È un coro di critiche e di dure prese di posizione da parte delle Ong nei confronti delle anticipazioni del nuovo “decreto Piantedosi”, ma anche tanta determinazione a non farsi intimidire e a proseguire le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo per salvare vite umane e prevenire abusi e violazioni nel rispetto del diritto internazionale e nazionale.
Dopo la conferenza stampa del Consiglio di Ministri si stanno delineando i veri obiettivi del governo: impedire alle organizzazioni umanitarie di realizzare “soccorsi multipli” durante la stessa missione e obbligare le Ong a richiedere immediatamente il porto di sbarco dopo il primo intervento. In questi giorni il caso della nave Ocean Viking di Sos Mediterraneé è emblematico di come le nuove regole, se rispettate, impatteranno sull’operatività delle Ong. La nave ha infatti soccorso nelle acque internazionali 113 persone tra cui donne incinte, 30 minori, di cui 3 neonati, e il Comando Generale di Roma le ha assegnato un porto sicuro a La Spezia riassegnandole poche ore dopo il porto a Ravenna, a 1.650 km dalla sua posizione, l’equivalente di 4 giorni di navigazione.
Il governo #Meloni assegna a @SOSMedItalia un porto sicuro a #Ravenna , a 4 giorni di navigazione (!!). La nave con a bordo 113 persone tra cui donne incinte, 30 minori, di cui 3 neonati, dovrà percorrere più di 1.650 km@Piantedosim vergognati e studia le normative ! https://t.co/NvFhLCZ0fc
— Melting Pot Europa (@MeltingPotEU) December 28, 2022
Il decreto vuole poi colpire i trasbordi, ossia i trasferimenti di persone salvate dalle nave umanitarie più piccole a quelle di dimensioni maggiori e meglio attrezzate. Tradotto: la flotta civile deve pattugliare le acque del Mediterraneo il minor tempo possibile per salvare meno vite possibili e non essere testimone di altri naufragi per omissione di soccorso, oppure testimone di catture e respingimenti delle persone migranti effettuati dalla cosiddetta guardia costiera libica.
Il sociologo Maurizio Ambrosini in un editoriale su Avvenire parla di «altra guerra senza senso» sostenendo che «la guerra alle organizzazioni non governative, le Ong, che salvano persone in mare è una cifra identitaria del nazional-populismo italiano ed europeo. Poco importa – sottolinea – che le navi umanitarie nel 2022 abbiano soccorso appena l’11,2% delle poco più di centomila persone approdate sulle coste italiane».
Una guerra, lo ricordiamo, che è iniziata quando al ministero sedeva Minniti del PD e ha visto diversi leader politici italiani ed europei combatterla con slogan e falsità, e una parte di magistratura accusare le Ong di favorire l’immigrazione irregolare o di essere collusi con i trafficanti di esseri umani. I membri di Iuventa sono ancora a processo e rischiano fino a 20 anni di carcere.
«Lo scopo di questi nuovi decreti è chiaro. Queste nuove regole hanno come obiettivo quello di diminuire le capacità di soccorso, mentre le persone, fuggendo, combattono per la propria vita. L’interruzione delle nostre missioni dopo ogni soccorso, anche se numericamente piccolo, e l’immediato ritorno a terra si tradurrà inevitabilmente in un aumento dei costi del carburante e in molto tempo perso», spiega Hermine Poschmann, della Mission Lifeline, la Ong che a metà dicembre si era vista assegnare immediatamente un porto sicuro a Gioia Tauro dopo un primo salvataggio di 27 persone ed era stata costretta a lasciare le acque internazionali.
Le conseguenze del decreto sono facilmente prevedili: maggiori morti in mare (solo quest’anno sono stati 1.400) e respingimenti verso la Libia (oltre 20.700 le persone riportate nei lager libici nel 2022).
«Il Decreto riduce drasticamente le possibilità di salvare vite in mare, limitando l’operatività delle navi umanitarie e moltiplicando i costi dei soccorsi per tutte le ONG in mare», conferma Emergency che definisce le disposizioni«inaccettabili perché, imponendo alle navi umanitarie di portare immediatamente a terra i naufraghi, di fatto riduce le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso».
«I provvedimenti inoltre – continua l’organizzazione che in queste ore si sta preparando per la seconda missione – determineranno una potenziale violazione dell’obbligo di intervenire in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo in mare, prescritto dal diritto internazionale e tutte le navi, anche quelle umanitarie, sono tenute a rispettarlo».
