra l’Egitto e Israele si dette da fare per diffondere un volantino ciclostilato che è pubblicato, mi pare, nel numero 14 di Programma Comunista del 1967 […] La fine del gruppo: io lasciai l’Algeria verso la fine del 1969, dei “piedi neri” portoghesi, due ritornarono nell’Angola indipendente, Socrates e Ferreira; il terzo, Adelino Torres si trasferì in Francia (era sposato con un insegnante francese). Nel 1972 venne a trovarmi a Borbiago-Venezia. Poi si ritrasferì a Lisbona, dove divenne professore di economia all’Università. Cambiò le sue vedute sulla interpretazione marxista dei fatti economici e sociali. Degli altri due algerini: Bacha e Derbal non seppi più nulla. C’era un altro compagno che raramente incontravo quando era ad Algeri: Ameziane. Mi pare che adesso sia in Francia quindi ancora vivente. Imperdonabili dimenticanze: militò con noi nell’ultimo anno che rimasi ad Algeri: Alain, giovane insegnante francese, che rientrò nel 1971 a Lione; ricordo poi Carrasco, un compagno anarchico spagnolo: fu nostro simpatizzante fino a quando rimase in Algeria; in seguito si arruolò nella guerriglia in Angola; molte e accanite furono le discussioni sulla guerra civile spagnola del 1936-1939 e sul ruolo confuso avuto dagli anarchici in questa8.

Risulta evidente, da questa lunga citazione, che con Turi se n’è andato un pezzo di Storia “altra” del movimento operaio e comunista; un compagno che, pur con la modestia che lo contraddistingueva, rivendicò sempre il ruolo rivoluzionario di Bordiga e di Trotzky:

Bordiga è stato il restauratore della Teoria di Marx, ed è stato pure il conservatore attivo della “linea del futuro” del proletariato internazionale, finché la malattia e poi la morte non gli tolsero la vita. Egli e Trotzky sono i due grandi compagni che hanno difeso l’opera mirabile di Lenin che non è stata solo russa ma internazionale. Trotzky combattè generosamente (finché non fu assassinato da sicari stalinisti), ma non rendendosi conto che la sconfitta subita dal proletariato occidentale ad opera della borghesia, aveva liquidata ogni prospettiva rivoluzionaria prossima. Ci ha lasciato scritti indimenticabili, come “Gli insegnamenti di Ottobre”, ma dubbi ed errori (per il periodo storico staliniano ormai borghesemente concluso) sul carattere del regime sociale, politico ed economico russo. […] Bordiga – durante l’epoca mussoliniana – pur immerso in una situazione politica e sociale soffocante, con una mente però sempre analiticamente attiva, riemergendo politicamente ha prodotto e ci ha lasciato armi teoriche per la ripresa delle lotte di classe future9.

Ma che non ebbe mai paura di rompere i tabù delle sette “bordighiane” e di mettere apertamente in discussione numerose ipotesi e apporti teorici dello stesso Bordiga. Ad esempio quando diede vita, nel 1975 dopo aver abbandonato Programma Comunista, alle Edizioni Sociali che misero fine alla religione dell’”anonimato” e ripubblicarono, accompagnati da nome e cognome dell’autore, in forma di libro alcuni testi importanti di Bordiga: Dialogato con Stalin e Dialogato coi morti, oltre che un testo di Ottorino Perrone, La Tattica del Comintern.

Oppure quando rimise in discussione le tesi esposte nel 1961 da Bordiga sulla “conquista dello spazio”, affermando, al contrario di quanto sostenuto in quelle, che la critica della “decadenza storica di una classe” «non comporta necessariamente una regressione del pensiero scientifico. Questo, al contrario, può essere suscettibile di un’ulteriore evoluzione». L’errore, per Turi, era duplice: considerare che il lancio dei satelliti artificiali «non avesse alcun autentico valore scientifico» e «negare assolutamente che l’uomo possa un giorno viaggiare nello spazio…». Questa duplice negazione, secondo Turi, portava «ad una posizione anti-evoluzionista».

Pur facendo ciò Turi non dimenticò, mai di condannare gli storici che hanno rimosso, banalizzato o travisato pesantemente il ruolo avuto da Bordiga e dalla Sinistra Comunista nel movimento comunista internazionale.

