“Stop pesticidi nel piatto” è il rapporto elaborato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero, realizzato per fare il punto della situazione sui fitofarmaci presenti negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole degli italiani.
«Primo dato eclatante, in controtendenza rispetto all’edizione precedente del dossier, è l’aumento dei campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi che hanno raggiunto quota 44,1% – spiega Legambiente – Al centro dell’indagine 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera, analizzati nel 2021. Nonostante la bassa percentuale di campioni irregolari, quindi con principi attivi oltre le soglie consentite, pari all’1% (in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente), è necessario evidenziare che solo il 54,8% del totale dei campioni risulta senza residui di pesticidi. Lo scorso anno, la rilevazione aveva raggiunto quota 63%. A destare preoccupazione è, inoltre, il 44,1% di campioni in cui sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci, tra monoresiduo (14,3%) e multiresiduo (29,8%), seppur nei limiti di legge. 90 le sostanze attive rintracciate, tra cui un campione di uva con 14 residui, uno di pere con 12 residui, uno di peperoni con 10 residui. Dai dati EFSA, risulta altresì campionata una fragola proveniente dall’Unione europea con 35 diversi residui».
«In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui – si legge ancora nella nota di Legambiente – In riferimento alla verdura, il quadro risulta migliore: il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3%), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%). Tra gli alimenti trasformati, il vino e i cereali integrali trasfromati sono quelli con le maggiori percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 61,8% e il 77,7%. Tra i pesticidi più presenti troviamo (in ordine decrescente): Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram».
«Dall’analisi dei dati rilevati – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente– emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione, mettendo in atto, in maniera convinta e senza tentennamenti, quanto stabilito dalle direttive europee Farm to fork e Biodiversity 2030. Con l’approvazione della legge sul bio – ha spiegato – indubbiamente è stato fatto un importante passo in avanti. Adesso, serve passare dalla teoria alla pratica, affinché quel traguardo non risulti solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore. Servono, quindi, meccanismi incentivanti attraverso cui dare gambe e fiato alla transizione, a partire dalla messa a disposizione di risorse. Serve, inoltre, che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glifosato. È, inoltre, di fondamentale importanza approvare il regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci (SUR) presentato lo scorso 22 giugno dalla Commissione europea e che prevede obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi legalmente vincolanti per gli Stati membri, a oggi a rischio a causa di continue richieste di rinvii da parte di alcuni Paesi tra cui l’Italia. Occorre infine – ha concluso – aumentare significativamente le aree coltivate a biologico che rappresentano un metodo efficace di ridurre gli input negativi in agricoltura».
«Il nostro Paese – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si sta dimostrando esempio virtuoso per l’intera Europa in fatto di riduzione dell’uso dei pesticidi, grazie soprattutto alle sempre più numerose aziende che scelgono l’agricoltura biologica, non di certo a politiche nazionali significative in tal senso. A conferma di ciò basti pensare al raggiungimento della quota del 17,4% di SAU condotta con metodo biologico. È quindi necessario un impegno più incisivo, considerando la richiesta dell’Unione europea di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. Il nuovo governo prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento. Quanto stabilito fino ad ora da PAC e PSN non ha permesso di raggiungere pienamente questo obiettivo. Serve pertanto un’accelerazione, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. I dati sul biologico fanno ben capire come la mancata transizione possa influire negativamente anche sulle buone pratiche: serve andare nella direzione contraria, verso una piena rivoluzione green dal campo alla tavola, a partire dall’approvazione del nuovo PAN (Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019. È quindi urgente risolvere anche questo nodo».