Analoga la critica di Sea Watch che dal 17 settembre ha la nave bloccata nel porto di Reggio Calabria da un provvedimento arbitrario e pretestuoso. «Tenere lontane dalla frontiera più letale del mondo assetti che potrebbero salvare vite umane è una lucida follia portata avanti dalle istituzioni italiane. Non comprendiamo poi quali siano i presupposti di necessità e urgenza del provvedimento che va a normare una materia già oggetto di Convenzioni internazionali, regolamenti europei e del diritto italiano. L’unica urgenza che verifichiamo ogni giorno sarebbe quella di garantire un sistema di soccorso istituzionale nel Mediterraneo centrale e garantire vie sicuro di accesso per chi fugge dalla Libia. In assenza di una missione europea di ricerca e soccorso, ostacolare l’attività delle navi della società civile significa provocare altre morti. Significa calpestare i diritti umani e affidare quel tratto di mare al pattugliamento delle milizie libiche che non hanno altro obiettivo se non quello di catturare chi fugge e respingerlo nei lager libici, in una spirale di torture, ricatti, stupri e vessazioni».
L’Ong tedesca Sea-Eye accusa il governo di «intervenire in modo massiccio con i diritti dello Stato di bandiera tedesco, con il diritto europeo e con le garanzie internazionali e regionali sui diritti umani», affermando che «non seguirà alcun codice di condotta illegale o qualsiasi altra direttiva amministrativa che violi il diritto internazionale o le leggi del nostro Stato di bandiera. Nel nostro caso, si tratta delle leggi della Repubblica Federale di Germania. Respingiamo per questo motivo il cosiddetto codice di condotta, temendo che questo possa portare a conflitti con le autorità italiane. Ci aspettiamo quindi che il Governo federale protegga le organizzazioni di salvataggio in mare sotto bandiera tedesca nei confronti del comportamento illegale delle autorità italiane e che ci sostenga con determinazione in caso di conflitto».
Secondo Valentin Schatz, professore giurista alla Università di Lüneburg e membro del team giuridico di Sea-Eye, «lo Stato costiero non ha l’autorità di regolamentazione e applicazione per quanto riguarda il salvataggio di navi straniere al di là delle proprie acque territoriali (12 miglia nautiche). L’Italia non può quindi imporre le modalità di svolgimento delle operazioni di soccorso in acque internazionali, in quanto ciò è di competenza dello Stato di bandiera (nel caso di Sea-Eye, la Germania). Anche secondo la Convenzione internazionale sul salvataggio marittimo, l’Italia, in quanto Stato costiero (e solo nella propria Regione di ricerca e salvataggio), può solo coordinare e impartire istruzioni, la cui esecuzione, secondo il diritto internazionale e diritto tedesco, spetta a sua volta alla Germania in quanto Stato di bandiera. Inoltre, né la Convenzione Internazionale sul Soccorso Marittimo né le Linee Guida dell’Organizzazione Marittima Internazionale forniscono una base per le regole di condotta richieste dall’Italia».
Riccardo Gatti, responsabile soccorsi di Medici senza Frontiere, afferma che «queste nuove norme non risolvono il vero problema: le persone che muoiono in mare perché mancano i soccorsi. Lasciare scoperta la zona dei soccorsi e assegnare porti sicuri lontanissimi va a discapito della protezione della vita, aumenta il rischio di altre morti in mare, aumenta di quattro volte le spese per gli spostamenti e allontana testimoni scomodi: quando le navi delle Ong non sono presenti sembra che non succeda niente e invece continuano ad avvenire naufragi con morti e dispersi e respingimenti in Libia. Le navi della società civile inoltre sono dei presidi temporanei e per quanto ben attrezzate non sono adatte ad avere persone a bordo per lunghi periodi».
Ma come opporsi a un decreto che impone un nuovo codice di condotta che per quanto illegittimo metterà di fronte le Ong che non lo rispetteranno a sanzioni di natura amministrativa e multe che possono comportare il sequestro o la confisca delle navi?
Prova a dare una prima risposta Fulvio Vassallo Paleologo, esperto di diritto e collaboratore di numerose organizzazioni, che definisce i decreti privi di fondamento giuridico alla luce del diritto internazionale ed euro-unitario: «Tocca alle organizzazioni della società civile ed ai team legali specializzati nella difesa dei diritti umani, anche a livello internazionale, al di là dell’eventuale acquiescenza di qualche ONG, fare emergere i profili illegittimità costituzionale e il contrasto tra il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri ed il diritto sovranazionale»1.