“Politico”, strano e limitante aggettivo riferito al militante comunista Amadeo Bordiga da quando, dalla giovinezza fino a che lo sostennero le forze prima della morte, fece suo il marxismo rivoluzionario. Si capisce però, fin dalle prime righe dell’introduzione, qual è il significato che gli autori della pubblicazione sopra citata danno all’attributo “politico”: cioè la pretesa incapacità del comunista napoletano di attuare in pratica una politica rivoluzionaria “in un milieu che avrebbe potuto dare, a nostro avviso, a condizione di una effettiva ripresa e di un rinnovamento del marxismo” (quindi per loro anche il marxismo va rinnovato… non riaffermato) “[…] Ciò non solo con la costituzione del Partito Comunista d’Italia, ma anche dopo la degenerazione della Terza Internazionale e nel corso della lotta contro lo stalinismo, così come nel secondo dopoguerra. Questa possibilità è effettivamente esistita fino a che la chiusura dogmatica di Bordiga e del bordighismo in una riduzione della lotta politica a propaganda non ha preso le sembianze di una «perseverazione diabolica» nella seconda metà degli anni Sessanta” (pag. 9). Abbiamo qui, di conseguenza, un capovolgimento storico della funzione dell’individuo uomo politico: da positivo influenzatore e direttore possibile di grandi eventi storico-sociali a potente negativo disfacitore degli eventi stessi. Meraviglia! Viene inaugurato un nuovo materialismo storico e una nuova funzione storica negativa della personalità…! E così si ripete nelle ultime pagine: “Si può dire quindi che, dopo la messa a punto del 1964-65, tutto continuasse, come prima e più di prima, nell’ambito di Programma Comunista, con la conferma e la elevazione a sistema politico chiuso, che abbiamo chiamata «perseverazione diabolica», dell’intransigentismo di tipo propagandistico. E’ evidente che non è possibile stabilire i momenti precisi di questa involuzione, ma la responsabilità di Bordiga in essa è sicura” (pag. 678). Come dire: non le classi che lottano – vincenti o perdenti – ma gli individui e alcuni loro accoliti sono i fattori di storia in senso evolutivo o involutivo. La tesi imbecille sostenuta dall’inizio alla fine del libro è evidente: è stata teorizzata non un’autentica e valida iniziativa politica comunista di classe, ma attuato un esteriore e sterile “intransigentismo di tipo propagandistico” (ma che c’entra una tale affermazione con quanto dice prima “sistema politico chiuso”?).Insomma abbiamo a che fare con altri nuovi storici “bordighiani” (eh già il primo si vanta di aver conosciuto Bordiga e ha pure militato un tempo in Programma Comunista…).
I precedenti, quelli del periodo post XX Congresso del PCUS, i più benevoli, scrivendo su Bordiga e i “bordighisti” si limitavano a sistemarli nella “torre d’avorio” e nel discutibile “settarismo”; questi ultimi invece ne fanno dei perseveranti diabolici intransigenti sterili propagandisti e basta. In questo tipo di storia buffonesca e contraddittoria è una inutile fatica critica contrapporsi: abbiamo di fronte un muro di gomma. Come oggi nella politica ufficiale della sbandierata democrazia, la sinistra non è distinguibile dalla destra, giacché i componenti cambiano rapidamente di obiettivi e di posto, così tra “bordighismo” benevolo e quello critico paragonato è bene star lontani se si vuol essere in regola con il solo valido comunismo, cioè quello di Marx, di Lenin e di Bordiga10.

Proiettato sempre verso il futuro del divenire della specie, irremovibile difensore della teoria marxista e allo stesso tempo attento alle dinamiche scientifiche del mondo in cui è vissuto, di Turi può essere soltanto detto che, come nelle parole di una compagna che ha comunicato all’autore del presente testo la sua scomparsa, «tutti noi lo abbiamo apprezzato e abbiamo goduto della sua brillante intelligenza, della sua ampia cultura, della sua vivacità e, insieme alle discussioni accanite, dei suoi modi garbati».

Un’ultima cosa: chi scrive, in occasione di una visita a Roma nel corso degli anni Novanta mentre Turi era ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico, ebbe occasione di ridere a lungo con lui dopo avergli cantato Noi siamo figli delle stelle, di Alan Sorrenti, in riferimento alla sua passione per la scienza e lo spazio. Ora non resta che sperare che da qualche parte, nello spazio profondo e, magari, in compagnia della sempre tanto ammirata Margherita Hack, egli possa ricevere quest’ultimo ricordo e messaggio di affetto. Con serenità e allegria, come era solito discutere con chi qui scrive.

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