«Anche per i consumatori è sempre più chiaro il legame esistente tra agricoltura, cibo e salute dell’Ambiente e delle Persone – sostiene Erika Marrone, Direttrice Qualità, Ricerca & Sviluppo, Filiere di Alce Nero – L’agricoltura modella non solo il nostro paesaggio e la nostra economia, ma anche le nostre comunità ed è onnipresente nelle nostre vite. Proprio per questo ci aiuta a pensare in modo più consapevole a quanto sia cruciale oggi la transizione a modelli produttivi alternativi; tra questi l’agricoltura biologica e le diverse forme di agro-ecologia costituiscono oggi una risposta concreta e scientifica non solo alla questione climatica ma anche alla mitigazione dei rischi per la salute dei consumatori derivanti, soprattutto, dell’esposizione cronica alle molecole chimiche capaci di alterare tanto gli ecosistemi quanto gli equilibri del nostro organismo fin dalla vita intra-uterina. I traguardi fissati dalla strategia Farm To Fork e la nuova legge sul Biologico sono segnali importanti ma non sufficienti ad agire un reale cambiamento; da un lato sono le istituzioni a dover creare le condizioni abilitanti ma, dall’altro, abbiamo bisogno come imprese di creare alleanze non solo di filiera ma sempre più orizzontali e trasversali».
«Tra i pesticidi più presenti troviamo (in ordine decrescente): Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram – spiega Legambiente – Da segnalare sono altresì i residui di Thiacloprid rinvenuti in 2 campioni di miele, in 1 pesca e in 1 mela; tracce di residui di Imidacloprid sono stati rinvenuti in 34 campioni tra albicocche, arance, banane, carciofi, mandarini, peperoni, uva e pomodori. In entrambi i casi, si tratta di fitofarmaci revocati dal mercato dal 2020. A destare preoccupazione anche i residui di DDT in 2 campioni di derivazione animale (tessuto adiposo di cavallo e di bovino). In riferimento al biologico, il 91,1% dei campioni risulta regolare e senza residui. Non risultano inoltre presenti campioni con tracce multiresiduali. Per quanto riguarda i campioni con un solo residuo, la percentuale si attesta intorno al 5,4%, dato probabilmente legato al cosiddetto effetto deriva dovuto a coltivazioni convenzionali limitrofe.
In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma ancora una volta la categoria più colpita con almeno uno o più residui nel 70,36% dei campioni contro il 28,27% senza residui. Le tipologie più colpite sono pere, uva e pesche. Nel 91,67% dei campioni di pere analizzati, ad esempio, sono stati rilevati fino a 22 diverse categorie di fitofarmaci tra cui Acetamiprid (14,2%) e Boscalid (12,5%), percentuali rimaste invariate dal 2020. Nei piccoli frutti si segnala la percentuale più alta di irregolarità (5,9%), a causa del superamento del limite massimo di residuo (LMR). Nel 88,3% dell’uva analizzata è stata rinvenuta la presenza di almeno un pesticida. Un trend in aumento rispetto allo scorso anno (85,7%), con una percentuale di multiresiduo superiore al monoresiduo. Dai risultati ottenuti nella categoria vino, appare evidente come, anche in questo caso, il multiresiduo sia più frequente (42,7%). Le sostanze attive più frequentemente riscontrate sono state: Metalaxyl (12,2%), Dimetomorf (11%), e Fenhexamid (8,9%) contando oltre 50 tipologie differenti di fitofarmaci».
«In riferimento alla verdura, il quadro risulta migliore: il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui, solo il 33,3% dei campioni risulta invece contenente uno o più pesticidi. Più colpiti i peperoni con circa 38 categorie di fitofarmaci diverse, tra cui Acetamiprid (11%), Fluopyram e Imidacloprid (entrambi 8,8%), di cui il secondo revocato dal mercato nel 2020, Cypermethrina (5,1%), e con una quantità di multiresiduo superiore al monoresiduo, contando fino ad un massimo di 10 residui nello stesso campione. Ai peperoni seguono i pomodori con 55% di campioni con almeno un pesticida – scrive ancora l’associazione – Il 57,9% dei campioni di prodotti trasformati risulta regolare e senza residuo. Il 41,4%, invece, contiene uno o più residui. Per quanto riguarda il miele, nella maggior parte dei campioni non sono stati riscontrati residui (67,5%). 2 campioni sono, invece, risultati irregolari a causa del superamento del limite. I più frequenti pesticidi risultano l’erbicida Glifosato (27,9%), N (2,4 Dimethylphenyl) Formamide (17,6%) e Amitraz (14,7%), raggiungendo in alcuni casi 8 residui presenti contemporaneamente. Si segnala, inoltre, la presenza di due neonicotinoidi: Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e Acetamiprid ancora permesso ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api».